Musica
Dark Polo Gang: analisi di un fenomeno
La Dark Polo Gang è quello che si può dire una matrioska, perché ha vari livelli di espressione. Il primo è costituito dalle produzioni di Sick Luke, in sentor di vaporwave, e il secondo dall’immagine della gang, che sa di accelerazionismo. La Dark esteticamente funziona perché esaspera immaginari tipici del consumismo rendendoli una parodia. Ci giocano, intrattengono il pubblico. Siamo distanti dal Lol rap di Bello Figo e derivati web però, vista la strutturazione più articolata del progetto.
Già il motto “la ganga non si infama” non è solo una battuta. È una forma di difesa. Chi critica la Dark Polo lo fa solitamente perché esce fuori da schemi tipici di un’Italia che ha visto nascere l’hip hop (componente culturale) e rap (componente musicale) all’interno di contesti alternativi radicalizzati politicamente. Il “miglior rap in Italia” è quello politico, del popolo, pieno di problemi personali alternati a ricordi positivi.
Pochi comprendono che il rap game negli States è stato ribalta sociale: persone emarginate vogliono cambiare vita, puntando alla ricchezza da cui sono state sempre escluse. Questo comporta ambienti popolari, lotte, valori collettivi, certo, ma pure soldi, bei vestiti e ostentazione. Comporta narrazioni vivide dei disagi quanto narrazioni frivole e un po’ cafone della Bella vita, scaturite e cresciute lungo la consapevolezza della (propria) strada.
Le critiche mosse alla DPG sono le stesse sentite per Guè Pequeno, Dogo, Fibra ecc.. sono le stesse mosse alla scena trap sbucata dal nulla fra il 2015 e il 2016. Sono antiche, rivolte sempre a chi non è impegnato direttamente in qualche causa.
Ecco il luogo comune: chi è pop e leggero “tradisce” i valori originari, “sbaglia” a prescindere e non si comprende ogni caso in profondità.
Nel ‘76 facevano il processo a De Gregori
Nel 2017 lo stanno facendo alla scena (t)rap italiana.
Tutto ciò che stacca e volge all’intrattenimento è paura, peccato. Un comportamento bigotto rispetto a un ambiente che si definisce progressista. La musica è prima di tutto svago, serve ad alleggerire, a staccare la spina. Fare musica non equivale a fare lezioni. Questo non implica l’assenza di contenuto e perciò la ponderazione dei due aspetti porta al risultato migliore.
Un brano che funziona rappresenta sempre qualcosa, ma ciò può essere la vacanza al lago di 2 estati fa come i problemi della propria zona.
Tutto questo per affermare che nulla nel processo creativo deve essere imposto, non c’è nulla di più o meno giusto, o di completamente sbagliato. Perciò se si vuole criticare la Dark Polo Gang lo si faccia con coscienza di causa, e non solo perché “non portano messaggi”, “guarda che testi!”, “la trap fa schifo”. Fanno quello che vogliono e se ne sbattono altamente delle critiche, e cosi stanno dilagando in tutta Italia. La gente li segue per moda ma anche perché ci si ritrova. Rappresentano qualcosa. Si ritrovano nell’alterazione degli status symbol onnipresenti.
Sabato 27 maggio chi vi scrive ha visto la Gang al Parco della Musica di Padova, ed è stata una mezza delusione: erano completamente assenti, facevano karaoke sulle loro canzoni, e per karaoke intendo cantare sopra le proprie voci; per un 40 minuti scarsi di concerto, in aggiunta. Lo stile che visivamente hanno in video sul palco non solo si dimezza, si frantuma in mille pezzi, anche se la gente sotto palco canta Riviste, Pesi sul Collo e Caramelle senza fermarsi.
Critichiamo, allora, la Dark (e qualsiasi altro fenomeno di successo) con senno:
- Si: a livello visivo e sonoro sono penetranti e rappresentano un consumismo moderno sul viale del tramonto, deriso. La “cinta Ferragamo” di Pyrex goda di una visibilità concettuale cosi esasperata che alla fine si polverizza, diventando popper.
- No: dal vivo lo perdono perché non si impegnano abbastanza, diluendolo in uno show debole e ripetitivo, senza energia, risultando una facile masturbazione collettiva.
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Questo articolo è una nota a margine, post-ragionata, del loro concerto
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