Giustizia

Non fare lo stalker: la normativa antimafia applicata ai reati persecutori

14 Aprile 2019

STALKING, significa letteralmente “fare la posta”. Una parola che ormai è nel nostro slang e forse senza conoscerne il significato in modo preciso, la si associa immediatamente a quelli che sono una serie di comportamenti reiterati di tipo persecutorio, realizzati da un soggetto, persecutore, nei confronti della sua vittima. Atti lesivi continuati e tali da indurre nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore.

Il molestatore “assillante”, potremmo anche dire, sottolineandone quale sia l’aspetto caratterizzante della relazione ‘forzata’ e “controllante” che si stabilisce tra persecutore e vittima; relazione, quest’ultima, che finisce per condizionare il normale svolgimento della vita, generando in questa/o poverino, un continuo stato di ansia e paura.

Lo stalking non è un fenomeno omogeneo sicché non è possibile ricostruire un perfetto modello di condotta tipica, né tantomeno, un profilo tendenziale.

Nella maggior parte dei casi i comportamenti provengono da uomini, ma potrebbe essere chiunque a perpetrare le azioni moleste che possono realizzarsi in vari modi:

–          sorvegliare, l’inseguire, l’aspettare, il raccogliere informazioni sulla vittima, il seguire i suoi movimenti, ed ancora, attraverso le intrusioni, gli appostamenti sotto casa o sul luogo di lavoro, i pedinamenti e i tentativi di comunicazione e di contatto di vario tipo;

–          oppure, diffusione di dichiarazioni diffamatorie ed oltraggiose a carico della vittima, ed, ancora, la minaccia di violenza, non solo nei suoi confronti, ma anche rispetto ai suoi familiari, ad altre persone vicine o contro animali che le siano cari.

Qualunque sia la sua modalità dell’azione è essenziale che cagioni nella vittima “un grave disagio psichico” ovvero determini “un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina” o, comunque, pregiudichi “in maniera rilevante il suo modo di vivere”: in altri termini cioè, affinché la condotta persecutoria sia penalmente rilevante, è necessario che gli atti reiterati dello stalker abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.

L’art. 612 bis c.p., al primo comma, punisce chi attraverso condotte reiterate, minaccia o molesta qualcuno, in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona, al medesimo legata, tale da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.

Ai sensi del secondo comma, inoltre, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

Il comma successivo, prevede un aumento della pena fino alla metà, se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992,n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Ma gli stalker oggi sono ritenuti al pari dei mafiosi e come tali rischiano di subire nell’immediatezza il blocco o il sequestro dei patrimoni.

Per i responsabili di minacce, pedinamenti, molestie, telefonate, comportamenti ossessivi e odiosi, sono pronte le linee guida, che arriveranno ai questori, i quali, nel caso della fattispecie, potranno fare scattare la misura patrimoniale e procedere al sequestro o al blocco dei seguenti beni:

–          l’auto utilizzata per stazionare davanti all’abitazione della donna perseguitata;

–          il conto corrente in banca per fare regali compulsivi;

–          il cellulare, se da lì partono telefonate o messaggi a raffica di giorno o di notte.

 

I modelli dei nuovi provvedimenti arriveranno alle questure dallo Sca, il servizio centrale anticrimine del dipartimento di Pubblica Sicurezza, contro la minaccia della pericolosità sociale non solo di Cosa nostra. Nell’elenco dei destinatari delle misure patrimoniali e personali, previsto dal codice antimafia aggiornato, gli atti persecutori sono nella stessa lista dei reati di mafia, terrorismo, traffico di droga e di rifiuti.

La procedura dovrebbe articolarsi in questo modo. La proposta di sequestro è firmata dal questore, l’autorità provinciale tecnica di pubblica sicurezza, ed è applicata dall’autorità giudiziaria. Per gli stalker due sono le misure in ballo:

–          la sorveglianza speciale – prevede una serie di restrizioni alla libera circolazione e il divieto di frequentare ambienti e persone sospette

–          e il sequestro dei beni.

Prima di adottarle, il questore può emanare l’avviso orale: uno strumento di preallerta, non giudiziario, a dispetto delle apparenze, efficace quantomeno verso i soggetti in grado di rendersi conto subito, dopo la convocazione in questura, dei loro comportamenti illeciti, fino a redimersi.

Già negli scorsi si sono avuti delle ordinanze relative a sequestro di beni agli stalker.

Il GIP di Reggio Calabria, emanò un decreto di sequestro di un’autovettura intestata al soggetto imputato del reato di stalking ex art. 612-bis c.p. in quanto utilizzata, secondo l’accusa, per perpetrare gli atti persecutori ai danni della vittima.

Il Tribunale del Riesame rigettava la richiesta presentata avverso il provvedimento di sequestro e l’imputato presentava dunque ricorso per Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 321 c.p.p. vista l’assenza del nesso di pertinenzialità.

La Corte, rigettò il ricorso, in quanto dagli atti di indagine sarebbe emersa una serie continua di episodi, comprovati dalle immagini dell’impianto di videosorveglianza, nei quali l’imputato avrebbe reiteratamente utilizzato l’automezzo poi sequestrato per perpetrare molestie ai danni della vittima.

Dagli atti sarebbe quindi emerso il sistematico uso molesto del veicolo sequestrato così dimostrando l’esistenza del nesso di pertinenzialità di quest’ultimo con il reato di stalking ex art. 612-bis c.p., con una reiterazione delle proprie condotte nel tempo che ha determinato nella persona offesa un perdurante stato d’ansia.

La Corte ha dunque ravvisato uno stretto nesso strumentale tra il veicolo e le condotte di stalking che ne hanno giustificato il sequestro preventivo, e ciò al fine di evitare che la perdurante disponibilità della cosa pertinente al reato potesse protrarre o aggravare le conseguenze del reato.

Un altro aspetto importante è quello legato alle attività degli stalker anche sui social.

Con sentenza 30 agosto 2010 n. 32404, la Cassazione Sezione VI Penale ha riconosciuto espressamente i social network come potenziale strumento per il reato di stalking.

I social network fanno, ormai, parte integrante della nostra vita quotidiana, ma sono terreno fertile per numerosi atti illeciti, tra questi, anche molestie e stalking.

Con sentenza n. 57764 del 28 dicembre 2017 la Corte di Cassazione ha stabilito che, in riferimento allo stalking su Facebook, messaggi e filmati postati sui social network, possono integrare il reato di atti persecutori.

Secondo i giudici, il danno conseguente alla condotta, è non tanto costringere la vittima a subire offese o minacce online, quanto diffondere tra gli utenti della rete dati (veri o falsi) estremamente pregiudizievoli, fonte di inquietudine per la vittima stessa.

Per configurare il reato di stalking, è fondamentale il turbamento emotivo della vittima conseguente alle persecuzioni da lei subita.

Lo stalker che usa come veicolo di approccio con la vittima i social network, innesca un’ossessiva ricerca di un contatto personale o telefonico, chiamate vocali o messaggi dal contenuto osceno, insulti e minacce, invio di sms, mail.

A tal proposito, ricordiamo anche che con la sentenza 28 gennaio 2019, la Corte di Cassazione ha confermato la pena di 6 mesi applicata al ricorrente per il reato di atti persecutori aggravato dall’uso del mezzo informatico, perché utilizzava un ssitema di messaggistica istanataneo.

La Corte ha respinto le argomentazioni dedotte evidenziando la necessità di considerare la circostanza aggravante, l’uso del mezzo informatico come subvalente rispetto alle circostanze attenuanti generiche, sì da pervenire al tetto di pena concordato.

Ha quindi ritenuto che l’impiego della messaggistica whatsapp, rientri appieno nella circostanza contemplata al II comma dell’art. 612 bis c.p. che prevede, come noto, un aumento della pena, fra l’altro, qualora il reato sia commesso con l’uso di mezzi informatici o telematici.

Dal momento che non tutte le situazioni di stalking sono uguali, non è possibile generalizzare facilmente delle modalità comportamentali di difesa che devono essere adattate alle circostanze e alle diverse tipologie di persecutori.

Ma come difendersi?

Il primo passo è allora sempre quello di riconoscere il problema e di adottare delle precauzioni maggiori.

Se la molestia consiste nella richiesta di iniziare o ristabilire una relazione indesiderata, è necessario essere fermi nel “dire di no” una sola volta e in modo chiaro, non lasciarsi prendere dalla rabbia o dalla paura e raccogliere più dati possibili sui fastidi subiti.

Purtroppo spesso, soprattutto per via di norme giuridiche che limitano gli interventi di prevenzione delle situazioni di emergenza, i comportamenti di stalking possono essere protratti a lungo con conseguenze psicologiche negative, principalmente per la vittima e per chi gli sta vicino.

Lo stalker che agisce compulsivamente tende a seguire i propri bisogni e a negare la realtà, danneggiando progressivamente la propria salute mentale e la qualità della propria vita sociale che si deteriorano sempre di più, via via che la persecuzione si protrae nel tempo.

Si può affermare che- in molti casi – lo stalker non è altro che il bambino di ieri che a causa varie situazioni traumatiche, si trova ad essere il criminale di oggi, poichè non è riuscito ad elaborare i contenuti della sua infanzia disagiata.

Una educazione preventiva è il mezzo fondamentale per riuscire ad evitare che il bambino, trasformi disagi e sofferenze in vere e proprie devianze; in comportamenti disfunzionali che nel tempo gli precludono la possibilità di creare rapporti interpersonali, che siano essi di amicizia o d’amore.

Lo Stalking ormai non è solo un crimine, ma un fenomeno sociale, un disagio interiore, un abuso del più forte su chi è indifeso; una realtà che però può e deve essere cambiata anche grazie alla consapevolezza che chi lo subisce deve denunciare e soprattutto alla capacità delle forze preposte di intervenire in tempo.

Ma, “in tempo”, non vuol dire fermare la violenza, vuol dire evitare che essa nasca, vuol dire prevenzione.

Proprio grazie ad essa, si salvano due vite, quella di chi sarà vittima e quella di chi, a causa dei propri disagi, distruggerà se stesso e gli altri.

 

Il mio intervento a “Mattina9” 11 aprile 2019

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