Economia circolare
Il crowdsourcing, una risorsa sottovalutata
Tra le varie definizioni del termine crowdsourcing, quella che risulterebbe essere la definizione universale del termine in grado di coprire ogni tipo di iniziativa potrebbe essere quella di Estelles e Gonzalez:
- “Il crowdsourcing è una tipologia di attività online partecipativa nella quale un individuo, un’istituzione, un’organizzazione no-profit o un’azienda propone ad un gruppo di individui dotati di varie conoscenze, eterogeneità e numero, mediante un annuncio aperto e flessibile, la realizzazione libera e volontaria di un compito specifico. La realizzazione di tale compito, di complessità e modularità variabile, e nella quale il gruppo di riferimento deve partecipare apportando lavoro, denaro, conoscenze e/o esperienza, implica sempre un beneficio per ambe le parti. L’utente otterrà, a cambio della sua partecipazione, il soddisfacimento di una concreta necessità, economica, di riconoscimento sociale, di autostima, o di sviluppo di capacità personali, il crowdsourcer d’altro canto, otterrà e utilizzerà a proprio beneficio il contributo offerto dall’utente, la cui forma dipenderà dal tipo di attività realizzata”.
Il crowdsourcing è diciamo un “nuovo” strumento per mettere in contatto domanda e offerta, principalmente legata a competenze, prestazioni professionali e lavorative, aprendo nuove possibilità finora assolutamente inedite.
Il termine crowdsourcing, nasce dalla fusione di due parole:
- crowd che significa folla;
- sourcing ossia “trarre origine”, “originarsi da”, “venire da” e sostanzialmente designa la pratica aziendale di “esternalizzare” alcune funzioni o lavori tradizionalmente svolte internamente ed assegnate ai dipendenti.
Bisogna focalizzare l’attenzione sul fatto che il crowdsourcing è, in generale un’attività volontaria (spesso su questioni e argomenti complessi) che un gran numero di persone decide di svolgere, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze.
E’ più facile spiegarlo con un esempio:
- Wikipedia che nasce, cresce, si sviluppa attraverso il contributo di una folla di persone. Naturalmente il caso Wikipedia si riferisce ad un “prodotto” no profit costruito da volontari, in ambito aziendale invece è relativo alla disponibilità per le aziende di una “folla”
I freelance mettono quindi a disposizione, spesso ad un prezzo molto competitivo, idee, strumenti e competenze.
Se voglio per esempio realizzare, uno studio su un determinato problema, posso rivolgermi ad una di queste piattaforme dove do indicazioni dello stesso e metto in “palio” la cifra che pagherò a chi mi riuscirà a dare una soluzione.
Alla fine avrò a disposizione sicuramente la soluzione ottimale ma ad un prezzo concorrenziale rispetto a quello pagato attraverso gli strumenti “classici”.
Il crowdsourcing rappresenta un potenziale strumento di problem-solving.
Il processo di crowdsourcing può essere:
- un processo di esternalizzazione (come nel caso di Amazon Mechanical Turk);
- un processo di problem-solving attraverso un processo online distribuito (come nel caso di InnoCentive);
- una modalità di produzione (Threadless);
- una pratica, un modello strategico o un modello di business che relazionano direttamente il crowdsourcing al mondo degli affari;
- un processo di organizzazione del lavoro;
- un processo di integrazione dei clienti;
- un processo di innovazione aperta. Il crowdsourcing è un processo online che è distribuito in Internet e richiede sempre la partecipazione della folla. Il resto delle caratteristiche dipendono dall’iniziativa proposta.
Tra i fattori chiave che determinano il successo del crowdsourcing ci sono le capacità e le abilità in possesso della “folla”. Le caratteristiche collettive, le abilità e le capacità sono definite come “capitale umano”.
Non c’è un vero e proprio standard su chi debba formare la folla, perché le caratteristiche che deve possedere la folla dipendono molto dall’iniziativa in particolare.
Ad esempio, si può richiedere una certa conoscenza nei campi delle R&D, dove ci saranno persone generalmente dotate di un alto livello di cultura, mentre nel caso di un’iniziativa di produzione, la conoscenza ed il possesso di programmi quali Adobe Flash o Adobe Photoshop oppure, in altri casi ancora, se si vuole avviare un crowdsourcing di fotografia, è necessario disporre di attrezzature da fotografo, più o meno professionali, e l’abilità di scattare buone foto, in altri casi addirittura potrebbe non essere necessaria nessuna conoscenza particolare, quando si richiede di trascrivere la descrizione di un prodotto.
Il tutto deve ovviamente essere accompagnato da delle buone idee che potrebbero portare ad una soluzione vincente dell’iniziativa e da una connessione che permetta di raggiungere il sito dell’iniziativa stessa.
Difficilmente chi partecipa al crowdsourcing, lo fa come impiego principale, molti vi partecipano volontariamente a queste iniziative per guadagnare qualche extra.
Ma spesso la soluzione vincente, viene proprio da coloro che non svolgono questa attività in modo primario, ma guardano il problema con occhi diversi rispetto a chi opera nel campo da diversi anni.
L’importante è che i partecipanti siano intelligenti e ben disciplinanti.
In merito al numero di partecipanti, anche qui non c’è uno standard, ma generalmente le “folle” sono composte da un vasto numero di individui che non necessariamente si conoscono tra di loro. L’eterogeneità della folla dipende anch’essa dall’iniziativa, ma una grossa eterogeneità può influire positivamente sulla qualità della soluzione, la quale beneficia della preziosa influenza derivata dalla conoscenza di ogni di individuo.
Tuttavia non tutte le iniziative richiedono una grossa eterogeneità.
Le caratteristiche del gruppo, in termini di numero, eterogeneità e conoscenze saranno determinate dalle esigenze dell’iniziativa crowdsourcing (Estellés e González, 2012).
Uno strumento sottovalutato ancora nella nostra cultura professionale e di impresa, ma che se utilizzato con etica e responsabilità, potrà dare notevoli risultati in tutti i settori dove verrà applicato.
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