Parigi
Parigi, viaggio nella città in guerra
È successo di nuovo: dopo dieci mesi dagli attentati alla redazione di Charlie Hebdo e al negozio Cosher di Vincennes, Parigi è ripiombata nel terrore. Ma stavolta è diverso. Sono cambiati strategia e obiettivi. Sette attacchi quasi sincronizzati hanno colpito, di venerdì sera, le zone più frequentate della città: la sala concerti Bataclan, lo Stade de France, il boulevard Beaumarchais, l’avenue de la République e le rue Bichat, Charonne e de la Folie Mèricout. Parigi s’è mostrata più vulnerabile di un tempo e oggi sembra intontita, intorpidita da una carneficina insensata e dalla paura. Lo si capisce passeggiando per le sue strade: la città è ammutolita, negozi, monumenti e musei restano chiusi. I treni della metro, solitamente affollati di gente e animati da un chiacchiericcio allegro restano muti, i pochi viaggiatori camminano a testa basta, a rompere il silenzio ci solo gli altoparlanti che annunciano ritardi e la possibile presenza di pacchi sospetti.
Place de la Répubblique, il luogo dove appena dieci mesi fa una folla di cittadini si riunì spontaneamente per dichiarare “je suis Charlie” è semideserta. Qualcuno poggia dei fiori e accende delle candele ai piedi del monumento alla Repubblica che svetta al centro della piazza. Passa poco e la polizia invita la gente ad andar via. Le scritte inneggianti alla libertà fatte con le bombolette spray a gennaio scorso sono ancora lì, ai piedi della statua. Ma stavolta è diverso: a Parigi e su tutto il territorio francese vige la “loi d’urgence” e le adunate sono vietate, almeno per il momento. Parigi si è svegliata diversa, ha sperimentato una nuova forma di guerra: la guerra globale. Una guerra senza territori definiti e senza nemici visibili e individuabili. Una situazione in cui non è possibile distinguere tra “noi” e “loro” e pace e guerra si confondono.
Questa mattina Parigi si è svegliata in guerra. Ha sperimentato che la guerra globale esiste al di là dell’esperienza militare. Esiste come “stato” di guerra al di là della concreta esperienza bellica e la dichiarazione da parte di Hollande della “loi d’urgence” ne è la prova. Lo stato d’urgenza precede solo di poco lo stato d’assedio e solo in altre due occasioni è stato dichiarato dalla Francia: nella guerra di Algeria e nei moti delle banlieue del 2005. Nei prossimi giorni i prefetti francesi avranno pieni poteri: potranno dichiarare coprifuochi, istituire zone di protezione o di sicurezza, interdire permessi di soggiorno, ordinare perquisizioni senza il permesso di un giudice, imporre la chiusura di locali e vietare adunate. Non sappiamo quanto durerà lo stato d’urgenza. Quello che è certo è che Parigi sarà per molti giorni ancora una città diversa, terrorizzata, blindata, in guerra. Perché è successo di nuovo e potrebbe succere ancora.
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