Letteratura
Se un cuore esplode a Brancaccio
Dario LEVANTINO, “cuore bomba”, Fazi editore pp. 265, Euro 16,00.
C’è nella parlata palermitana un aggettivo usato per dire che una cosa o una persona piace ed è gradevole: si dice che è “saporita”. Non occorre un glottologo per capire quanto sia ricco e vasto il campo semantico che precipita in questa parola e però l’immagine è chiara: ci si riferisce al cibo. Magari non a un cibo particolarmente lavorato e raffinato, ma a una pietanza capace di accendere i sensi. Tutti i sensi, non solo il gusto. Questo aggettivo appare utile anche per dire di “Cuore bomba”, ultimo romanzo del palermitano Dario Levantino pubblicato da Fazi: un romanzo “saporito”. Perché saporito? Non solo perché la sua lingua possiede una consapevole varietà stilistica e lessicale e una ritmicità davvero molto interessanti e soprattutto (deo gratias) lontane da ogni manierismo, ma soprattutto perché la vicenda raccontata si sviluppa nel contesto di una Palermo che, per quanto piegata alle esigenze della mimesi letteraria, mantiene il suo fascino. E Palermo in questo libro è una città il cui fascino è fatto di colori, di odori (più o meno piacevoli), di sapori, di mescolanze sociali, culturali, linguistiche, di feroci contraddizioni, di cronotopi luminosi e cangianti che la rendono inconfondibile. Esattamente in questo contesto, Rosario, un sedicenne nato e cresciuto nel quartiere/universo degradato di Brancaccio, tenta disperatamente di rimettere in piedi la sua famiglia: Maria, la madre anoressica, il padre che li ha abbandonati, che lui stesso ha denunciato e che si trova in galera, il fratellastro che nemmeno lo vuol vedere e il suo cane fedele e combattente. E poi c’è Anna, la sua ragazza: misteriosa, selvatica, taciturna, forte. Anna sa come si sta al mondo, sa come cavarsela, sa come fare a trascinarlo via e a salvarlo dall’abisso. Un romanzo “saporito” in cui il protagonista, che frequenta (mal sopportato per via della sua estrazione e del suo quartiere) un liceo classico di antica tradizione e di sicuro prestigio, si muove come una specie di novello Telemaco che prova invano a tenere in piedi o a ricostruire l’epos ideale della sua famiglia. Penelope non aspetta il ritorno di Odisseo e si lascia morire; Odisseo non rivela alcuna nobiltà e nessuna nostalgia di Itaca; di mostri ce ne sono anche troppi e tali da rendere impossibile la navigazione di ritorno. Nessuna ricomposizione: al di là della disperata serietà di un adolescente che sente il dovere di fare l’uomo di casa, al di là dell’amore per una madre che cerca la morte, al di là della fasulla assistenza di servizi sociali mossi da ben altri interessi che aiutare un ragazzo in difficoltà, al di là della mafia e della violenza che dominano quel quartiere, al di là della scuola grettamente classista, al di là persino del prete che gli sta accanto e lo rispetta senza chieder nulla (come faceva Don Pino Puglisi), è la stessa struttura violenta della realtà che condanna quel sedicenne a fallire. Automaticamente, nello scontro tra “cuori secchi” e “cuori bomba”. E questo è tutto. Tutto, sebbene il finale contenga una sorpresa e resti aperto. Una durezza inesorabile che rende questo romanzo degno d’esser letto. La durezza della realtà che abbatte ogni illusione e, se ci si chiede perché questo pessimismo sia oggi così necessario, appare evidente che la risposta si trova nel bisogno di verità e di autenticità che nessuna “narrazione” politica, nessuna telecamera o webcam, nessuna strategia di comunicazione, possono spegnere o appagare. Bisogno che vale per Palermo, città affascinante, bellissima e meno violenta oggi di quanto si era rivelata violenta qualche decennio fa, ma ancora caratterizzata da sacche di povertà, arretratezza, sottocultura, dominio mafioso. Bisogno urgente in ogni sud del mondo che, per quanto possa presentare un’immagine edulcorata da folklorismi più o meno occulti o da una patina di politicamente corretto, non va tradito nella sua verità storica, economica, culturale. Detto questo, ci sono poi, nel tessuto di quest’opera, dei motivi che danno spessore al protagonista e agli altri personaggi ma non sembrano adeguatamente meditati e ben integrati nel racconto: la mitologia classica che fa spesso capolino ma non diventa mai sostanza; l’importanza, la vitalità e al contempo la miseria della tradizione dei licei classici italiani; il calcio, che sembra intrecciato al senso stesso della vita del protagonista in modo forse un po’ eccessivo; il rapporto di Rosario con la cultura letteraria (il suo sentirsi come Oliver Twist); il rapporto troppo diretto con episodi e figure della cronaca più violenta e attuale della città (lo “spaccaossa” ad esempio). Motivi interessanti certo, ma che appesantiscono il romanzo e non aggiungono granché alla sua economia complessiva.
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