Palermo
Palermo: ‘Rabbia sociale latente, per ora’
Intervista a Roberto Greco, giornalista
Il rapporto pubblicato martedì dall’OIL e dedicato all’impatto della pandemia sul mondo del lavoro sottolinea ripetutamente la necessità di proteggere i lavoratori del settore informale, più vulnerabili alle misure di lockdown e privi di ammortizzatori sociali. La raccomandazione riguarda, in particolare, i paesi in via di sviluppo, ma non dobbiamo dimenticare che l’Italia, pur essendo la terza economia europea, ha una forte quota di economia sommersa, difficile da quantificare, ma, secondo i vari dati a disposizione, all’incirca il doppio di Francia e Germania. Nei primi anni 2000 l’ISTAT collocava l’economia sommersa tra il 16% e il 18% del PIL. Nel 2012 un rapporto Eurispes, Italian Spread, ipotizzava addirittura che circa un terzo del PIL, pari a 530 miliardi di euro, sfuggisse ai radar delle autorità, di cui la metà circa appannaggio della criminalità organizzata. Lo scorso autunno ancora l’ISTAT ha fissato il valore della cosiddetta ‘economia non osservata’ a oltre 200 miliardi, il 12% del PIL nazionale, e i lavoratori irregolari a 3,7 milioni (nel 2005 erano meno di 3).
Al sud, dove rappresenta il 19,4% del valore aggiunto (contro il 14,1% del centro e l’11% del nord), il sommerso svolge in larga misura anche la funzione di ammortizzatore sociale, funzione che oggi però rischia di saltare per gli effetti della pandemia. Secondo il rapporto SVIMEZ 2019 le famiglie con due o più redditi nel Mezzogiorno sono il 29,2%, contro il 52,7% del centro-nord: in termini assoluti a sud 2,2 milioni di famiglie sono monoreddito, 1,2 senza reddito e 1,5 con due o più redditi e 822.000 vivono in povertà assoluta. Una stima fatta dalla CGIA qualche anno fa, secondo cui il 44% dei rapporti di lavoro in meridione sarebbe in nero, aiuta a completare il quadro. Con questi numeri l’impatto del COVID-19 e delle misure di contenimento prese dal governo a marzo potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Nei giorni scorsi alcuni tentativi di ‘assalto ai supermercati’ a Palermo ed episodi analoghi a Napoli e in altri centri del sud hanno spinto proprio il direttore dello SVIMEZ Luca Bianchi a parlare di ‘bomba sociale’, uno scenario che – ha spiegato – ‘fa molta paura anche perché il coronavirus si inserisce in un contesto di indebolimento sociale’ (HuffPost280320). Dell’impatto delle misure di lockdown e dell’ ‘indebolimento sociale’ del Mezzogiorno abbiamo parlato con Roberto Greco, giornalista dell’emittente Radiotvazzura di Palermo, collaboratore di vari siti di informazione, esperto musicale e animatore del blog BadBox, in cui si occupa di cronaca, mafie, musica, letteratura e molto altro.
Partiamo innanzitutto dai fatti. Si è parlato di ‘assalto ai supermercati’. Cosa è successo concretamente?
Per quanto riguarda Palermo ci si riferisce a un episodio di due settimane fa, ma più che di un assalto si è trattato di una sorta di tentato ‘esproprio proletario’. Alcune persone hanno fatto la spesa e al momento di pagare hanno detto ai cassieri di non avere i soldi perché hanno perso il lavoro e hanno tentato di uscire. A quel punto sono state bloccate le porte, è arrivata la polizia e dopo una lunga trattativa la merce è tornata sugli scaffali. Poi c’è stato il caso di un gruppo Facebook, dove sono stati pubblicati alcuni post contenenti incitamenti all’assalto ed esplicite minacce di passare alle vie di fatto se si fosse presentata la polizia. Girava voce che la Procura avesse aperto un fascicolo nei confronti degli amministratori del gruppo e degli autori di quelle minacce, ma in realtà è intervenuta soltanto la polizia postale, che ha chiuso la pagina.
E’ stata evocata l’ombra della mafia, anche il direttore dello SVIMEZ dice che la criminalità organizzata ha interesse a intervenire nella crisi.
Qui in città ci sono diversi soggetti, ad esempio, il banco alimentare, che distribuiscono beni di prima necessità a chi ne ha bisogno e ovviamente dopo la chiusura di molte attività economiche a seguito dei provvedimenti del governo la richiesta è cresciuta. Accanto a enti accreditati come il banco alimentare, ci sono anche iniziative autonome. Venerdì scorso Salvo Palazzolo, giornalista di Repubblica, nell’edizione locale del quotidiano ha raccontato una distribuzione di generi alimentari allo Zen, l’equivalente palermitano delle vele di Scampia, da parte di un pregiudicato e fratello di un boss della droga. Per questo il giornalista ha ricevuto anche delle minacce. Ma per la criminalità organizzata questo non è l’unico terreno di intervento possibile.
Facci qualche esempio.
Ce ne renderemo conto non appena verranno riaperti gli esercizi pubblici. Non dubito che i boss abbiano già iniziato a lavorare garantendo liquidità ai commercianti, visto che quella messa a disposizione dal Governo non basta. Ieri, ad esempio, alle frontiere italiane è stato fermato un furgone proveniente da un paese dell’est e con un carico di banconote per mezzo milione di euro. Alla guida c’era un italiano che, a quanto riferiscono le agenzie, sarebbe legato alla ‘ndrangheta. Gratteri ha già lanciato l’allarme e poi ci sono anche altri campanelli d’allarme e non solo qui al sud. La Guardia di Finanza oggi è intervenuta sulla prima gara d’appalto bandita da Consip per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di attrezzature sanitarie, arrestando un imprenditore in gara per un lotto di mascherine da 16 milioni. E poi ci sono alcune proposte inquietanti della politica, ad esempio quella del governatore della Liguria Toti di andare in deroga ai controlli antimafia negli appalti, che rischia di aprire la strada ad altri amministratori locali.
La mafia si inserisce in un contesto sociale fertile, fatto di disoccupazione, lavoro nero e miseria. Com’è la situazione qui a Palermo e che impatto sta avendo l’emergenza?
Palermo è una città in cui ci sono tantissime famiglie che vanno avanti perché c’è qualcuno che lavora in nero e queste famiglie oggi sono finite a reddito zero. Abbiamo il mercato dell’usato dell’Albergheria, che è un mercato di riciclo, in cui si vendono articoli di vario genere per pochi spiccioli e in questo modo ci si guadagna il pane quotidiano per la famiglia. E c’è anche il fenomeno degli artigiani di strada. Sono un soggetto non organizzato, cioè non sono iscritti alle associazioni di categoria. Ciascuno ha il suo banchetto in strada su cui tiene in esposizione e vende i propri prodotti. Sono un soggetto informale perché perlopiù guadagnano meno di 8.000 euro l’anno e quindi non devono presentare la dichiarazione dei redditi e la loro attività è stata in qualche modo normata dal Comune, che garantisce loro un certo numero di giornate l’anno in cui possono occupare il suolo pubblico. Ma ti potrei citare anche gli idraulici che lavorano a giornata facendo riparazioni nelle case. Sono tutte categorie di persone che non appena sono entrati in vigore i provvedimenti del Governo si sono ritrovate improvvisamente senza un reddito e che però non hanno diritto ad ammortizzatori o sussidi di altra natura. Del resto in questa città per molti la scelta è tra lavorare in nero e non lavorare. Paghiamo il prezzo di aver ignorato il problema di imprese con dipendenti mai messi in regola e ora la città per uscire dalla crisi ha bisogno di un’iniezione di denaro.
Come viene vissuta questa situazione? Con rabbia, disperazione o disorientamento?
In questo momento la città è divisa in due. Nella parte più povera non si respira ancora una rabbia diffusa in modo esplicito, ma il rischio che la collera monti, se va avanti così, c’è. Il banco alimentare non basta, così come non basterà la quota dei 400 milioni di euro stanziati dal governo che andrà al comune di Palermo. Poi c’è l’altra parte della città, quella più borghese, che invece ha il problema di trascorrere il weekend nella casa al mare e vive una situazione abitativa migliore. Perché un conto è fare la quarantena in uno di quelli che a Napoli chiamano ‘bassi’ di 12 metri quadrati da dividere con moglie e due figli, altra cosa è stare in un attico da 250 metri quadrati con internet e l’abbonamento a Netflix e ad Amazon Prime per distrarsi. A Palermo il 20% della popolazione in età scolare è senza wi-fi e non ha un pc né tablet. Anche la didattica a distanza in queste condizioni è impossibile e lo è a causa della povertà.
C’è il pericolo che questa situazione esploda con modalità da riot o da ‘forconi’ o ci sono soggetti associativi, politici o sociali, in grado di canalizzare la rabbia in senso più rivendicativo?
Più che le associazioni c’è una forte presenza istituzionale. Può sembrare strano ma, ad esempio in centro storico, cioè nella parte più degradata della città, ma anche quella che ospita i più importanti monumenti, la presidenza della circoscrizione sta facendo un lavoro incredibile, da cui è nata una vicinanza fisica tra politici e cittadini che mi sembra costituisca una sorta di calmiere della disperazione. Ma il punto è che quando sei disperato prima o poi una cazzata la fai.
E il sindacato?
Diciamo che non ce la fa a essere vicino a chi non ha mai tutelato. Così come è successo per i rider come poteva il sindacato tutelare i diritti di lavoratori che fino a quel momento aveva ignorato?
A proposito di sindacato, tu ti occupi di musica e di spettacolo in generale e anche questo è un settore dove i lavoratori stanno pagando il loro scotto al lockdown…
Sì, certo. Palermo è una città vivace dal punto di vista culturale, ospita due teatri molto importanti, il Teatro Massimo e il Biondo, con un cartellone di qualità e poi ci sono una miriade di piccole sale che permettono al popolo degli attori di lavoricchiare tutto l’anno. E poi qui arrivano le produzioni cinematografiche romane, che decidono, diciamo, così, chi vive e chi muore, ma portano altro lavoro. Ora gli attori sono al palo da un mese, costretti a fare dirette Facebook, e quel ‘minimo sindacale’ che consentiva almeno di sopravvivere si è volatilizzato. La stessa cosa vale per i musicisti che avevano un calendario di date già fissate e sono stati costretti ad annullarle e anche per tutto quel mondo che ruota attorno allo spettacolo, ad esempio uffici stampa che da un mese non riescono a buttare fuori una notizia che sia una. Anche questi sono lavoratori perlopiù senza tutele, perché in Italia, a differenza di altri paesi europei, non ci sono norme che consentano di affrontare la disoccupazione in questo settore. In Gran Bretagna, per fare un esempio, sono 40 anni che hanno una legislazione in materia.
Intervista tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 10 aprile.
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