America

Impeachment e impero: come cambia lo scenario politico americano

30 Settembre 2019

Sebbene la proposta di impeachment formulata dal partito democratico statunitense quasi certamente non destituirà il Presidente Donald Trump, la procedura è destinata a scuotere notevolmente lo scenario politico. Coinvolge, infatti, i principali candidati alle primarie democratiche, le quali entrano pian piano nel vivo, in una fase di sondaggi elettorali instabili. Fino a poche settimane fa, era pronosticabile la vittoria di Joe Biden, ex vice presidente di Barack Obama, alle primarie e l’affermazione di un qualsiasi candidato democratico contro Donald Trump alle elezioni generali. Nelle ultime settimane entrambe le ipotesi non sono più sicure.

Il candidato favorito alla nomination democratica sconta il peso di essere un politico di lungo corso, esponente dell’anima tradizionalista del partito, considerata dall’opinione pubblica più vicina a poteri forti e multinazionali che alla classe media. Argomenti usati sia da Trump che dall’ala sinistra del partito democratico. Quest’ultima si è mostrata capace di accumulare numerosi piccoli finanziamenti dei militanti, da contrapporre agli assegni milionari staccati a favore del front runner. La strategia della sinistra pare efficace, tanto che Joe Biden rimane favorito solo perché Bernie Sanders e Elizabeth Warren corrono separati (mentre alle scorse primarie la senatrice del Massachusetts sosteneva il senatore del Vermont).

La procedura di impeachment favorisce i due candidati di sinistra perché spinge il partito a un’opposizione dura nei confronti del Presidente, effettuata da un partito che mostra il suo volto più barricadero. Inoltre, agli occhi de popolo statunitense, le vicende legate all’impeachment inguaiano forse più Biden che Trump. Il Presidente potrebbe infatti sostenere che la richiesta di indagare il proprio principale avversario, effettuata alla controparte ucraina Volodymyr Zelens’kyj, sia stata accennata per mero spirito di giustizia Al contrario, il front runner democratico dovrà giustificare la rimozione di un alto procuratore ucraino che indagava sul figlio.

Il Presidente incontrerà maggiori resistenze tra gli apparati burocratici, dai servizi segreti al congresso, abituati a pensare agli Stati Uniti come un impero. Ogni impero che si rispetti non può appaltare la giustizia ad altre nazioni, in particolare quella effettuata da stati considerati vassalli verso i propri cittadini più importanti. Agli occhi degli apparati, il Presidente ha tradito la concezione stessa degli Stati Uniti come primo attore geopolitico mondiale. Probabilmente, l’attrito con i servizi segreti, i quali hanno come obiettivo principale la difesa dello status imperiale, ha rappresentato la molla che ha permesso alla vicenda di vedere la luce.

Non è detto che questo scontro con gli apparati sia deleterio per Trump, il quale ha spesso solleticato l’idea di smantellare lo status imperiale, causa di costi eccessivi per la classe media, derivati in particolare dalle delocalizzazioni produttive dettate dal libero mercato. Il Presidente ha vinto contro la sfidante Hillary Clinton anche perché ha preferito una narrazione economica a quella geopolitica, più vicina alle esigenze della popolazione che ai fasti imperiali. Un’eventuale sfida con Joe Biden avrebbe riproposto una contrapposizione già rodata. La telefonata a Zelens’kyj mostra che il tycoon newyorchese teme maggiormente l’ex vicepresidente che i due alfieri della sinistra democratica, i quali potrebbero combatterlo sullo stesso piano. Forse il presidente pensa di batterli semplicemente additandoli come pericolosi socialisti? Se così fosse, non sarebbe sintomo di una pericolosa sottovalutazione degli avversari?

 

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