Infrastrutture

Le vene aperte della Sicilia

14 Aprile 2015

Una delle poche certezze italiche è l’incapacità di afferrare il concetto di manutenzione. Anche delle promesse.  Il cedimento del pilone del viadotto della Palermo-Catania a seguito di un movimento franoso ha spezzato in due una regione già divisa dal resto del paese sia da un punto di vista geografico che da uno infrastrutturale. Quando un territorio insulare privo di una rete ferroviaria moderna e dotato di strade secondarie da quarto mondo si spezza in due, tutto diventa improvvisamente più nitido. Improvvisamente si materializza l’assenza di infrastrutture culturali, veri piloni sui quali poggiano le equivalenti di cemento armato. Usando un termine un po’ datato, i corpi intermedi.

 

IL SINDACATO

Diversi anni fa, mi ritrovai a fare attività di lobby a favore di una cordata straniera interessata a rilevare una storica fabbrica siciliana praticamente già fallita e che aveva urgente necessità d’esser salvata. Il management del tempo era ovviamente favorevole all’operazione; come da prassi andammo a discutere con i rappresentati dei sindacati. Uscimmo frastornati da quegli incontri. Il sindacato fece saltare l’operazione. E la ragione risiedeva in uno dei temi portanti di questo post: decisero di non voler esser salvati. Non capirono che non vi erano altre strade percorribili. Si parlava di qualche centinaio di operai. E la ragione era un approccio culturale fermo agli anni 70, per esser generosi. Per curiosità sono appena andato a controllare come se la passano e a parte la parola “agonia” che si ripete in ogni articolo, sono proprio falliti.

Morale: non si può salvare chi non vuole esser salvato. 

 

LA POLITICA

Sempre un po’ di anni fa, sempre attraverso attività di lobby, provai a portare multinazionali estere interessate ad investire in Sicilia nei P.O.R. 2007-2013 – i Piani Operativi Regionali e nello specifico, negli assi principali identificati dalla stessa Regione Sicilia tra i quali indovinate: ammodernamento delle infrastrutture ferroviarie e informatizzazione del sistema sanitario. Le aziende interessate erano/sono europee e lavorano in vari continenti occupandosi principalmente di quei tipi di servizi che ho appena menzionato. I POR equivalevano a svariati miliardi di euro. Ebbene, l’attività di lobby si concretizzava nella mera sollecitazione della classe politica dell’ARS a creare le condizioni affinché questi fondi potessero esser spesi: la strutturazione e conseguente pubblicazione di bandi e di gare. Ci confrontammo con tutto l’arco politico e vi risparmio le supercazzole che secondo loro giustificavano la loro inerzia. Una tra le più surreali era che l’allora ministro delle Finanze gli aveva bloccato i fondi. Giusto per informazione, soltanto il 18% dei fondi assegnati sono stati alla fine spesi. (tralasciamo qui il come). Poi basta leggere un qualsiasi articolo sul vanesio Crocetta per capire quanto buttanissima sia la Sicilia e in special modo la sua politica. Se la situazione non fosse tragica, sarebbe una farsa.

Morale: la politica sguazza nella melma e non ha nessuna intenzione di bonificare la palude. E di bonificarsi.

 

L’IMPRENDITORIA

Beh, sull’imprenditoria (familista) siciliana va geograficamente specificato che sicuramente il versante orientale é più industrioso e mobile di quello occidentale. Quest’ultimo segue più a tempo il minuetto che la politica dei palazzi palermitani imposta, causando una vera e propria paralisi del concetto moderno di sviluppo. La vicenda di Helg risulta paradigmatica al riguardo. Un imprenditore fallito a capo della Camera di Commercio. Un uomo per tutte le stagione politiche. Uno dei tanti collezionisti di cariche che ammorbano di alterigia e incosistenza la nostra società. In Sicilia, così come in Italia si tende a fare imprese con i soldi pubblici. E’ un concetto un po’ sui generis che si sta riproponendo nel nuovo e alla moda mondo delle startup e dell’innovazione. Da bravi gattopardi questo tipo di imprenditori si sta trasformando in finanziatori, generosissimi tra l’altro: i piani di incubazione, supporto – a costo zero per chi li eroga- si sprecano. I risultati invece, beh, quella é un’altra storia.

Morale: è facile fare gli imprenditori quando si rischia zero.

 

IL TERZO SETTORE

Lo scorso anno ero a Palermo quando si tenne la prima giornata della trasparenza e degli open data, organizzata dal Comune. Ricordo vividamente un gruppetto di 15-20 persone che si definivano i rappresentanti di un consorzio di 50 associazioni. Rimasi colpito dal livore – forse parzialmente giustificato dall’inazione del Comune – e soprattutto dalla pretesa di rappresentare tutto il mondo associazionistico locale. Lo stile al pari di quello sindacale, era molto obsoleto per l’embrione di società aperta nella quale ci sforziamo di operare. E tutte le legittime pretese, improvvisamente venivano vanificate da un’attitudine soverchiante e sgraziata. Fare comunità oggi, che sia profit o impresa sociale, richiede un’alt(r)a, diversa attitudine, una capacità di cercare il dialogo e il rispetto delle proprie prerogative. Quell’approccio violento é ormai fuori tempo massimo.

Morale: le imprese sociali devono adottare strumenti nuovi e intraprendere.

 

I PROFESSIONISTI DELL’ANTIMAFIA

Non mi sono dimenticato della Mafia. Lei regna sovrana. Semplicemente veste giacca e cravatta ed é contigua con tutti i mondi che ho appena citato. La Mafia si rigenera mantenendo uno stato di analfabetismo (sopratutto civico) inalterato. Nell’inerzia dei corpi intermedi, la Sicilia, già depredata al pari del Sud, da un approccio imprenditoriale settentrionale molto verticale (veniamo giù a usufruire di un mercato e non a creare sviluppo) si appoggia ai professionisti dell’Antimafia. Ho già citato Helg, ma sono presenti in tutti i settori. Sciascia aveva visto lungo. Ai professionisti dell’Antimafia interessa mantenere lo status quo. E ci riescono egregiamente.

Morale: diffidate sempre della superficie e raschiatela un attimo per vedere se abbellisce il nulla cosmico.

 

LA/E PARTE/I MIGLIORE DELLA SICILIA

Infine, ci sono gli innovatori sociali, categoria trasversale che opera nel terzo settore, nel privato e nel pubblico. Di sicuro c’è la volontà di provare strade nuove, ancora non battute in quei territori. E c’é anche il talento. E questo abbonda in Sicilia – e in tutto il sud. Quello che realmente manca, e mi riaggancio al punto sui corpi intermedi é l’assenza di una infrastruttura culturale, che crei quell’amalgama tale da aumentare sensibilmente l’impatto di tutte le pratiche che in piena discontinuità con lo status quo, creano valore economico e sociale ai siciliani. Mancano le regole d’ingaggio, il senso di squadra. Ci sono tante parti che non si sentono La Parte più virtuosa della Sicilia. Ci sono sempre beghe locali, provinciali, di piccolo cabotaggio, voglia di piazzare la propria bandierina e gattopardi infiltrati che rimestano nel torbido. Le realtà virtuose non mancano, manca la voglia di fare squadra, di andare oltre l’ego individuale al fine di creare un ego collettivo. Un “noi.” Un nuovo senso, più avvolgente e significativo, di comunità. Con amici palermitani all’estero ma anche in loco, attraverso Palermo Jam, assieme ad altre realtà culturalmente affini, stiamo provando a rompere recinti autoreferenziali (nicchie fini a se stesse) e a costruire ponti tra le varie comunità locali con l’obiettivo di amplificare l’impatto di questo moderne pratiche aperte. Di solito, quando parlo di questo generalmente concludo con la citazione di Tolstoj che cito come morale (della quale però non riesco più a trovare la fonte originale, per cui prendetela con le pinze).

Morale: gli onesti dovrebbero imparare dai disonesti a collaborare. Quando sono minacciati, i disonesti, nonostante perseguano fini eterogenei, sanno collaborare e  le loro alleanze diventano granitiche.

 

E quindi, la Sicilia, donna lussuriosa ma trasandata, giace in uno stato di abbandono per sua stessa volontà. Le vene aperte mostrano il sangue che pulsa e le infezioni che la debilitano. Una storia di soggezione culturale e l’incapacità di credere nel proprio talento. Ma soprattutto un’assenza d’amor proprio. L’impossibilità – finora – ad auto-emanciparsi.

Il titolo di questo pezzo vuole essere un omaggio a Edoardo Galeano, scomparso ieri. Suo il famoso saggio “Le vene aperte dell’America Latina” nel quale,  ripercorrendo la storia di quella regione, ne denunciava lo sfruttamento economico e il controllo politico europeo prima e statunitense poi. Il saggio, pubblicato nel 1971 venne bandito dalle dittature di destra brasiliane, cilene, argentine e uruguaiane. E lui fu costretto al carcere prima e all’esilio poi. Luis Sepulveda, un altro intellettuale della regione perseguitato dalle dittature, ricorda che durante la sua permanenza nel carcere di Temuco, il suo aguzzino analfabeta gli permise di tenere Le Vene avendolo scambiato per un libro di pronto soccorso. E poi termina il suo ricordo così:

Alguna vez, en un abrazo, porque Eduardo Galeano dice que los encuentros entre compañeros son paréntesis marcados por dos abrazos, le dije gracias hermano por La Canción de Nosotros, esa novela escrita en la derrota y para que los derrotados sintiéramos que valió la penas esa batalla, que valió la pena darla y perderla, pese al precio pagado.
Hasta siempre Eduardo Galeano. Hasta siempre oriental. Hasta siempre hermano.

 

Una volta, mentre ci abbracciavamo, perché Eduardo Galeano dice che gli incontri tra compagni sono parentesi segnate da due abbracci, gli dissi grazie fratello per La Nostra Canzone, quel romanzo scritto nella sconfitta e affinché noi sconfitti sentissimo che quella battaglia fosse valsa la pena; che fosse valsa la pena farla e perderla, nonostante il prezzo pagato.

 

Foto di copertina di Antonio Saso da Livesicilia.it

Smottamento in prossimità del viadotto Scorciavacche, arteria limitrofa della Palermo-Agrigento, Vicari 11 Marzo 2015

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