Beni comuni

Assolto il luogotenente Paolo Conigliaro, ora si riaprano le sue indagini

20 Ottobre 2022

Conigliaro stava indagando sulle relazioni tra mafia, politica e appalti nel Comune di Capaci. Nel mirino delle sue indagini notabili locali, politici, amministratori e imprenditori.

Assolto. La Corte di Appello Militare di Roma, lo scorso 12 ottobre, riformando la sentenza di primo grado del tribunale Militare di Napoli del 15/12/2021 che aveva condannato il luogotenente Paolo Conigliaro, all’epoca dei fatti Comandante della Stazione Carabinieri di Capaci, a 5 mesi e 5 giorni di reclusione militare, oltre al pagamento dei danni da statuirsi in sede civile alle parti offese Luna Salvatore e Misuraca Andrea, all’epoca dei fatti oltre che appartenenti all’Arma dei Carabinieri erano anche Consiglieri Comunali del Comune di Capaci.

La Corte di Appello Militare di Roma ha quindi prosciolto il Conigliaro ai sensi dell’art. 529 C.P.P. dichiarando l’improcedibilità mentre il coimputato, altro militare dell’Arma, è stato invece assolto ai sensi dell’art.132 bis. C.P.P. ossia per tenuità del fatto.

Improcedibilità. Il senso dell’art. 529 del C.P.P. è chiaro: la condizione di procedibilità attiene a un elemento necessario per poter procede penalmente, e se all’esito del dibattimento emerge che l’azione penale non doveva nemmeno essere iniziata o comunque proseguita, il giudice provvede in tal senso. Ergo, il luogotenente Conigliaro non avrebbe dovuto finire sotto processo.

Si chiude quindi il lungo iter processuale che ha riguardato il luogotenente Paolo Conigliaro, in una lunga e ragionata operazione di delegittimazione. Tutti contenti? Ovviamente no perché la domanda sorge spontanea: e le indagini che il Conigliaro stava seguendo che fine hanno fatto? Il luogotenente Conigliaro stava indagando sulle relazioni tra mafia, politica e appalti nel Comune di Capaci. Nel mirino delle sue indagini notabili locali, politici, amministratori e imprenditori.

Per meglio capire di cosa si stia parlando bisogna, però, tornare al mese di novembre 2017 quando, a Capaci, comune in provincia di Palermo, l’amministrazione era quella dal sindaco Sebastiano Napoli, eletto con la coalizione “La Voce – Napoli Sindaco”, “Amicizia”, “Capaci Nel Cuore – Napoli Sindaco”, “A – Autonomia per Capaci”. In quel periodo, nello specifico il 10 novembre, fu messa al decimo punto dell’ordine del giorno della convocazione del Consiglio Comunale la «Richiesta di attestazione e dichiarazione interesse pubblico, per il successivo rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, ai sensi dell’art.14 comma 1 bis del DPR n.380/2001 e ss.mm.ii. recepito nella regione Siciliana dall’art.1 della L.R.n.16 del 10/08/2016 relativa agli immobili presenti nell’area industriale dismessa dell’ex stabilimento Vianini, da destinare ad attività commerciale. Ditta P.R. srl legale rappresentante Angela Pisciotta». Mancavano pochi mesi alle elezioni amministrative e tutto ciò, agli occhi distratti della popolazione fu ritenuta come un’operazione elettorale che mirava a conquistare il voto degli elettori con la dimostrazione che l’amministrazione aveva a cuore la possibilità̀ di favorire la creazione di posti di lavoro sul territorio. L’area in questione, originariamente a destinazione artigianale, comprende circa trenta ettari e si trova in via Vittorio Emanuele, dove c’è un fabbricato oramai diroccato, scheletro dell’attività precedentemente insistente, quella del Gruppo Vianini, «attivo dal 1892, ha accompagnato l’evoluzione industriale del Paese sviluppando la propria presenza dapprima nel settore dei lavori pubblici e successivamente in quello della produzione di manufatti in cemento armato destinati alle infrastrutture stradali, ferroviarie e di approvvigionamento idrico. Negli ultimi anni il Gruppo ha dismesso le proprie attività industriali e oggi è impegnato nel settore immobiliare dove intende soddisfare le esigenze residenziali della società contemporanea» come si legge sul sito web della società.

Per essere un po’ più pratici a Capaci, in quell’area, si costruivano pali in cemento e quella stessa area, dopo la dismissione da parte di Vianini, era stata destinata, nel piano triennale delle opere pubbliche 2013/2015 del Comune di Capaci, alla costruzione di una caserma.

Uno dei dati interessanti deriva dall’analisi delle società interessate all’operazione immobiliare-commerciale e che compartecipano alla P.R., la società citata nell’OdG dell’8 novembre 2017. Si tratta della A.P. service e della C.D.S. spa. La società al momento della delibera dell’amministrazione Napoli era intestata ad Angela Pisciotta, vicepresidente di Ance Palermo, e a Massimo Michele Romano, titolare della catena di supermercati Mizzica-Carrefour Sicilia arrestato nel maggio 2018 in seguito dell’inchiesta nissena Double Face assieme al paladino dell’Antimafia, Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia poi condannato a quattordici anni e quattro mesi in primo grado e condannato in appello dalla Corte d’Appello di Caltanissetta a 8 anni per «associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico».  Ma in questa vicenda non c’è solo il nome di Romano che porta all’indagine nissena. Anche per la società proprietaria dell’area ex Vianini salta fuori lo studio legale Schifani Pinelli, il cui fondatore è Renato Schifani, ex presidente del Senato e oggi Governatore della Regione Sicilia, anche lui indagato dell’inchiesta Double Face e ancora oggi sotto processo a Caltanissetta per violazione di segreto.

Le indagini dei carabinieri avevano accertato «il coinvolgimento, a vario titolo, di taluni consiglieri comunali già appartenenti all’Arma», evidenziando il ruolo dell’avvocato Francesco Agnello, già coinvolto nel cosiddetto Sistema Sesto/San Giovanni in cui l’imputato principale era Filippo Penati, poi assolto e in parte prescritto.

Invece il nome di Angela Pisciotta compare, de relato, nell’inchiesta della procura di Catania sui Durc falsificati alla Cassa Edile etnea. Tra le società coinvolte c’è la Pisciotta Costruzioni, impresa con sede a Camporeale che, secondo gli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza, avrebbe beneficiato del rilascio di un documento unico di regolarità contabile pur non avendone i requisiti. Nell’inchiesta è coinvolta Maria Raspante che, all’epoca dei fatti, era la rappresentante legale della Pisciotta Costruzioni, società fondata negli anni Cinquanta da Calogero Pisciotta, il marito, e attiva nel settore dell’edilizia pubblica e privata. A guidarla, nel 2017, è la figlia Angela. Ingegnera gestionale, la donna siede al tavolo di Ance Palermo nelle vesti di vicepresidente. Una carica cui la Pisciotta è arrivata dopo essere stata presidente del gruppo giovani imprenditori di Ance in provincia.

Proprio sull’opaca situazione sviluppatasi a Capaci in quegli anni, aveva indagato il luogotenente Paolo Conigliaro, che ricostruì frequentazioni degli amministratori con mafiosi condannati con sentenza definitiva per il reato di cui all’articolo 416-bis, monopolio dei lavori di movimento terra per le concessioni edili rilasciate dal Comune da parte di società riconducibili a contesti mafiosi, vicende investigative relative ai funzionari comunali, processioni religiose con inchini e soste presso l’abitazione di soggetti riconducibili al contesto mafioso, confraternite religiose cui risultano iscritti mafiosi e funzionari comunali, appalti, vicende inerenti alla polizia municipale e l’ammanco per migliaia di euro di buoni pasto del comune, realizzazione di impianti di distribuzione di carburanti direttamente correlati con l’amministrazione comunale oltre, non potevano mancare, a presunte attività di voto di scambio politico-mafioso.

Ma che fine fecero queste indagini? Il luogotenente Conigliaro scrisse un voluminoso rapporto che avrebbe dovuto portare allo scioglimento per inquinamento mafioso del Comune di Capaci mentre era sindaco Sebastiano Napoli. In realtà il dossier non arrivò mai sul tavolo dell’allora prefetto di Palermo Antonella De Miro, perché finì chiuso nei cassetti del comando provinciale dell’arma dei Carabinieri di Palermo complice il processo militare aperto nei confronti del Conigliaro, vicenda squallida ma, soprattutto, arma di distrazione di massa. In realtà non è stato sicuramente fulgido l’operato della Procura di Palermo con archiviazioni particolarmente fragili sulle indagini condotte dal luogotenente Paolo Conigliaro, mancanza di fulgidità che lambisce anche la prefettura di Palermo, i cui vertici, pur conoscendo possibili comportamenti omissivi, preferirono il tacere al posto dell’agire.

Non fu sicuramente facile invece per il Conigliaro che, da quel momento cominciò a subire vessazioni, gli fu impedito di “mettersi a rapporto” con il comando di Regione e con il comandante generale dell’Arma sino a essere destituito dal comando della stazione.

Il caso area industriale ex Vianini è tutto dentro questo faldone che nessuna autorità ha mai voluto realmente leggere. Nemmeno la Procura di Palermo perché, il 1° giugno 2018 il PM, il Sostituto Procuratore della Repubblica dottor Enrico Bologna, firmò una richiesta di archiviazione pur facendo esplicito riferimento alla «presenza di opacità» nelle vicende amministrative investigate. La richiesta di archiviazione fu depositata al gip il 5 giugno che la accolse il giorno seguente, il 6 giugno 2018, giorno in cui dispose l’archiviazione del procedimento e la restituzione degli atti al PM.

Ma le incognite sull’opaca gestione dell’area ex Vianini, non sono terminate con il cambio dell’amministrazione comunale perché, proprio nella relazione generale del Piano Regolatore dell’ottobre 2019, redatto dal responsabile dell’Ufficio del Piano e Progettista arch. Giuseppe Messina e firmato dal sindaco Pietro Puccio, una zona D2, con destinazione esclusivamente commerciale, compare ubicata nell’area ex Vianini, anche se limitatamente a Ha 2,2. Va inoltre ricordato che il 27 novembre 2020, al quarto punto dell’ordine del giorno del Consiglio Comunale, era prevista una «Mozione consiliare di revoca delibera di Consiglio Comunale n.78 del 10/11/2017», mozione a firma del consigliere di opposizione Erasmo Vassallo. Durante la discussione la maggioranza, anche alla luce delle (non) indagini che si erano sviluppate intorno alla vicenda e sulla base delle scelte programmatiche effettuate dall’amministrazione, che individuavano in quell’area la costruzione di una struttura scolastica, dopo aver chiesto al consigliere Vassallo di ritirare la mozione, ha scelto di non cancellare quell’atto dall’opaca storia dell’amministrazione che governò Capaci dal 2013 al 2018, le cui motivazioni ancora non sono del tutto chiare, perché «la stessa non avrebbe sortito effetti, – ebbe a dichiarare allora, raggiunto telefonicamente, l’attuale Sindaco Pietro Puccio – prima perché al momento c’è un procedimento giudiziario in corso e secondo perché è stato già adottato il PRG, quindi, qualunque attività atta a modificarne lo stato non può essere svolta perché la competenza è dell’assessorato regionale».

Se, da un lato, appare oggi evidente che il luogotenente Conigliaro sia stato vittima di un gioco comune in Sicilia, ossia quello della legittimazione, è più che mai necessaria una risposta netta e chiara perché le patenti di legalità che vengono troppo facilmente distribuite servono a celare, e ce lo insegna la storia, i falsi cambiamenti e, spesso, a mantenere ben stretti vincoli e rapporti con un passato che bisognerebbe, invece, rinnegare con i fatti e non semplicemente con i sorrisi, o i like, e le sterili dichiarazioni. E ancora una volta, «Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente», come scrisse Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo “Il Gattopardo”. Capaci di cambiare? Sembra di no.

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