Parigi

La sindrome di Parigi. Quei giapponesi pazzi per la Ville Lumière

12 Gennaio 2016

Passeggiando per Parigi può capitare d’imbattersi in gruppi di giapponesi che con una lunga pinza in una mano e un sacco di plastica nell’altra ripuliscono la città dai rifiuti. Seri, concentrati e pazienti come monaci buddisti, questi stranieri si prendono cura della città come fosse la loro. Gli occhi a mandorla scrutano il pavimento alla ricerca di sporcizie di tutti i tipi mentre la lunga pinza pesca cicche di sigarette, cartacce e spazzatura insinuandosi negli angoli più inaccessibili di strade e marciapiedi. Quella che a prima vista può sembrare la lodevole iniziativa di un gruppo di ecologisti venuti da lontano, in realtà nasconde altro. Questi giapponesi stanno, a modo loro, lottando contro la sindrome di Parigi, un disturbo psicosomatico che colpisce diversi abitanti del Paese del Sol Levante che per turismo, per studio o per lavoro si trovano nella capitale francese.

Scoperta negli anni Ottanta dal professor Hiroaki Ota, uno psichiatra giapponese dell’ospedale parigino di Sainte Anne, la sindrome di Parigi è una patologia di cui si ammalano ogni anno un centinaio di giapponesi che soggiornano nella Ville Lumière. A seconda dei casi il disturbo si presenta con sintomi diversi: si va dallo stordimento al senso di delusione fino a una percezione distorta del mondo e di sé stessi, stati d’ansia, allucinazioni, deliri di persecuzione, forte tachicardia e depressione. Nelle manifestazioni più acute il rimpatrio è l’unica soluzione. Ritornati in Giappone, i malati guariscono nel giro di pochi giorni. All’origine della sindrome di Parigi ci sarebbe il disagio provocato dallo scarto tra la visione idealizzata della capitale francese costruita dal cinema e dalla tivù e la sua realtà. Le grandi differenze tra le rigide regole comportamentali nipponiche e quelle occidentali farebbero il resto.

La maggior parte dei giapponesi pensa alle strade di Parigi come allo sfondo della pubblicità di un profumo alla moda e ai suoi abitanti come alle persone più chic e gentili del pianeta. Bastano poche ore in giro per la città per capire che la capitale francese non solo non è la location di uno spot di Chanel numero 5 e non ne ha neanche l’odore ma che la gente che ci vive è tutt’altro che elegante e educata.

Il primo contatto con la realtà della città avviene nei treni della metropolitana, con la folla di gente che si lamenta e sgomita da tutti i lati per entrare nel vagone e la paura di essere derubati amplificata dai continui annunci che mettono in guardia dai borseggiatori. Usciti dai tunnel sotterranei della metro, i viaggiatori venuti da Oriente, si ritrovano immersi nel caos e nella sporcizia della città. Le sirene della polizia, delle ambulanze e dei pompieri che strillano, le macchine e gli autobus che sfrecciano rumorosi in ogni direzione e la gente che, sempre di fretta, non bada a niente e nessuno e, cosa intollerabile per un giapponese, getta mozziconi di sigaretta e cartacce un po’ dove capita. Passeggiando in cerca di monumenti, i visitatori si accorgono presto che quasi nessuno a Parigi è disposto a dedicarti più di cinque secondi del suo tempo per darti indicazioni, soprattutto se non conosci almeno un po’ di francese. Le cose non migliorano se ci si siede al tavolo di un bar o a quello di un ristorante: i camerieri parigini hanno la reputazione di essere tra i più maleducati al mondo e non fanno nulla per smentire questa fama. L’unica consolazione sono gli innumerevoli monumenti e i tanti musei con la loro immensa disponibilità di opere d’arte, ammesso che si riesca a ignorare  la bolgia di turisti e a sopravvivere alle lunghe file.

Bernardo Bertolucci, François Truffaut, Jean Luc Godard, Jean Pierre Junet e Woody Allen non si sono sbagliati: Parigi è davvero una delle città più fotogeniche al mondo. Ma quello che può catturare l’obiettivo di una macchina da presa non riusciamo a coglierlo noi. La Parigi dolce, seducente e magica di Amèlie Poulain esiste solo sulla pellicola e nessuno ha ancora trovato una cura per rendere i francesi un po’ più affabili e gentili. I giapponesi devono farsene una ragione.

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