Letteratura
La Capria, il napoletano europeo della “Bella Giornata”
La Capria era il napoletano che poteva vivere anche a Parigi : aveva uno spirito europeo.
Ha vissuto con e per la letteratura e questo è un grande privilegio.
Firma storica della terza pagina de “Il Corriere della Sera” lo si ricorda per i suoi magnifici elzeviri: li conservo gelosamente, perché sono lezioni di letteratura.
Lui era il napoletano che coltivava la “Bella Giornata”, struttura simbolica dei suoi romanzi.
“Ho conosciuto a Napoli l’età in cui tutto per me gravitava nel campo magnetico della bella giornata e tutto si teneva e niente poteva essere compreso se non in rapporto ad essa. In quella bella giornata entravano Capri ed Ischia e le altre Sirene bagnate dal mare di Omero, le tane dei pesci inseguiti sott’acqua, il panino con il salame mangiato sullo scoglio, il muro calcinato a Positano e l’arco spezzato procidiano, il corpo che brucia sulla roccia rovente, l’odore sapore di acido fenico dell’ostrica, il riccio e la patella, l’uscita in barca con la ragazza, “il piede marino” e confidente, l’approdo in una rada nel silenzio mattutino. La bella giornata entrava nella mia mente, radicata nell’animo, nel sentimento delle cose: era un’idea fissa intorno a cui tutto, ineffabilmente, si misurava”.
In “Ferito a morte”, libro per il quale vinse il premio Strega, si concreta quell’”Armonia Perduta” -altro suo romanzo- che porta via la napoletanità, che La Capria identifica nel Regno di Carlo di Borbone, che fa della città di Napoli la capitale d’Europa e anticipa le tematiche della Rivoluzione francese.
Il protagonista del romanzo Massimo dirà: ”la vita è ciò che ci accade mentre ci occupiamo di altro”.
In uno storico articolo apparso sul «Corriere della Sera» (Quelle tre anime dei napoletani, martedì 14 agosto 1984), La Capria descrive la napoletanità: “la napoletanità è un patrimonio spirituale, un grande atto creativo, un momento di grazia, di gentilezza, una diffusa aspirazione alla bellezza“.
Ho avuto l’onore di conoscerlo alla libreria “La Conchiglia” a Capri della quale era un frequentatore assiduo.
Palazzo Donn’Anna mi richiamava alla mente La Capria: ”È un antico palazzo seicentesco, una maestosa mole cadente nell’acqua. Nelle intricate viscere di quel palazzo tra corridoi ed antri bui che si dicevano abitati dagli spettri, si svolsero i miei giochi da ragazzo, gli agguati, le avventure e le finzioni romanzesche. Nelle grotte invase dall’acqua, spiando gli amplessi delle coppie che vi entravano con le barche, scoprii il mistero sconvolgente del sesso. E durante le mareggiate invernali che scuotevano la mia casa dalle fondamenta, passavo le notti a leggere, nelle alte e risonanti stanze, tutti i libri che non ho più dimenticato”.
Ho letto tutto di lui.
Ci lascia un partenopeo sontuoso: Dudù.
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