Parigi

L’Indifferenza e il clochard: il dramma parigino del fotografo René Robert

31 Gennaio 2022

La morte avvenuta per strada, di cui sappiamo solo da pochi giorni, del fotografo ottantacinquenne René Robert, in un quartiere centrale di Parigi, è una delle notizie più tristemente “sintomatiche” della recente cronaca.

Di rientro da una cena con amici, il 19 gennaio scorso, l’artista, conosciuto per i suoi scatti legati al mondo del flamenco, è improvvisamente schiamazzato al suolo in seguito a un malore. Sono cominciate per lui nove lunghissime ore, le ultime della sua vita, durante le quali nessuno si è fermato per soccorrerlo, o per informarsi semplicemente sul suo stato di salute. Per un tempo prolungatissimo, successivo alla sua caduta lungo una strada abitualmente affollata, non una persona si è accorta che quell’uomo disteso a terra, immobile e privo di forze, fosse in evidente difficoltà e rischiasse il peggio. Nessuno ha avuto la prontezza di intervenire, arrestare il proprio percorso per soccorrere una persona che non aveva potuto proseguire il suo, prestare attenzione nei riguardi di qualcuno che non si conosce, e per questo interdetto alla pietà del prossimo. Quel prossimo che, beninteso, siamo noi, così come a ognuno di noi può capitare di accasciarsi a terra senza ricevere aiuto per ore. È successo a René, a Parigi. Poteva capitare a chiunque e in qualsiasi altra città. L’indifferenza appartiene all’umanità, in special modo alle società contemporanee, non a uno specifico luogo del mondo, o a determinati popoli. E intorno all’agonia di un anziano signore, morto di freddo, vi è solo indifferenza.

L’indifferenza è il male del nostro tempo? E che significato vogliamo darle? Uno, magari, sociologicamente fighetto, che riesce finanche a giustificarla come componente endemica dei nostri tempi?

Si tratta, in verità, di un atteggiamento di inerzia a cui sono stati sempre associati meschinità e peccato, sin dai tempi più antichi. Eppure, a quanto pare, ancora oggi non riusciamo a coglierne pienamente la pericolosità, il suo modo subdolo di insinuarsi nelle nostre abitudini come sinonimo di omissione. Di grave e irresponsabile omissione.

Un uomo viene lasciato all’addiaccio per ore e ore, al freddo invernale, e ne muore per sopraggiunta ipotermia perché la gente che gli passa accanto, probabilmente, lo avrà confuso per uno dei tanti senzatetto, ai quali quasi mai si chiede “come stai?” E, nelle circostanze di René, essere tra gli ultimi, o impersonarne le condizioni, non faceva differenza. Come ultimo, non ha toccato la sensibilità dei passanti, non li ha impietositi, non ne ha catalizzato il riguardo, la premura, la cortesia, che lo avrebbero salvato da un’angosciante fine. L’episodio, nel suo significato drammatico, evidenzia come di tutta l’attenzione che siamo capaci di concentrare non ne riserviamo una sola parte all’esterno, essendo fagocitata per intero dal nostro ingigantito egotismo: siamo tanto più soddisfatti e perfino felici quanto più possiamo fare per noi stessi, salvo accorgersi che non fare niente per gli altri ridimensiona ogni conquista e ogni possesso. E, anche quando siamo alle prese con un nostro percorso esistenziale moralmente elevato, riusciamo a dimostrarci eticamente deboli e inconsistenti.

La medesima indifferenza trattata nei secoli scorsi da letterati e filosofi, in alcuni casi prerogativa della sfera intellettuale di apatici colti, oggi è diventata qualcosa di mostruoso, incompatibile con il concetto di “società civile”.

Nel 1917 Antonio Gramsci scriveva: «L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. (…) L’indifferenza è il peso morto della storia». Dando vita ad Antigone, Sofocle non celebra solo l’eroina che si oppone alle leggi scritte, ma ci offre un personaggio che rifiuta di arrendersi all’indifferenza. Dante, nella Commedia punisce severamente gli ignavi, che nella loro vile indolenza non meritano neanche di entrare nell’Inferno. E infatti li lascia fuori dalla porta, in un’eterna attesa. Moravia e Camus, nel Novecento l’hanno posta  al centro della loro opera. Moravia ne “Gli indifferenti” e Albert Camus ne “Lo straniero”.  Nel romanzo del primo il clima mondano e ipocrita di una borghesia piccina e insignificante produce animi rinunciatari e assopiti, segnati dalla rassegnazione. Mentre, l’opera di Camus, più pregnante e per certi versi profetica pone ai contemporanei una domanda: viviamo tutti il presente, saturato dai social, nell’apatia di Meursault, il protagonista della sua opera?

L’indifferenza, ai giorni nostri, passa certamente attraverso il veloce mulinello di una miriade di informazioni apparentemente uguali, che terminano la loro corsa sullo schermo del nostro smartphone. In un nevrotico e omologato presente che ha alterato l’emotività e il valore delle cose, le tragedie sono titoli per una comunicazione sintetica e schematica.

Infine, un particolare che non fa solo cronaca, che sembra assurgere, soprattutto, a morale: è stato un clochard, uno degli ultimi, alle prime luci dell’alba, ad accorgersi di René e ad attivarsi per far arrivare i soccorsi. Ma, condotto d’urgenza all’Hôpital Cochin, l’85enne fotografo è morto dopo un’ora. L’aria gelida di gennaio gli è stata fatale.

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