Palermo
“La lapide quadrilingue” un reperto unico della Sicilia normanna
La storia siciliana è stata storia di positive contaminazioni che hanno lasciato significative impronte nella sua cultura e nelle evidenze artistiche e architettoniche che ne segnano il territorio.
Alcune di queste impronte sono state così profonde da divenire modello di riferimento sul cammino delle civiltà della nostra Europa, altre sono state superficiali, delle pennellate appena abbozzate che il tempo e gli eventi hanno, in gran parte, cancellato.
Tuttavia, per una sorta di vendetta della storia, una vendetta che ha avuto come esecutori materiali e ideali le interpretazioni ideologiche che se ne sono date, proprio queste tracce superficiali, spesso confuse fra le altre o appena leggibili, sono state proiettate sul palcoscenico della storia e impresse nell’immaginario collettivo come quelle più significative e importanti, a cui non si può che fare riferimento allorquando si discetta sulle civiltà che si sono succedute nell’isola.
Ad avere subito una certa penalizzazione è stata la Sicilia normanna, schiacciata fra la esagerata esaltazione della stagione islamica e il mito retorico dello stupor mundi.
Eppure, a dispetto delle letture politiche della storia Siciliana, proprio quello normanno, insieme a quello della Sicilia classica e della Sicilia barocca, è stato quello che ha dato di più al patrimonio artistico e architettonico dell’isola.
Proprio dell’età normanna è, infatti, il reperto di cui Giovanni Tessitore, – professore di sociologia giuridica in pensione appassionato di storia medievale – ci racconta nel suo “I mille enigmi della lapide quadrilingue” pubblicato a cura della benemerita, sul piano dell’impegno culturale, Banca popolare sant’Angelo.
Il reperto, una piccola lapide funeraria databile fra il 1149 e il 1153, costituisce un hapax, cioè un unicum, almeno per quanto riguarda la Sicilia, fra le lapidi funerarie, anche perché redatta in quattro lingue – latino, greco, arabo e giudaico – testimonianza di una Sicilia poliglotta e di una società multiculturale. Una lapide che è divenuta ormai uno dei simboli rappresentativi di Palermo.
Un reperto che, però, nasconde tanti misteri e che, in ogni caso, ci fa capire quanta complessa fosse la realtà sociale del regno normanno di Sicilia.
L’unica certezza che si ricava dall’analisi del reperto è che il suo committente sia stato un tale Crisanto, dignitario della corte normanna, e che fosse destinata al sacello di una tale Anna, verosimilmente la madre dello stesso Crisanto.
Particolare di questa interessantissima ricerca è anche l’approccio scientifico, l’autore infatti utilizza tecniche di investigazione così da trasformare la ricerca stessa in una sorta di giallo abbastanza intrigante.
Un libro che stimola curiosità intellettuali e che può essere letto, per la qualità della scrittura, come un lavoro letterario di grande qualità e che, in ogni caso, ci costringe a riconoscere che Palermo e la Sicilia, costituiscono un giacimento culturale inesauribile tanto da far “gridare” a Goethe, <qui è la chiave di tutto >
Il volume contiene anche un’interessante postfazione del prof. Adalberto Magnelli, illustre paleografo dell’università di Firenze.
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