Famiglia

L’opera di Eduardo De Filippo tra modernità e tragedia: Natale in casa Cupiello

23 Novembre 2019

Natale in casa Cupiello è tra le opere più rappresentate di Eduardo De Filippo.

In origine, la stesura constava di un solo atto, successivamente fu ampliato con altri due atti, un prologo ed una conclusione.

Eduardo stesso lo chiamò: “parto trigemino con 4 anni di gravidanza”.

Il grande drammaturgo, si allontanò definitivamente dagli insegnamenti ricevuti da Scarpetta, proponendo un testo che fosse intriso di una tragicità ma anche di ruoli, più vicini alla vita quotidiana che alle scene di un teatro.

Gli elementi che compongono e impregnano i personaggi che partecipano alla rappresentazione, sono l’amore, la pietà e lo sdegno.

La comunicazione che si mette in atto, tra teatranti e pubblico, cerca di esprimere questi sentimenti, portando alla ribalta l’esistenza, l’esperienza di vita di un mondo e del suo dolore.

La trama è nota.

Luca è legato alla tradizione del Natale e vede nel presepe la sua massima espressione.

Ninuccia, la figlia, vuole scappare con l’amante, ormai decisa ad affrontare la scelta, cerca conforto e approvazione della sua azione nella madre.

La lettera, con la quale Ninuccia vuole comunicare al marito, la fuga, sarà ritrovata da Luca il quale, ignaro di tutto, la consegna a Nicolino, il marito-tradito.

Concetta, durante la cena della vigilia, tenta di salvare il matrimonio della figlia, ma ormai l’atto è irreversibile, anche perché Ninuccia, trasportata dal sentimento, anche in casa dei genitori ed in presenza del marito, tenta di scambiarsi un bacio, con l’amante.

La tragedia, è resa ancora più pesante, dalla inconsapevolezza di Luca, che non si allontana,  anche perchè tenuto all’oscuro di tutto, dai suoi pensieri di festa.

Concetta, rimasta sola in scena, si dispera per l’accaduto, Luca, Pasqualino e Tommasino fanno il loro ingresso sul palco travestiti da Re Magi.

L’ultimo atto mostra il fallimento di una vita fatta d’illusione.

La convinzione di avere una famiglia crolla, trasformandosi in malattia, inesorabile che colpisce l’uomo, nella mente e nel fisico, rendendolo un essere farfugliante e vivo solo nei suoi pensieri e ricordi, ormai definitivamente ripiegato nelle sue allucinazioni, si avvia alla morte, senza consapevolezza forse anche voluta in un ultimo gesto sacrificale, della realtà.

Luca Cupiello, crede, con semplicità ed un’ingenuità disarmante, nei valori originari di una Napoli carica di umanità, civile, tormentata da piccole manie e ossessioni ma piena di povertà, al limite della miseria.

Il valore della famiglia, forse è l’unico da poter pesare.

La sua visione, illusoria in questo caso, è di una famiglia luogo di integrità, da difendere contro ogni sorta di aggressione esterna.

Ma la realtà è totalmente differente e la delusione, nel momento in cui egli prende coscienza dell’adulterio della figlia Nina, è fortissima, un colpo che fa crollare l’uomo, portandolo alla paralisi e infine la morte.

Il presepio, allora diventa allegoria, di un mondo diverso, costruito forse per sfuggire all’opprimente quotidianità e la festività del Natale, vissuta come un momento di solidarietà familiare, dove la contemplazione del suo manufatto, è il gesto che azzera i contrasti, i conflitti e addirittura la scissione.

Immergersi in un’atmosfera natalizia quasi fiabesca porta il personaggio a negare una realtà travagliata da violenti contrasti.

Luca Cupiello, nonostante tutto però, è forse stesso lui la rappresentazione della divisione e del contrasto, anche dal punto di vista del linguaggio.

Dalle prime battute, la comunicazione tra i vari personaggi, che dialogano con lui, in dialetto, e tra di loro, in un finto italiano, risulta impossibile. Luca Cupiello non riesce a instaurare mai nessuna vera forma di dialogo; circondato da molte persone sarà sempre più solo, estraneo alla propria famiglia.

La famiglia, già allora, la prima rappresentazione è del 1931, vede smarrite la propria identità, i vari componenti della famiglia stessa non riescono a dialogare tra loro.

Anche i discorsi tra madre e figlia, che ha la funzione di far emergere l’ambiguità delle intenzioni nelle relazioni umane, ai limiti di una schizofrenia dettata da incapacità o da mancanze all’interno della famiglia.

Nina, la figlia, è un personaggio che immette la tragedia nella commedia.

Nina si scaglia contro le istituzioni della società borghese, contro il matrimonio in primo luogo ed è angosciata dall’impossibilità della realizzazione del proprio desiderio di lasciare il marito e (forse?) scappare con l’amante. La sua volontà è di non rinunciare ai propri desideri, anche se in contrasto con il modello che si vuole tenere in piedi, nella consapevolezza della tragedia che ormai sta per avvenire.

Concetta, nel suo ruolo matriarcale, le tenta tutte, ma da sola.

La crisi di nervi  e distruzione di ogni oggetto presente nella scena, compreso il presepio di Luca, è l’azione ultima della sua impotenza, davanti alle richieste della figlia, che cerca con decisione di porre fine ad una condizione femminile, all’ipocrisia sociale.

La moglie Concetta, il figlio Nennillo, la figlia Ninuccia, lo zio Pasquale e poi Luca Cupiello sono, dunque, sì protagonisti di situazioni comiche, ma anche di una tragedia dal gusto molto amaro, ci rivelano vite misere, esistenze dolorose e quotidiane, desideri insoddisfatti, prende così vita un quadro del miglior Caravaggio, con le sue tinte fosche e i suoi giochi di luce carnali, sanguigni.

Si assiste così al dramma della famiglia Cupiello, lo spettatore senza rendersi conto si ritrova, invischiato con la propria anima e la propria coscienza, è questa la forza, la traccia profonda lasciata dall’opera di De Filippo.

Ossessionato dal litigio fra la figlia e il marito Nicolino, dalla riottosità del figlio Tommasino e dal presepe andato in frantumi come le sue certezze, il povero Luca delira febbricitante, raccontando l’ultimo atto della sua vita.

Eduardo, con questa commedia, ci permette di scrutare l’umanità tutta, che sia natale o no.

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