Parigi

Francia, il divieto del velo integrale compie 5 anni: tanto rumore per nulla

12 Ottobre 2015

L’11 ottobre la legge “interdisant la dissimulation du visage dans l’espace public”, ha compiuto 5 anni. Il provvedimento vieta qualunque indumento che copre il volto (quindi anche maschere e passamontagna) nello spazio pubblico ma era (è)  rivolta, in maniera piuttosto esplicita, all’uso del burqa e del niqab.

Fu il Governo Sarkozy, attraverso  l’allora  ministro della Giustizia Michèle Alliot-Marie, a promulgare nell’ottobre del 2010 questa legge, che punisce con una multa fino a 150 euro (o con uno stage di “cittadinanza”) chi, nello spazio pubblico  — quindi per strada, sui trasporti pubblici, negli ospedali, nei centri commerciali… —  usa un burqa o niqab. La legge prevede anche una multa di 30mila euro e il carcere per chi obbliga la donna all’uso dell’indumento in questione.

Precisazione: il niqab è il velo integrale, che lascia scoperti solo gli occhi, il burqa è un abito che copre interamente la donna, non mostrando nemmeno gli occhi. Il suo uso è diventato “famoso” grazie ai talebani afghani. (Qui  la scheda de Le Monde).

Nel 2010 il ministero degli Interni stimava in 2000 le donne che in Francia usavano questo tipo di velo, su una popolazione musulmana presunta di 5 milioni di individui, cosa che fa della Francia il primo paese in Europa per numero di cittadini di religione musulmana. Va precisato che la stima è probabilmente al ribasso semplicemente perché in Francia le statistiche etniche e/o religiose sono vietate in nome dell’ideale repubblicano, che vuole che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge.

Lo spirito della legge è semplice: «Vivere la République a visto scoperto: è una questione di dignità e di uguaglianza. È una questione di rispetto dei nostri principi repubblicani», disse all’epoca  Alliot-Marie. perché «Il velo integrale dissolve l’identità di una persona in quella della comunità. Rimette in causa il modello di integrazione “alla francese”, fondato sull’accettazione dei valori della nostra società».

A cinque anni dal provvedimento il Governo sostiene che si tratta di una legge applicata con moderazione e senza grandi difficoltà.

Quante multe e quanti fermi sono stati effettuati? Nel 2012 sono state 332 le donne fermate, 383 nel 2013 e 397 nel 2014. Nel 2015, ad oggi, sono 200 le donne fermate e verbalizate. Per un totale di circa 1500 multe. Dice l’Osservatorio sulla Laicità che le donne fermate hanno in media tra i 20 e i 29 anni, sono nate in Francia e vivono soprattutto nella regione parigina e nel nord del Paese.

La legge ha creato grandi discussioni al momento del voto: ci si chiese se non fosse rivolta a punire una sola comunità, in secondo luogo c’era — e c’è — un problema di applicazione: come avvicinare le donne? In quali casi farlo?

Henri Guaino, che è stato il braccio destro di Sarkozy durante la sua presidenza, pochi giorni fa ha detto che di fatto questa legge non è applicata. La polizia, attraverso Nicolas Comte porta-parola del sindacato Unité SGP Police FO conferma a Le Monde: «Sin dal principio abbiamo detto che sarebbe stata una legge di difficile applicazione. (…) Ci pensiamo due volte prima di metterci in situazioni complicate in alcuni quartieri. Inoltre c’è molto lavoro e ci si chiede anche se mobilitare forze per una infrazione non grave».

Ricordiamo che nel 2013 a Trappes (banlieue nel nord della regione parigina, considerata una delle più difficili di Francia) il fermo di una donna ha scatenato giornate di violenza urbana.

Visti i numeri del fenomeno del burqa/niqab c’è chi dice, come Mohamed-Ali Adraoui, insegnante e ricercatore di Sciences-Po, che la legge del 2010 per i musulmani di Francia è un “non evento” proprio per i numeri microscopici che rappresantano coloro che lo uso.

Ed è per questo motivo che molti dei meccanismi di applicazione e accompagnamento messi in atto sono ad oggi inutlizzati: primo tra tutti il sito governativo “visage-decouvert” (viso scoperto, ndr), che doveva occuparsi di fare informazione sulla legge non esiste più, mentre le associazioni che dovevano occuparsi dell’aspetto pedagogico legato (controlli, accompagnamento, campagne) non hanno fatto nulla (Le Monde riporta alcuni esempi).

Al contrario c’è chi sostiene che la legge del 2010 ha sì funzionato, ma per fare “proselitismo”. Agnès de Féo, sociologa e documentarista che si occupa del niqab, spiega che prima del 2010 l’uso del niqab era concepito all’interno di un percorso religioso, dopo la legge è diventato per alcune donne una forma di rivendicazione contro una società considerata ostile. Le Monde riporta anche l’esempio di alcune donne che lo mettono nonostante il parere contrario del marito, a rivendicazione del libero arbitrio. Quindi il niqab per qualcuno ha cambiato significato: da elemento religioso si è trasformato in un fattore identitario.

Il contario esatto di quello che la legge avrebbe voluto.

Per finire c’è il caso, estremamente mediatizzato, di Rachid Nekkaz, uomo d’affari algerino che si dice contrario al niqab, ma a favore della libera scelta. Nekkaz ha pagato in cinque anni 973 multe delle 1500 emesse, semplicemente per sostenere le donne che hanno subito il fermo e manifestare la sua contarietà al provvedimento.

 

Foto: Freedom House/Flickr

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