Geopolitica

Parigi 13/11/2015: Il presente ci appartiene

14 Novembre 2015

All’alba la buca era scavata.
Romain Gary, Educazione europea

 

Se si potesse evitare il florilegio degli anniversari, se si potesse evitare l’inutile dichiarazione di nuovi undici settembre. Sarebbe necessario e urgente farlo. Se si potesse smettere di occuparsi proditoriamente e continuamente di cementificare la memoria rendendola inutilizzabile e farlocca, addormentata e stupida. Sarebbe necessario e urgente farlo.

La storia e la vita non sono anniversari e gli anniversari non sono riti dentro cui è più possibile sostenere il senso di una comunità espansa e differenziata. La memoria non si costruisce contenendola e forzandola dentro regimi di relazione plastificati e privi di ogni biologia, ma accogliendo il presente in uno scambio fluido e generativo con l’esperienza. Rifugiarsi nel passato idealizzato o in un futuro sperabile è già scappare, farsi ingabbiare e in buona sostanza mettersi in pericolo.

Il presente richiede coraggio e calma, cura e grazia, lo ha sempre richiesto è parte della sua stessa natura imprevedibile. Il presente oggi fa paura, troppa paura, ma è anche banalmente e obbligatoriamente quello che è e come tale va necessariamente affrontato: calma, cura e grazia.

“Siamo tutti in pericolo”, lo eravamo anche prima, ma ora ci pare di più. Questa frase è stata pronunciata da Pier Paolo Pasolini nella famosa intervista a Furio Colombo in quell’ultimo scampolo di modernità che fu la fine del Novecento dentro al quale era ancora possibile percepire il pericolo, ma non risolverlo e tanto meno comprenderlo. È necessario uno sforzo di percezione, troppi rimossi albergano in una memoria collettiva distante da quello che è il nostro corpo biografico personale e intimo. Ritrovare noi stessi nel punto in cui siamo ora e non nel punto in cui eravamo o speravamo di essere, ritrovare il nostro corpo e ritrovarne la politica.

Accettare il presente e la sua lotta, accettare il nostro corpo, accettare la diversità delle nostre stesse contraddizioni. Il dolore e la felicità sono ora, il godimento e lo strazio sono ora e non possono essere rimandati, dimenticati o abbandonati per la strada come ammennicoli o medaglie prive di alcun valore.

Non saranno i morti di Parigi a risvegliare e in realtà nemmeno a spaventare veramente. Nessun morto, nessuna strage, nessuna violenza, nessuna atrocità può farlo veramente. Ci si trova sempre in questo rifugio, in questa bolla retorica. Troppo tutelati, protetti e nascosti in quanto già troppo sfiniti e sfiancati, annoiati e stressati. E il racconto, lo storytelling è ormai un cliché costretto in una stancante e continua prevedibilità. Una narrazione buona solo a trovare spazio in qualche rassicurante casella del passato e in qualche onorificenza e ricordo glassato per il futuro.

L’arte narrativa è morta scriveva sempre Pasolini e forse qui più che in ogni altra riflessione c’è il senso più profondo di un dolore. Un’impotenza, quella di una forza del passato impossibilitata a incidere davvero nel presente, rinnovandolo quotidianamente. Il presente ci appartiene è bene ricordarcelo, ed è bene affrontarlo anche con le nostre paurose armi spuntate. Sarà la nostra presenza a renderci vivi, non la nostra forza. Il presente ci appartiene, Paris nous appartient, diceva Jacques Rivette.

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