Giustizia

Tutti bravi a fare le schiene dritte con le miserie di campagna di Maniaci

11 Maggio 2016

«Conosco Pino Maniaci, è affetto da narcisismo e smisurata logorrea. L’impressione è che la situazione gli sia sfuggita di mano ma francamente dubito sia un estorsore». Senza giri di parole e barocchi ricorsi, il regista Franco Maresco si affida a un’intervista al Fatto Quotidiano, annettendo il fondatore di Telejato all’italico archetipo cinematografico (e non solo) che suona con un “Lei è un cretino ma adesso esagera!”. Messa così, e vista più dal geniale autore di Cinico TV che da quello di Belluscone, potremmo tuttavia forse ritenere esaustivo il profiling di un personaggio che qualcuno in preda al facile linciaggio mediatico, vorrebbe inserire nei classificatori di Criminal mind piuttosto che in una gag in perfetto (e fisiognomico) stile Mario e Pippo Santonastaso. Tuttavia, il caustico ritratto dell’ottimo Maresco basta a farne di Maniaci un criminale al pari di un Riina o di un Ciancimino qualsiasi?

«Ok, posso anche aver sparato alcune minchiate nel privato: e alloraaa?», ha sbraitato il fondatore di Telejato ai cronisti. Del resto, della propria relazionale dozzinalità e rozzezza espositiva è lo stesso Maniaci a ritenersi reo confesso in una conferenza stampa tenuta insieme ai propri difensori. Nonostante Ingroia: che ora, da avvocato, subisce una tragicomica legge del contrappasso su cui un po’ tutti si stanno inevitabilmente esercitando in varie colonne, con qualche comprensibile divertimento. Una conferenza stampa il cui schieramento di telecamere ammassate e puntate al bersaglio, le cui agitatissime penne dei cronisti e le cui minacciose posture da assedio, ricordano molto il finale fotografico di The Blues Brothers quando, a conclusione della corsa, Belushi e Aykroyd – al piano 102 dell’ufficio tasse – si ritrovano circondati da centinaia di militari e poliziotti di tutti i corpi d’armata possibili e immaginabili, con i fucili spianati. Insomma: per come sono andate le cose, a quell’incontro coi giornalisti tenuto nello studio legale Parrino, mancavano solo i neonazisti dell’Illinois e magari anche la petulante e paranoica ex fidanzata in questa storia di bassi gossip e miserie di campagna.

Che Maniaci con i suoi carichi di eccessi e vanterie si sia ad un certo punto calato nel piacere pirandelliano dell’antimafia credo sia pacifico, giusto per scomodare il più noto Luigi di Agrigento piuttosto che l’oramai stra-citato Leonardo di Racalmuto in punto di professioni. Ciò detto però, tutta la vicenda ha un significativo tot di cose che non tornano. Soprattutto nelle unanime reazioni di stampa e “figli di”, dunque non solo nell’inchiesta che coinvolge il “Santonastaso” di Partinico che ne ha visto il prelievo dei Carabinieri alle 2 di notte come fosse un pericoloso latitante per poi notificare un mero divieto di dimora spalmato nelle province di Palermo e Trapani, mica un 41 bis. Una inchiesta a strascico di cimici e intercettazioni della procura di antimafia di Palermo che nasce prima delle inchieste di Telejato sulla parentopoli dei magistrati e sull’Affaire Saguto. Sulle tracce di possibili infiltrazioni mafiose nei comuni di Borgetto e Partinico, i Carabinieri piazzano una serie di cimici negli uffici comunali. Maniaci viene giusto “colto casualmente” nell’ormai virale video della benemerita dove il sindaco allunga un paio di banconote da 50 euro che si concludono con la frase del primo cittadino di Partinico “chissà Pi’, se hai ancora problemi… mettiteli in tasca…». L’accusato si difende: «Erano soldi per la pubblicità dell’emittente, spot della moglie del sindaco».

È su quei “problemi” che Michele Costa (uno a cui la sola parola “antimafia” fa peraltro venire l’orticaria), figlio del procuratore capo di Palermo ucciso dalla Mafia il 6 agosto del 1980, che si accendono però perplessità e dubbi. «Mah… Se Maniaci avesse voluto portare seriamente “a reddito” una pericolosa attività minatoria, avrebbe puntato a somme più ben alte e non provare a scippare una o più carte da 50 euro per la sua attività. A meno di elementi concreti non ancora emersi, mi pare che ci si trovi davanti ad uno straccio più che ad un estorsore. Non capisco poi perché non ci si stia invece interrogando a sufficienza su quella inquietante intercettazione della Saguto dove con l’interlocutore auspica che si spiccino perché Maniaci ha le ore contate”», fa notare l’avvocato Costa. Già. L’inchiesta Saguto e la parentopoli dei magistrati peraltro su un distretto, quello palermitano, dove il 43% dei beni sottratti alla Mafia in Italia sta tutto dentro la Conca d’Oro. Vicenda Saguto che comunque – piaccia o non piaccia – Telejato ha inoppugnabilmente tirato fuori per prima, fatta la tara delle cadute di stile del personaggio Maniaci. Vicenda che meriterebbe altri spazi di approfondimento e analisi che possano andare oltre il fascicolo che abita a Caltanissetta anche oltre la ricerca di un mero e ossessivo dato panpenalistico a buon uso di altri destinatari, uomini di legge e di dottrina più che di comunicazione, per intenderci.

«Non capisco quali meriti abbia Maniaci, la storia della Saguto la sapevano tutti, non vedo dove stia lo scoop», fanno notare un paio di cronisti palermitani. Già. Portate pazenza, però: tutti chi? Forse gli inossidabili e mitici “addetti ai lavori” e una buona porzione di c.d. classe dirigente della borghesia palermitana, che sembra saper tutto-di-tutti: non certo l’opinione pubblica da Lampedusa fino a Vipiteno prima che la “Saguto Espugnata” giungesse sui tavoli delle redazioni solo dopo i servizi di Telejato. Il resto poi è pura cronologia ed è comunque difficile buttare tout court anche il lavoro di cronisti dell’ultimo miglio come quelli di Telejato. Dopo l’emittente di Maniaci, che per prima accende i riflettori sul caso parentopoli&giudici, arrivano Le Iene e l’importante intervista di Repubblica al prefetto Caruso che lo condurrà poi inevitabilmente a deporre davanti alla Commissione Antimafia con imbarazzanti alterchi della Bindi a Palazzo San Macuto.

Per tutto il resto, una volta ufficializzata l’inchiesta giudiziaria – portate pazienza – il culo di Maniaci ha fatto comodo un po’ a tutti nel circo(lo) mediatico di Palermo. «A Partinico c’era la fila di colleghi che andavano a prendersi le carte da Pino, anche firme navigate della giudiziaria che ora gli danno addosso…», racconta sconfortato l’inviato di una testata nazionale che non ha per nulla apprezzato canea e linciaggio di Maniaci e che sull’Affaire Saguto ha dedicato diversi approfondimenti. Raccolgo anche altri sfoghi da parte di chi, tra i “colleghi”, non vuol essere cooptato alla canea: «Non ho parole, si attaccano ai cani impiccati. Ma ti rendi conto? Condannano Maniaci quando il figlio di Ciancimino ne ha fatte di cotte e di crude tra esplosivi tenuti in casa e processi per calunnia a go-go in so quanti tribunali che abbiamo perso il conto. Erano tutti a stargli dietro… Telefonate al figlio di Don Vito al limite dello stalking per quantità di richieste, carte e rivelazioni, inseguimenti con le moto. Era l’oracolo vivente dell’antimafia. Non mi sembra abbiano poi trattato Ciancimino come oggi trattano Maniaci». Le voci critiche su come si è mosso il “circo” mediatico, al momento si contano però sulla punta delle dita.

«Non se ne può uscire sempre con battute Maniaci, per favooore!», incalza infastidito in conferenza stampa un cronista con un fare che manco la Leosini mentre ingaggia un confronto con un pluriomicida dentro una saletta del carcere di Opera. «Aaaah, sarebbero soldi per la pubblicitàaaaa? E dove sono le fatture? Le fatture! Le fatture! Vogliamo vedere le fatture!»,  incalzano altri cronisti, con tanto di impietosa mimica facciale, quasi fossero nel pieno di blitz internazionale delle Fiamme gialle in una sede fittizia contemplata dai Panama Papers con capitale sociale a cifre da zeri infiniti. Ora. Hai visto mai alcuni di questi Woodward & Bernstein della Conca d’Oro adottare pari piglio o la stessa aggressività quando in conferenza stampa a rispondere (pure con battute, eccome) è un presidente del consiglio, un ministro, un alto dirigente nazionale di Confindustria con farlocca delega alla legalità, un presidente della regione e via andare.

Hai visto mai, anche alle dozzine di conferenze stampa di magistrati e investigatori dove spesso si celebra una fiera di fellatiose intelletualità e incondizionate carinerie senza fine, di quelle dove capita pure di sentire la cronista che a volte ostenta perfino il confidenziale “tu” al magistrato (leggasi perfino, non persino), dove il Ruffianesimo più potè del Cattolicesimo, dove certa eleganza spesso cede il posto alla paracula compiacenza più che alla cordialità istituzionale. Hai visto mai un cronista che in una conferenza stampa abbia chiesto, senza necessariamente scomodare quel tipo di atteggiamenti compunti alla Travaglio (che per qualche pessimo emulatore/trice fa magari figo) o tanto meno usare lo stesso improvvido tono inquisitore adottato con Maniaci, formulare una seconda o terza domanda del tipo: «Scusi, dottore, pardonne-nous, senza nulla togliere al vostro costante operato – ritiene forse azzardato chiedervi dove eravate quando per decenni alla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo si consumava l’Affaire Saguto? Davvero non vi siete accorti di nulla? I vertici del Tribunale hanno risposto a Legnini che non possono dare la lista completa delle consulenze perché non si riesce a ricostruire la mappa degli incarichi per quantità e articolazioni (e facessero una visura camerale, no?). Ci sono per caso ancora posizioni non ancora emerse?».

No cari “colleghi”, almeno una significativa parte di voi, portate pazienza. Che Maniaci fosse anche un personaggio calzante per impareggiabili registi come Ciprì & Maresco, per una puntata di Cinico Tv, ottimo per una pellicola come Lo Zio di Brooklyn o Il Ritorno Di Cagliostro, lo sapevate tutti, lo sapevamo tutti. Lo sanno soprattutto le teche strapiene di audio e video che riguardano l’animatore di Telejato. Chiediamoci piuttosto come e perché un caso delicatissimo come l’Affaire Saguto e la parentopoli dei magistrati in prima battuta sia venuta fuori solo dagli schermi di Telejato, non altrove e con altre firme. Chiediamoci quanta fatalità delle coincidenze ci possa essere in questa vicenda o se la mera fatalità delle coincidenze non venga cavalcata a buon uso di compiacenze, facili redenzioni o – peggio – per mostrarsi in molti casi più antimafiosi di certi antimafiosi in questo patetico e competitivo talent show. Viene facile facile attaccare una sagoma di questo tipo con una indignazione come quella messa in scena nella conferenza stampa dell’indagato e suoi avvocati (nonostante Ingroia; e due) tra mille indignate interruzioni e considerazioni, quasi solo seconde alle stragi del ’92 e altri ben più drammatici episodi di cronaca, verrebbe da dire.

Viene facile facile attaccare e “attaccarsi” ora ad una storia che assume connotati da miserie di campagna, riuscendo a mettere in secondo piano miserie, furbizie e scorciatoie di una borghesia palermitana che sa tutto-di-tutto e tutto-di-tutti, solo nei salotti di Via Principe di Belmonte et similia e non fuori da quei “confini” (immutati, dai tempi in cui Leonardo Sciascia le raccontava a Pannella pari-pari come fosse oggi). Non sarà ora certo una improvvida sezione speciale del tribunale mediatico per le misure di Redenzione a fare giustizia cavalcando comode miserie di campagna.

twitter: @scandura

 

 

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