Parigi
La “generation radicale”. Cosa sappiamo degli attentatori di Parigi
Cominciano a conoscersi le identità dei terroristi che hanno partecipato agli attentati parigini di venerdì sera. Tra questi ci sono Samy Animour, nato il 15 ottobre 1987 a Parigi e originario di Drancy, un piccolo comune dell’Île de France, Omar Ismail Mostefai, nato il 21 novembre 1985 à Courouronnes, nella banlieueu parigina, Ahmad Al-Mohammad, nato il 10 settembre 1990 a Idlib in Siria, Bilal Hadfi, nato il 22 gennaio 1995 e residente in Belgio e Brahim Abdeslam, 31 anni, fratello di Mohamed Abdesalam, attualmente ricercato. Ma cosa sappiamo di questi giovani jihadisti? Di sicuro sappiamo che Samy Animour fa parte di quella che da tempo i media francesi chiamano “generation radicale”. Oggi Le Monde ha ripubblicato una lettera che il 18 dicembre 2014 suo padre Mohamed aveva scritto al quotidiano francese di ritorno da un suo viaggio in Siria.
Leggendo nomi, date di nascita e nazionalità dei terroristi identificati fino a ora si resta stupiti da due cose: la loro giovane età e il fatto che almeno due con certezza siano nati e cresciuti in Francia. Questi giovani sarebbero gli esponenti di quella che i francesi chiamano la “generation radicale”, ragazzi al di sotto dei trent’anni, nati e cresciuti in Francia che aspirano a diventare i nuovi jihadisti. Negli ultimi due anni il fenomeno della radicalizzazione dei giovani è cresciuto notevolmente in Francia e, secondo un’inchiesta realizzata alla fine del 2014 da Le Monde, ci sarebbero 3142 persone “radicalizzate” sul territorio francese. Dagli attentati a Charlie Hebdo a oggi, il fenomeno della radicalizzazione dei giovani è stato al centro di numerosi dibattiti in Francia. Nel luglio del 2015 il partito socialista aveva presentato un dossier esaustivo sul fenomeno al premier Manuel Valls e negli ultimi due mesi una campagna pubblicitaria intitolato stop-djihadisme realizzata dal governo era stata mandata in onda su diversi canali televisivi francesi e piattaforme internet.
Proprio Samy Animour, uno dei kamikaze del Bataclan identificati oggi, è stato al centro di uno di questi dibattiti. Oggi Le Monde ha ripubblicato una lettera che suo padre Mohammed aveva inviato al giornale per raccontare il suo tentativo, vano, di riportarlo a casa dalla Siria, paese in cui il ragazzo si era trasferito per iniziare il suo percorso da jihadista. «Mhoamed, 67 anni, ha fallito – scriveva il quotidiano francese – Nel giugno scorso è andato in Siria per tentare di recuperare suo figlio partito per raggiungere i ranghi dello Stato Islamico un anno fa. Un viaggio che l’ha straziato perché suo figlio Samy non rientrerà».
Nella lettera Mohammed Animour racconta delle difficoltà del viaggio, di come Daesh gestisce i contatti con l’esterno («utilizzano le schede telefoniche una sola volta e non puoi mai più richiamarli»), di quando a Minbej, a ottanta chilometri da Aleppo ha visto sventolare la bandiera nera dell’Isis e finalmente è riuscito a rivedere suo figlio in stampelle perché ferito in un combattimento del quale non gli ha mai voluto parlare. Mohamed racconta di essere rimasto sconvolto dalla freddezza e dalla determinazione del figlio, di aver provato a capirlo senza riuscirci, di averlo inutilmente pregato di rientrare in Francia. All’epoca l’intento di Mohamed Animour era quello di evitare che suo figlio morisse o si facesse arrestare lontano da casa, non poteva immaginare che Samy si sarebbe fatto esplodere nel Bataclan, una sala concerti della città in cui era nato.
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