Costume

Il culto dei morti a Napoli: anime pezzentelle e los muertos

2 Novembre 2019

“Ogn’anno,il due novembre,c’é l’usanza

per i defunti andare al Cimitero.

Ognuno ll’adda fà chesta crianza;

ognuno adda tené chistu penziero.”

‘A livella” di Antonio de Curtis, il grande Totò, spiega, nella sua parte iniziale, ciò che avviene a Napoli il giorno della festa dei morti: tutti si recano al cimitero per commemorare i propri defunti.

Napoli si prepara a celebrare il giorno dei defunti, secondo tradizione, che come al solito è un miscuglio di sacro e profano.

L’usanza di questa festa è quella di recarsi al cimitero, ma la notte precedente, è bene accendere un “lumino”, simbolo di un ricordo che resta sempre vivo e che non si spegne mai.

I detti popolari, che ritroviamo in varie culture, specialmente quelle sudamericane, raccontano che la notte tra il 1° e il 2 novembre le anime dei defunti tornino a fare visita ai propri cari oltrepassando quel velo di cielo e che restino al loro fianco fino al 6 gennaio, una sorta di permesso concesso loro. La cosa rasenta il grottesco.

Tutti sanno a Napoli che i defunti << ven’n ‘nsuonn’ >> (visitano i sogni) ai loro parenti e ai loro amici a per raccontare fattarielli, dando soluzioni ai problemi di vita quotidiana o, meglio ancora numeri da giocare al lotto.

Nella chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco, detta la chiesa delle anime “pezzentelle”, che sorge a via dei Tribunali sono custoditi moltissimi teschi risalenti al XVII secolo, e al centro del pavimento si apre una specie di tomba circondata da catene nere e illuminata dalla luce fioca di qualche lampadina.

Bisogna però spiegare cosa sono le anime “pezzentelle”.

Per pezzentella si intendeva proprio un’anima di un morto che veniva adottata da qualcuno per una sorta di do ut des:

  • il vivo prega l’anima del defunto affinché questi gli allevi la sua sofferenza e al contempo l’anima del defunto accetta le preghiere del vivo per lasciare il Purgatorio e giungere finalmente in Paradiso. L’antico culto è vissuto ancora oggi con intensità.

 

Già nella fine del ‘600 compare l’idea che le anime purganti avessero bisogno di tali “sollievi” per poter accelerare la loro ascesa al Paradiso e che, in cambio delle preghiere dei viventi, queste potessero ricambiare con grazie e favori ottenuti per intercessione.

Nel rione Sanità, troviamo estese necropoli datate IV – III secolo a.C., sarcofagi dipinti e scolpiti purtroppo dimenticati nell’oblio culturale italiano, ipogei greci, catacombe del V secolo come quelle di San Gennaro dove si svolgevano rituali pagani di fertilità e procreazione.

Tra il Seicento e il Settecento inoltre, nelle cave del rione stesso furono accumulate le ossa delle vittime causate per l’epidemia di peste che colpì la città nel 1656, quindi punto di raccolta per le ossa rinvenute nelle “terre sante” attorno e sotto le Chiese, ed infine per le vittime del colera del 1836.

Inizia in questo modo il culto delle “anime purganti” ovvero le “anime pezzentelle”, termine che proviene dal latino petere, chiedere.

La peste del ‘600 e il Colera dell’800 impediscono un rapporto con i propri morti annullando così ogni possibilità del culto degli “Antenati”. Le anime pezzentelle sopperiscono a questo problema, il culto dell’anonimo diviene il culto dell’Antenato in quanto riconosciuto, appunto, come defunto di famiglia.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, quello vissuto nel ‘600 e nel ’800, rivive. Infatti sono tantissimi i corpi dispersi e si sente molto questa mancanza, sia del decesso che proprio del mancare fisicamente i resti.

Ecco che ricomincia, laddove in realtà non si era mai spezzato, l’uso di “adottare un’anima purgante”.

L’elemento principale della comunicazione, tra vivi e morti, è il sogno, il mezzo con cui si può comunicare con i defunti. E’ la trance che avviene in somnis, come negli antichi rituali di incubazione pagana che si tenevano presso i luoghi sacri.

Se la famiglia, riceveva messaggi positivi dall’aldilà, all’anima purgante veniva costruita una scarabattola, una di teca in legno leggero con fondo dipinto, fazzoletto, olio e lumino ed iniziava così il culto, ovvero i primi refrischi: – fiori, preghiere e offerte.

Nella cripta di Santa Maria del Purgatorio, attorno ad alcune scarabattole troviamo delle piastrelle, mattonelle della cucina degli adottanti, realizzate negli anni ’50, per ricreare l’ambiente famigliare per eccellenza, il luogo dove la famiglia si riunisce, cioè la cucina.

L’usanza del “refrigerio”, ovvero la “sete” del defunto costituisce un motivo antichissimo.

Spesso sulle tombe era offerto del pane, sia come nutrimento che come simbolo di rinascita e vasi e bicchieri di acqua fresca.

I luoghi di culto più importanti a Napoli, sono il cimitero delle Fontanelle, la Chiesa di Maria Santissima del Carmine, la chiesa di San Pietro ad Aram e la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco nella centralissima via dei Tribunali.

Ognuna di queste conserva personaggi magici ricorrenti: gli Sposi, i Bambini, il Dottore, la giovane Fanciulla, il Capitano…etc

ll cimitero delle Fontanelle è in realtà una cava di tufo risalente al 1500 utilizzata per reperire materiale da costruzione per le abitazioni del proprietario. Ad oggi il cimitero accoglie circa 40.000 resti di corpi umani, ma si dice che sotto l’attuale piano di calpestio vi siano compresse ossa per almeno quattro metri di profondità, ordinatamente disposte, all’epoca, da becchini specializzati. I resti sono tutti rigorosamente anonimi tranne due, ovvero quello del Conte Filippo Carafa e di Donna Margherita, oggi ancora visibile in una teca di vetro.

Una tradizione popolare, vuole che in passato, in questo cimitero, ed in particolare nella sala nota come “I Tribunali”, si svolgevano i riti di affiliazione dei giovani camorristi, l’iniziato, sottoposto a una sorta di prova di coraggio, doveva resistere da solo all’interno della cava per una intera notte.

“…Anime sante anime purganti/ Io sono sola e vuie siete tante/ Andate avanti al mio Signore/ e raccontateci tutti i miei dolori/ Prima che s’oscura questa santa giornata/ da dio voglio essere consolata/ Pietoso dio col sangue Tuo redento/ a tutte le anime del Purgatorio salutamele a tutti i momenti/Eterno Riposo…”.

Questa è una delle litanie che le donne recitano, insomma una sorta di magia dello “scongiuro”.

La famosa maschera di Pulcinella, nota in tutto il mondo come simbolo del capoluogo campano è strettamente connessa al culto delle anime dei defunti.

Il suo vestito bianco e la maschera nera sono i tipici colori del mondo dei defunti o meglio del rapporto tra mondo dei vivi e mondo dei morti.

Il bianco era il colore del lutto, e il riferimento al pulcino, da sempre nelle leggende popolari simbolo di un traghettatore dell’aldilà.

Come abbiamo detto all’inizio, il culto dei morti a Napoli è legato anche a quello dei morti in sudamerica.

Le anime “pezzentelle” sono strettamente correlate ad un altro culto diffusissimo in tutto il continente sud americano ed in particolare in Messico, quello dell’ “Anima Sola” che rappresenta le anime del purgatorio, che richiedono l’assistenza sia dei vivi e in cambio concedono loro qualcosa. In altre parole è l’anima abbandonata che richiedere preghiere ed attenzioni per velocizzare la sua ascesa in paradiso e dunque diviene grata a chiunque gliele dia.

In Messico, proprio come a Napoli, il culto dell’Anima Sola raggiunge il suo apice nel 1800 per poi diventare importante culto devozionale in tutto il Messico.

Moltissime immagini dell’Anima purgante sono legate più che altro a richieste di amore, o di protezione dai nemici a cui temporaneamente vengono inviate sofferenze come quelle purgatoriali. In molte case messicane è collocato un piccolo altare con un’immagine dell’Anima purgante, candele ed acqua. Come la “scarabattola” napoletana.

A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella.

‘Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo,

trasenno stu canciello ha fatt’o punto

c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme:

tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti…nun fa”o restivo,

suppuorteme vicino-che te ‘mporta?

Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:

nuje simmo serie…appartenimmo à morte!

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