Lifestyle
La Sape e i dandy africani. L’eleganza che salverà il mondo
«Qui non ci sono clienti, solo fratelli». Jocelyn Armel, detto Le Bachelor, sorseggia un whisky e spiega la filosofia che c’è dietro il Sape & Co, il suo negozio di abiti in rue de Panama a Château Rouge, diciottesimo arrondissement, territorio africano ai piedi di Montmartre. Cappello di feltro marrone, costume di velluto rosso a pois gialli, camicia bianca, cravatta verde acido che spunta da un gilet di velluto rosso, calze di cachemire rosse e scarpe modello oxford color crema e marrone. «Le scarpe me le faccio spedire da Napoli» dice sorridendo, mentre versa da bere a uno dei suoi “fratelli”, anche lui curatissimo nel look. Le Bachelor non è un negoziante qualsiasi: è l’ambasciatore in Europa della Sape, la Société des ambiancieurs et des personnes elegantes (Società delle persone eleganti che fanno atmosfera). Lui e i suoi “fratelli” sono dei sapeurs, dei dandy africani. I portavoce di qualcosa che non è solo una moda ma una filosofia di vita. Più di una filosofia di vita: un riscatto sociale e un messaggio di pace.
La moda Sape nasce negli anni Venti tra Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo (Congo Francese), e Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo (Congo Belga). In questo periodo tra gli abitanti dei due paesi si diffonde la tendenza a imitare l’abbigliamento e l’atteggiamento dei colonizzatori europei: un vezzo che qualche decennio più tardi prenderà tutt’altro significato. La rivoluzione arriva negli Settanta nel Congo Belga che all’epoca si chiamava Zaire e viveva sotto la dittatura del maresciallo Mobutu Sese Seko. Salito al potere nel 1965 con un colpo di Stato, Mobutu impose al Paese la sua “politica dell’autenticità” che aveva come obiettivo la decolonizzazione della nazione e un ritorno alle radici culturali africane. Personaggio stravagante e tiranno sanguinario, il maresciallo proibì l’uso di giacche e cravatte, considerate un retaggio dell’oppressione dei colonizzatori europei e impose agli zairesi di indossare una casacca senza collo, simile alla divisa maoista e chiamata abacost (abbreviazione del francese à bas le costume, abbasso il costume). Papa Wemba, un musicista di rumba in ascesa in quegli anni, decise di sfidare il regime indossando in pubblico i costosi abiti comprati durante le sue tournée all’estero. Cappelli stravaganti, giacche sfarzose, cravatte e papillon, camicie colorate e scarpe lucide diventarono le armi con cui il cantante sfidava il dittatore. I giovani zairesi erano in deliro e i concerti di Papa Wemba si trasformarono in sfilate di moda durante le quali il musicista lanciava il suo messaggio sovversivo: «indossare un completo firmato è un piacere, non un crimine».
Da allora sono passati più di quarant’anni e mentre la Repubblica Democratica del Congo diventava il campo di battaglia di diversi conflitti tra cui la “grande guerra africana”, la più sanguinosa del continente, la Sape si trasformava in una filosofia di vita con tanto di regole stilistiche e codici comportamentali. Ben vengano i colori sgargianti, purché siano abbinati con gusto; un abito elegante richiede un atteggiamento elegante e una camminata felpata per consentire a tutti di apprezzarne i dettagli, calzini compresi; il vero sapeur è un galantuomo: utilizza sempre le buone maniere e rifiuta il razzismo e la violenza. In diverse occasioni lo scrittore congolese Alain Mabanckou, ha parlato della sapologia come di «un’altra maniera di concepire il mondo e, in un certo senso, una rivendicazione sociale da parte di una gioventù in cerca di riferimenti». «Vestirsi come i coloni significa per questi giovani africani riappropriarsi della propria storia, diventare padroni della propria terra e anche rifarsi di tanti secoli di soprusi».
Nel 2003, mentre il conflitto dell’Ituri funestava il Congo, il fenomeno della Sape si caricò di contenuti pacifisti. Gli slogan erano due: “c’è la Sape solamente quando c’è pace” e “lasciamo le armi e vestiamoci elegantemente”. La sapologia diventò un messaggio di pace e gioia di vivere. Da allora per i dandy africani vestirsi elegantemente significa prendersi cura di se stessi e vivere in armonia con gli altri rifiutando la violenza. Le Bachelor e i suoi “fratelli” la spiegano così: «se ci vestiamo elegantemente non è mica per restare chiusi nelle nostre case. Abbiamo la fortuna di vivere e ci piace stare tra la gente. In pace. Siamo persone eleganti ma anche “ambiancieurs“: ci piace stabilire legami con gli altri, anche di comunità diverse dalla nostra». Il lavoro di Le Bachelor comincia a portare i suoi frutti: dal primo al tre settembre 2015 a Brazzaville si terrà il primo Festival internazionale della Sape in Africa. E chissà che ai dandy africani non riesca di raggiungere l’obiettivo che tutti gli altri hanno mancato: portare la pace nel loro continente.
(Galleria fotografica realizzata da Kelly Costigliolo)
altri hanno mancato: portare la pace nel loro continente.
Devi fare login per commentare
Accedi