Palermo
Quando Pisa era regina dei mari
Nel tempo in cui accaddero i fatti di cui parliamo, della Balarm “La splendente”, della quale si è tanto favoleggiato, restava ben poco, ci si trovava infatti di fronte ad un agglomerato urbano, segnato da edilizia fatiscente dove, come racconta il viaggiatore ibn Hawqal, regnava sporcizia e fetore. L’unica zona di un qualche pregio era quella della cittadella fortificata della Kalsa dove, già dal tempo della dinastia Fatimita e per ragioni di sicurezza interna, si era spostata l’area di governo cittadino.
Da quando infatti, era stato cacciato l’ultimo emiro della dinastia Kalbita, l’amministrazione della città era nelle mani del qadì e del consiglio cittadino. La floridezza di un tempo, fondata in larga parte su una attività poco nobile come il commercio degli schiavi, non si dimentichi che il porto di Palermo era divenuto il principale approdo per le flotte saracene che saccheggiavano le coste tirreniche e terrorizzavano soprattutto le popolazioni che vivevano sulle coste, era ormai un ricordo lontano.
Nonostante ciò, la città faceva gola alla flotta della repubblica marinara di Pisa che intendeva farne base per i suoi commerci ma, non bisogna sottacerlo, per le scorrerie piratesche che spesso intraprendeva nei territori occupati dai saraceni.
Fu così che, approfittando della avanzata normanna – che, vittoriosamente, stava riportando all’occidente cristiano le contrade siciliane – nel 1063 i Pisani intavolarono con Ruggero d’Altavilla trattative per attaccare da alleati Palermo. La proposta appariva allettante, avere dalla propria la potente flotta pisana significava avere la vittoria in pugno ma, non è del tutto chiaro il motivo – qualche cronista fa intuire una certa diffidenza del normanno nei confronti della Repubblica marinara, Ruggero ad un certo interruppe le trattative rifiutando l’offerta.
I Pisani si trovarono, dunque, spiazzati perché anche se vincenti, si rendevano conto che non sarebbero stati in grado, da soli, di mantenere stabilmente la conquista. L’idea di rinunciare attraversò sicuramente la mente degli ammiragli pisani, ma l’avidità che li contraddistingueva era tale che il progetto di conquista stabile venne convertito intenzione di saccheggio. I Pisani, infatti, decisero di attaccare da soli.
Ed infatti, approfittando della sorpresa, puntarono dritto verso il porto di Palermo, spezzarono la catena che impediva l’approdo alle flotte non desiderate e, dopo essersi impossessati di sei imbarcazioni che si trovavano alla fonda e che erano colme di bottino, misero a ferro e fuoco la zona portuale della città. Provarono persino a prendere terra in una zona presso la foce del fiume Oreto. Qui un loro reparto cavalleria che era stato appena sbarcato sbaragliò le milizie arabe accorse a difendere il territorio. Ma, a quel punto, soddisfatti del risultato, col loro carico di ogni ben di Dio, , così come era arrivati si reimbarcarono abbandonando la città.
Una decisione quasi certamente frutto di una chiara intelligenza della situazione; i Pisani si resero infatti conto di non avere forze sufficienti per resistere ad un assai probabile contrattacco dei saraceni.
Quella flotta, carica di un bottino di inestimabile valore, fece dunque vela alla volta di Pisa dove venne accolta dalla popolazione con manifestazioni di giubilo.
E qui, il racconto di un altro pezzo di storia. Ci si può chiedere che fine fece quel bottino. Per soddisfare la nostra curiosità basta dare una lettura, anche rapida, ad un’iscrizione posta nel Duomo di Pisa. Essa ci racconta come la decima parte del frutto di quel saccheggio fosse stata destinata ad innalzare proprio le mura dello splendido edificio religioso, realizzato su progetto dell’architetto Buscheto e dedicato a Maria Assunta, il cui completamento avvenne cinquant’anni dopo, nel 1118.
A testimonianza di quel saccheggio a Pisa rimane ancora un magnifico grifone che faceva parte del bottino.
Devi fare login per commentare
Accedi