Arte
Letizia Battaglia, una vita in trincea. Della mafia, della morte, dell’amore
DAI QUOTIDIANI AI GRANDI MUSEI. PASSANDO PER LA POLITICA
“Strappa da te la vanità, / Ti dico strappala. / Ma avere fatto in luogo di non avere fatto / questa non è vanità”. Dai “Canti Pisani” di Ezra Pound la memoria di Letizia Battaglia lascia affiorare, come un monito o uno statement morale, pochi versi infuocati. Una citazione rimastale nel cuore. Il senso di una vita spesa nel segno della volontà e dell’azione. Nell’urgenza di fare, di denunciare. Non per vanità, ma per dovere civile. Non per vanagloria, ma per esigenza interiore.
E a volerla scorrere ancora, quella lirica di Pound, l’assonanza con la biografia della grande fotografa palermitana appare ancora più decisa: “Aver raccolto dal vento una tradizione viva / o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata / Questa non è vanità. / Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare”.
E non esitò, Letizia. Non si fermò dinanzi ai cadaveri, ai morti ammazzati, alla disperazione dei quartieri popolari, alla follia sommessa e alla banalità del male, quando il male diventava norma, sistema, bavaglio, cappio al collo, piombo in fronte e fra le budella. Lei c’era, negli anni e nei luoghi delle stragi, quando furono i mitra e poi il tritolo, quando erano delinquenti di piccola taglia, come topi di fogna tra i rifiuti, e quando invece erano i boss, la cosche, gli intrighi a corte, le ombre dei palazzi.
Ha fotografato l’anima nera della sua terra, Letizia, iniziando come cronista dello storico quotidiano L’Ora, nel 1969, e proseguendo con una serie di imprese felici: varie collaborazioni con testate nazionali, nel 1974 la creazione dell’agenzia “Informazione fotografica”, al fianco di Franco Zecchin (e i nomi, tra gli altri, erano quelli di Josef Koudelka e Ferdinando Scianna). E le mostre nei musei internazionali, i festival, i premi prestigiosi, la politica militante (fu consigliera regionale e assessore comunale alle Cultura, negli anni ’80 e ’90), l’attività editoriale con la rivista Mezzocielo.
NON SOLO MAFIA. VITA, MORTE E BELLEZZA DI UNA TERRA DIFFICILE
E intanto, mentre cresceva la sua fama di “fotografa di mafia”, Letizia non dimenticava l’altra faccia delle cose, quella narrazione contigua di cui si nutrivano i giorni, tra i vicoli, a Palermo. Processioni, funerali, rituali di piazze e di persiane, volti di bambini scolpiti sotto il sole, occhi languidi, facce mediterranee, pistole tra le mani come vecchi giocattoli o palloni. Uomini, donne, pargoli, anziani, appartamenti mesti, poliziotti, ammazzatine, pozzanghere scarlatte, pomeriggi al mare, scritte sui muri, portoni sgangherati, scampoli d’aristocrazia, euforie, malinconie. Ovvero: la vita che scorre feroce, normale.
E così un’infinità di corpi, di facce: ritratti di gente comune, mischiati con quelli di Pasolini, Sciascia, Guttuso, e poi Salvo Lima, Vito Ciancimino, Leoluca Bagarella, Piersanti Mattarella tirato via dalla sua auto, cadavere.
Letizia Battaglia ha guardato tutto questo, spalancando le palpebre a dovere, rubando da ogni occhio antico la fiamma e intercettando racconti, bisbigli, memorie. Lo ha fatto puntando l’obiettivo senza tregua, lungo periferie geografiche ed umane irredimibili, indecifrabili. Letterarie. Là dov’erano il sangue, la superstizione, il misticismo ed il potere, la tenerezza e l’intrigo, l’eros e lo squallore. La morte, l’amore.
Unica regola: non sottrarsi. Non avere paura. Anche quand’era troppo: eccesso di violenza, eccesso di candore e di sorrisi, eccesso di polvere, di crepe, di crolli, di fognature, di terre da zappare, di saracinesche da sollevare, di altarini da santificare, di furti da organizzare, di omicidi da espiare. Di figli da tenere: sulle ginocchia, fra i marciapiedi, dai banchi del Malaspina alle sbarre dell’Ucciardone.
Letizia Battaglia, Anthologia – ZAC, Palermo – allestimento – ph Olimpia Cavriani
UNA RETROSPETTIVA A PALERMO
Fino all’8 maggio 2016 tutto questo è materia di una grande retrospettiva, curata da Paolo Falcone e accolta nei 2.000 metri quadrati di Zac, il Padiglione per l’Arte Contemporanea del Comune di Palermo. Gigantesco hangar, oggi cuore pulsante del mega complesso d’archeologia industriale dei Cantieri Culturali alla Zisa.
Densissima e necessaria, la mostra è l’atteso tributo della città natale ad un’artista apprezzata ovunque, oltreconfine. Mostra efficace, asciutta, monumentale ma senza sbavature. Il vuoto si lascia scandire da file e file di immagini parallele, scatti sospesi che svelano – sul fronte e sul retro – le pagine principali di un immenso archivio. Non c’è altro. L’ambiente (difficilissimo) viene domato con la potenza di questa partitura visiva. E con il rigore di un allestimento ordinato. Classico. Ma anche no. Perché se tutto è regolare e simmetrico, non sono le pareti – tradizionalmente – a prestarsi alla contemplazione. Le fotografie galleggiano. Rompono il vuoto per immettervi l’eco assordante dei decenni. E tutto è sapientemente mixato, senza capitoli, categorie, cronologie, suddivisioni per temi o per luoghi. Tutto insieme, tutto dentro. Com’è la vita, com’era – ed è ancora – lo sguardo di lei. Onnivoro, appassionato, generoso.
Percorrere lo spazio, consumando decine di scatti – alcuni già diventati icone, uno su tutti il ritratto della vedova Schifani – è un po’ come compulsare quegli archivi che i carabinieri, un giorno, decisero di violare: si presentarono in casa di Letizia e le chiesero tutti i suoi negativi. Quintali di foto. Lei li consegnò, disorientata. E da quella minuziosa ricerca emersero le immagini shock: Giulio Andreotti in compagnia del mafioso Nino Salvo. L’occhio indomito della reporter era inciampato in un pezzetto di verità sfocata, rubata per caso. Impudica. Un frammento che sarebbe stato testimonianza preziosa, durante il processo contro l’ex Premier e leader della Democrazia Cristiana.
Non c’è salvezza, dinanzi alle immagini di Letizia Battaglia. La lunga sequenza leva il respiro. Un imperativo categorico, lo scandalo della bellezza e dell’orrore, l’angoscia e la tenerezza, il lutto e la resistenza. La vita, ostinata, che incide il corpo livido di una terra convulsa, per sempre morente. E la morte che della vita si fa beffa, sapendosi vittoriosa. L’essenza della Sicilia, e specialmente di Palermo, è tutta qua. Interpretarne il senso, nel tempo di uno scatto, è roba da cronisti con la fame e la grazia di poeti. Gente che non esita, che non teme d’amare: “Quello che veramente ami rimane / il resto è scorie. / Quello che veramente ami non ti sarà strappato. / Quello che veramente ami è la tua vera eredità”. Pagine e pagine di rabbia e d’amore, fra tagli di nero-luce e infinite macerie.
Letizia Battaglia, Anthologia
a cura di Paolo Falcone
ZAC – Cantieri Culturali alla Zisa – via Paolo Gili 4, Palermo
fino all’8 maggio 2016
orari: da martedì a domenica, 9.30/18.30 – chiuso il lunedì
ingresso libero
Promotori: Comune di Palermo, Fondazione Sambuca
www.letiziabattaglia.com
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