Parigi
61, il bar parigino dei reporter di guerra
Con la testa pelata e lo sguardo misterioso, Rémy Ourdan somiglia a Marlon Brando nel ruolo del colonnello Walter Kurtz, il cattivissimo soldato americano ribelle di Apocalypse Now. Come Walter Kurtz, Rémy Ourdan conosce bene la guerra. Da più di vent’anni è reporter per il quotidiano Le Monde e ha seguito sul campo alcuni dei più sanguinosi conflitti dagli anni Novanta a oggi: l’assedio di Sarajevo, la guerra in Bosnia, quella in Kosovo, il genocidio del Ruanda, i conflitti in Eritrea, Etiopia e Sierra Leone, le guerre in Afghanistan e Iraq, le rivolte arabe e la guerra in Libia fino ad alcuni dei più recenti conflitti legati all’insorgere dell’Isis.
A differenza di Walter Kurtz, Rémy Ourdan, quando non è a lavoro, di guerra non ne vuole proprio parlare. Da un tipo come lui è inutile aspettarsi avvincenti monologhi sugli orrori della guerra tipo quello del Kurtz-Brando in Apocalypse Now. I suoi discorsi sono di tutt’altro tenore: «non ne potevo più», confessa Rémy Ourdan. «Ogni volta che tornavo da una missione mi ritrovavo coi miei colleghi a parlare di guerre. E mi chiedevo: ma dove sono le ragazze? Perché ci ritroviamo sempre noi, sempre nello stesso bar a raccontarci sempre le stesse cose? Mi sembrava di aver perso il contatto con la mia città, con la sua gente, la sua cultura. Allora, insieme a qualche collega e un paio di altri amici, abbiamo deciso di aprire un locale tutto nostro».
Il locale di Rémy Ourdan & Company si chiama Bar 61 e si trova in rue de l’Oise, nel diciannovesimo arrondissement, a due passi dal canal de l’Ourcq. Tra i soci del bar ci sono il giornalista di Libération Jean Hatzfeld, il fotografo di guerra Laurent van Der Stock, il reporter del Journal du Dimanche Karen Lajon, Adrien Jaulmes del Figaro e il fotografo Patrick Chauvel. Il bar è arredato in una maniera semplicissima e mai pensereste di essere nel ritrovo preferito dall’élite dei reporter di guerra francesi: qualche foto appesa ai muri di mattoncini marroni, il bancone in legno, due rubinetti per spillare birra, un jukebox che suona dei classici rock e una sala di una trentina di metri quadrati con pochi tavoli e una dozzina di sedie.
Per capire che il 61 è un posto speciale bisogna dare un’occhiata alla sua programmazione. Mostre fotografiche, anteprime di importanti festival internazionali per corrispondenti di guerra come il Prix Bayeux-Calvados o il Visa pour l’Image di Perpignan, presentazioni di libri, concerti di musicisti siriani rifugiati in Francia. Al 61 diverse generazioni di reporter e aspiranti reporter hanno l’occasione di confrontarsi tra loro e conoscere le culture dei paesi in cui hanno lavorato o andranno a lavorare. Forse a Rémy Ourdan non piacerà molto, ma se passi una serata al 61, vuoi o non vuoi, finisci sempre per parlare di qualche guerra e del suo reportage.
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