Musica
La tragica fine di una fiaba operaia
James Henry Miller è alto, bellissimo, ha gli occhi d’aquila e la lingua tagliente d’una rabbia che non può essere dissetata e due mani da operaio, che la sua famiglia è venuta dalla Scozia in Inghilterra, spinta dalla fame, per lavorare nelle fornaci degli odiati invasori, ed ha ricavato più fuliggine e sangue che cibo. Papà William e mamma Betsy sono due sindacalisti socialisti, e non passa settimana senza che ci sia un’angheria, un sopruso, una minaccia, qualche ceffone. James è il più piccolo di tre, ma è l’unico che arriverà mai a compiere sei anni, perché gli altri muoiono di stenti.
William e Betsy, per arrotondare e non dimenticare chi sono, la sera cantano dei bar. Canzoni di disperazione e di lotta operaia, ballate scozzesi che risalgono fino a Mary Stuard, inni d’orgoglio di una patria calpestata da generazioni. Quando James compie 15 anni, nel 1930, la famiglia viene economicamente stroncata dalla Grande Depressione che colpisce tutto il mondo, ma soprattutto le nazioni ad alta concentrazione industriale come il Regno Unito e la Germania. James lascia la scuola e lotta con tutti i coetanei per delle singole giornate di lavoro come bracciante, manovale, facchino… quello che viene.
A 17 anni James è sposato con la direttrice di un teatro, scrive canzoni che canta in diretta alla radio, aizza gli operai alle manifestazioni di piazza. La Polizia lo arresta, lui perde il lavoro, lui e sua moglie vanno a vivere a Manchester, fanno una vita durissima di teatro di strada e fame e botte, e lui cambia il suo nome, troppo inglese, in Ewan MacCall. Nel luglio del 1940 viene arrestato e arruolato a forza nell’esercito, partecipa ad alcune azioni e scappa durante una licenza, nel dicembre dello stesso anno. E qui la sua vita diventa ancora più misteriosa: tutti sanno dove sia, viene registrato come disertore, ma non verrà mai processato – ma sua moglie lo lascia.
Lui lascia il gruppo teatrale in cui i due hanno lavorato insieme e canta da solista – e diventa in poco tempo la voce più alta ed amata di Scozia, e poi degli operai dell’Impero. Si sposa con la ballerina d’opera Jean Mary ed inizia a registrare su vinile: alcune delle sue canzoni sono talmente famose, che vengono cantate ancora oggi non solo dai Dubliners, che sono i custodi del folk tradizionale britannico, ma dai Simple Minds, dai Pogues, da Donovan, da Rod Stewart e da Frank Black, il cantante dei Pixies.
La sua seconda figlia Kirsty raccoglie in sé la grazia e la leggerezza della madre ed il tormentato furore del padre, più una delle voci più belle della sua generazione, considerata, fin da quando ha 10 anni, almeno alla pari con l’icona dei Fairport Convention, Sandy Denny. Mentre la carriera di cantautore marxista di Ewan prosegue fino alla sua morte, nel 1989, per una crisi cardiaca, circondato da una Scozia in lacrime che, davanti all’ospedale, solleva il pugno chiuso di rabbia e di cordoglio, Kirsty scrive canzoni d’amore, di rabbia, ballate sulla Scozia e sull’Irlanda e sugli emigrati irlandesi e scozzesi a New York – la città in cui ogni sogno muore e diventa una condanna a vita alla tristezza.
L’ultima moglie di papà Ewan è Peggy, sorellastra del famoso cantautore folk americano Pete Seeger, la introduce alla scena della costa orientale, in cui lei conosce Bob Dylan, Joan Baez e tutti i grandi che avevano dominato la scena tra la Grande Mela e Nashville per oltre vent’anni. Racconta Judy Collins, la straordinaria cantante folk che era stata la compagna di Stephen Stills: “Kirsty era sempre allegra e piena di ottimismo, considerava suo padre un vecchio affettuoso e noioso, non aveva soggezione di nessuno. Aveva cantato e suonato con tutti coloro che avessero un nome o un motivo per essere grandi, da Joe Strummer dei Clash al cantautore comunista Billy Bragg, da Paul McCartney a Stevie Wonder, ed era una grande professionista che si faceva amare per l’umiltà e la grande disponibilità”.
Ma il grande legame di amicizia Kirsty lo stringe con Shane McGowan e con i musicisti dei Pogues, tant’è che rinuncia ad alcuni tour da cantante solista per girare il mondo con gli epigoni della musica degli emigrati irlandesi a Londra. Nel 1985, spinta da Elvis Costello, scrive “Fairytale of New York” insieme a Joe Finer, che nei Pogues suona il banjo. La canzone riproduce una conversazione immaginaria tra due ragazzi irlandesi che, sposati ma senza lavoro, sono emigrati all’ombra della Statua della Libertà e vivono una vita di litigi, di delusione, di sofferenza.
I Pogues vendono il 45 giri per 2 milioni di volte. Ancora oggi “Fairytale of New York” è il brano che ogni radio, in Gran Bretagna, Irlanda ed America, suona ogni mattina di Natale. Ma la casa discografica presso cui sono depositate le sue canzoni, la Stiff Records, va in bancarotta, e negli anni successivi Kirsty canta nei dischi di Robert Plant (Led Zeppelin), gli Smiths, gli Abba, i Talking Heads, insomma tutti… Kirsty riemerge nel 1995 con una nuova casa discografica ed un nuovo disco solista, che entra in classifica nel Regno Unito. È diventata amica di Peter Gabriel, è ricca e sola, e quindi gira il mondo alla ricerca di nuove ballate tradizionali, nuovi suoni, nuovi musicisti. Il 18 dicembre del 2000, dopo un concerto oceanico ed una sessione di registrazioni a Cuba, va in una località messicana famosa per i tuffi dall’altura. Al secondo tuffo, un imbecille milionario messicano ubriaco alla guida di un motoscafo sbaglia l’entrata nella baia e finisce nell’area in cui ci sono i tuffatori, e la travolge, dilaniandola.
Di Kirsty rimane una panchina all’entrata di Soho, che lei aveva solo immaginato ed oggi esiste ed è intitolata a lei, e porta le righe delle sue canzoni. Ma resta anche una memoria indelebile. Il giorno del decimo anniversario della sua morte Billy Bragg e tutti i grandi del folk mondiale hanno organizzato e cantato in un festival dedicato a lei alla Royal Albert Hall, stipata in ogni ordine di posti – ed i cui proventi sono andato ad organizzazioni umanitarie attive a Cuba. E resta una canzone allegra nella sua tristezza, perché Kirsty diceva che “è facile essere malinconici come papà, la vera sfida a questo mondo crudele è batterlo con l’ottimismo e la gioia di essere vivi”.
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