Clima

I sistemi di mercato del carbonio dopo l’Accordo di Parigi

4 Agosto 2016

Questo articolo è stato scritto in collaborazione con CliMates

 

Le indicazioni dell’Articolo 6 dell’accordo di Parigi

L’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi sulle strategie di mitigazione attraverso approcci di mercato e non di mercato è stato tra gli ultimi ad essere approvato presso la COP21 di dicembre. Il consenso è stato raggiunto solo grazie ad un grande compromesso tra le Parti, ovvero una formulazione dei concetti laboriosa, che esclude espressioni chiave come “sistemi di mercato” o “carbon pricing”. Per questo motivo l’Articolo 6 risulta complesso da decifrare e i negoziatori, riuniti a Bonn nella seconda metà dello scorso maggio, hanno richiesto in primo luogo chiarezza e univocità delle definizioni. Al tempo stesso a nessuno sfugge che in ballo vi è il futuro di strumenti centrali del meccanismo di mercato, sviluppato sotto il Protocollo di Kyoto, come il Clean Development Mechanism (CDM) e il Joint Implementation (JI).

La base dell’articolo 6 è costituita da tre strumenti volontari per sostenere l’implementazione dei Nationally Determined Contributions (NDCs) attraverso la cooperazione tra le Parti (art. 6.1). In questo contesto le Parti sono libere di scegliere tra le seguenti opzioni:

1) Gli “approcci cooperativi” (art. 6.2-3) hanno come obiettivo il trasferimento transazionale di unità di riduzione delle emissioni attraverso lo scambio di Internationally Transferred Mitigation Outcomes (ITMOs). In tal modo diventa possibile collegare diversi sistemi di mercato sia su base bilaterale che multilaterale. Come sottolinea l’International Emission Trading Association (IETA), ciò permette di aumentare la flessibilità e l’efficienza per raggiungere gli obiettivi di Parigi in modo cooperativo tra le Parti. La Conference of the Parties serving as the meeting of the Parties to the Paris Agreement (CMA) è l’organo incaricato di elaborare le linee guida per il funzionamento dello strumento, con particolare attenzione a contrastare il fenomeno del doppio conteggio (double counting) delle unità di riduzione delle emissioni;

2) Il “meccanismo per contribuire alla mitigazione delle emissioni di gas serra e per sostenere lo sviluppo sostenibile” (art. 6.4-7) è un nome piuttosto lungo per indicare gli approcci di mercato. Oltre alla mitigazione globale e allo sviluppo sostenibile, due punti centrali dello strumento sono il raggiungimento degli obiettivi degli NDCs, e il coinvolgimento del settore pubblico e privato della Parte che sceglie di aderire a tale approccio. Infine, tale strumento è la piattaforma ideale per generare e scambiare unità di riduzione delle emissioni coni altri mercati analoghi, secondo gli approcci cooperativi;

3) Con gli “approcci non di mercato” (art. 6.8-9) si intende creare sinergie tra le strategie non di mercato con l’obiettivo di favorire maggiore ambizione in un contesto di sviluppo sostenibile e eradicazione della povertà. Anche in questo caso si tratta di uno strumento mirato al raggiungimento degli obiettivi sottoscritti dalle Parti nei rispettivi NDCs e il coinvolgimento del settore pubblico e privato gioca un ruolo centrale. Alcuni esempi degli ambiti in cui creare sinergia sono: finanza, trasferimento di tecnologia e capacity-building.

 

Un bilancio tra gli strumenti di Kyoto e quelli di Parigi

Il CDM e il JI sono stati creati per raggiungere gli obiettivi di riduzione di emissioni di diversi paesi. Il CDM permette ai Paesi sviluppati (Annex I) di generare Certified Emission Reduction (CER) grazie a progetti di mitigazione in Paesi in via di sviluppo. Il JI ha un simile scopo ma include il trasferimento di risultati di mitigazione tra le Parti Annex I.

I paragrafi 6.4-7 dell’Accordo di Parigi contengono informazioni sul futuro del CDM e il JI e definiscono quello che è stato informalmente definito meccanismo per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Mechanism, SDM). Nel periodo antecedente la COP21, il Brasile ha sostenuto il miglioramento del CDM esistente. A prima vista, l’SDM potrebbe sembrare molto simile ai meccanismi già esistenti, tuttavia ci sono delle differenze sostanziali:

● Tutte le Parti che hanno sottoscritto un INDC per l’Accordo di Parigi – ovvero la grande maggioranza – hanno il diritto di utilizzare gli strumenti dell’SDM, per raggiungere gli obiettivi di mitigazione definiti negli INDCs stessi. Nel CDM e nel JI, invece, l’accesso era differenziato tra le Parti  Annex I e Non-Annex I;

● Il paragrafo 6.4 si riferisce al fatto che l’SDM deve produrre una riduzione complessiva delle emissioni globali. Con il CDM ciò non è espressamente previsto: ogni tonnellata di emissioni risparmiata in una Parte Non-Annex I può essere usata per produrre l’equivalente in una Parte Annex I. Ciò implica che, nel migliore dei casi si ottiene un gioco a somma zero. In generale sussiste però una concreta probabilità di aumentare le emissioni anche per i problemi collegati al doppio conteggio e alla credibilità del CER.

 

Cosa manca per rendere l’Articolo 6 più efficace?

“L’accordo di Parigi è come un contratto di matrimonio nel quale ci si è sposati ma non è stato deciso chi debba lavare i piatti” ha dichiarato Mandy Rambharos (Eskom International / Delegazione Sudafricana) durante il quarantaquattresimo incontro del Subsidiary Body on Scientific Technical and Technological Advice (SBSTTA). Questa frase riassume perfettamente lo stato delle negoziazioni attuali sull’Articolo 6. I principali punti da chiarire sono:

● Definizioni: il testo dell’Articolo 6 rimane ambiguo e un’interpretazione condivisa e univoca deve ancora essere raggiunta. Uno degli argomenti controversi è quello dell’integrità ambientale, che può essere cruciale affinché i trasferimenti di emissioni siano riconosciuti in tutto il mondo;

● Governance e status giuridico: lo SDM è stato chiaramente posto sotto l’autorità del CMA ed è probabile che assuma le sembianze del CDM. Tuttavia la sua composizione e il suo ruolo devono ancora essere definiti, così come lo status giuridico del meccanismo;

● Contabilità: è necessario trovare un equilibrio tra trasparenza (Articolo 13) e flessibilità, per permettere ai governi di misurare le unità di riduzioni di emissioni facilmente. Le Parti devono inoltre concordare una strategia per prevenire il fenomeno del doppio conteggio delle unità di riduzione delle emissioni.

Nei meccanismi introdotti dall’Accordo di Parigi si trovano degli elementi di miglioramento. Tuttavia rimane ancora molto lavoro da svolgere sia sul piano tecnico che su quello politico, per assicurare una nuova e solida cooperazione tra le Parti per raggiungere gli obiettivi definiti nei rispettivi NDCs.

 

di Gabriele Motta, Rachele Rizzo, Martin Salmon e Guillaume Le Labousse

 

 

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