Parigi
I pronomi dell’elezione presidenziale francese
In Francia, due candidati si sfideranno al ballottaggio di domenica 7 maggio: Macron vs Le Pen.
Uno scontro tra un giovane liberista pro-Europa senza un vero partito alle spalle e la candidata di un partito di destra, antieuropeista e nazionalista, dal passato (e forse purtroppo anche un presente) fascista.
Il ballottaggio è anche riassumibile come uno scontro tra i grandi centri urbani, – Parigi in testa – che non sentono la crisi economica e possono permettersi di parlare di Europa, di integrazione, di globalizzazione e libero mercato, e i piccoli centri e le regioni francesi più povere che hanno paura di perdere tutto, di essere invasi dal sedicente flusso di migranti, di non riuscire più ad andare avanti, in fondo… di morire.
Macron non sembra voler rispondere alle paure della provincia, Le Pen invece si propone come la salvatrice, in stile Trump, con il ritornello già sentito anche chez nous “prima la Francia”.
C’è il vero rischio che Le Pen possa vincere. Rischio reale. Ma da cosa è dettato questo rischio?
Penso sia una questione di pronomi. Una possibile alleanza tra un “noi” e tanti “io”.
Sia Macron che Le Pen parlano di un “noi”, ben diverso tra loro, chiuso, identitario e franco-francese per Le Pen, (relativamente) aperto, europeista e liberista per Macron. Due proposte opposte, ma che promettono una visione nuova della Francia e la risoluzione dei problemi.
Gli elettori sono quindi chiamati a scegliere quale dei due “noi” preferiscono.
Ma c’è un’altra buona parte di elettori – domenica scopriremo la percentuale esatta – che rifiuta di aderire a uno di questi due “noi”. Sono coloro che al secondo turno si asterranno o voteranno scheda bianca. Urlando lo slogan “ni Macron, ni Le Pen”, rischiano di consegnare la Francia in mano alla destra nazionalista, antieuropeista e xenofoba, a quel “noi” lepenista che fa paura.
Questo atteggiamento è tipico di una parte della classe francese medio-alta, colta e che si sente intellettualmente superiore, che porta a guardare gli altri (candidati e votanti) con sufficienza e quasi compassione. Loro, i futuri astenuti, mettono al primo posto il loro “io”, “io non posso votare né per Macron, né per Le Pen”, “io non mi riconosco né in Macron né in Le Pen e quindi non voterò”, senza capire che quell’”io” non dovrebbe esistere in questi momenti.
Il sistema elettorale francese a doppio turno è fatto proprio per far esprimere l’”io” al primo turno e poi poter – o dover – convergere verso un “noi” al secondo turno.
Dire che Macron e Le Pen sono uguali è negare la storia della Francia e dell’Europa e non votare al secondo turno è dichiararsi alleati del “noi” lepenista.
Tra un mese ci saranno poi le elezioni legislative per eleggere i parlamentari, sarà quella l’occasione per ritornare a far valere le proprie idee con candidati eletti in piccoli collegi uninominali, espressione dei partiti e dei territori.
Domenica, come già accadde nel 2002 nello scontro tra Chirac e Le Pen padre, è invece auspicabile che prevalga un “noi” nazionale ed europeo che abbia a cuore il bene non solo della Francia, ma anche di tutta l’Europa, già resa fragile tanto a Nord con la Brexit che a Sud e a Est con le tensioni europee e non solo, dovute all’arrivo e alla gestione dei migranti.
Se domenica vincerà il “noi” lepenista in alleanza con i molti “io” intellettualoidi, la Francia sarà più povera e chiusa, l’Europa più fragile e meno solidale. E tutti “noi” con lei.
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