Media

Diritto di cronaca e di critica: la gogna dei social network

15 Giugno 2019

A causa dei social-media, il carico di lavoro dei Tribunali italiani è notevolmente aumentato.

Sempre più spesso questioni litigiose sorte proprio tra gli utenti di FACEBOOK, devono essere risolti con pronunce dell’autorità giudiziaria.

Sulle bacheche non vengono risparmiate messaggi di ogni genere, foto compromettenti, minacce e frasi offensive.

La quinta sezione penale della Suprema corte di Cassazione (Cass., V pen., sent. n. 40083/2018), si è espressa in merito alla diffusione di frasi diffamatorie e offensive pubblicate da un uomo nei confronti della ex compagna, da cui ha avuto una figlia.

I giudici, hanno respinto il ricorso promosso dalla parte, tra l’altro già dichiarata colpevole dai giudici di merito, per aver usato una bacheca del social-network, per diffondere un messaggio diffamatorio.

Ma cosa accade se ad usare tale strumento è un creditore?

La situazione cambia e sembra ammessa la pubblica gogna per chi non paga i propri debiti.

Infatti, a dirlo è stato il Tribunale di Roma in una ordinanza emessa nell’ambito di un giudizio ordinario (Trib Roma luglio 13275/2015), il creditore può pubblicamente “denunciare” i propri debitori scrivendo i loro nomi e gli importi non pagati in un post su Facebook, è un legittimo diritto di critica che si esercita nel comunicare a tutti la morosità.

La Corte di Cassazione si era pronunciata già nel merito, dichiarando che la divulgazione di dati e notizie personali, come ad esempio la morosità per il mancato pagamento di un debito,  non può essere diffusa in pubblico, né pubblicata su un social network, altrimenti costituisce reato.

Quindi, dire su Facebook che una persona non ha pagato un debito o, allo stesso modo, che una persona non ha consegnato un oggetto, da questa venduto costituisce un illecito penale.

In particolare, scatta il reato di diffamazione.

(Articolo 595 Codice penale- Diffamazione: – Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate).

La Cassazione ha ritenuto illegittimo, ad esempio, l’avviso affisso sul portone del condominio con i nomi dei morosi che non hanno pagato le spese mensili, a maggior ragione, su una bacheca di Facebook. (Cassazione penale, sez. fer., 28/08/2014, n. 39986).

Ma la Suprema Corte ha però anche stabilito che non integra il reato di diffamazione, la pubblicazione su un quotidiano dell’avviso di un’asta giudiziaria con l’indicazione del nome del debitore (Cass. sent. del 20.06.1978), anche se poi successivamente, il Garante per la Protezione dei dati personali, con provvedimento del 7  febbraio 2008 pubblicato in G.U. n. 47 del 25 febbraio 2008, ha dato indicazioni diverse.

Resta il fatto che il tribunale di Roma, precedentemente citato, stabilì che parlare su Facebook di una persona che non ha pagato un debito non sarebbe reato, ma manifesterebbe un legittimo esercizio del diritto di critica e di espressione del proprio pensiero riconosciuto dalla Costituzione.

Il parametro essenziale, per poter fare ciò, è dire la verità, ad avere le prove di tali fatti e a non sconfinare in giudizi personali o in critiche sulla persona, gratuite e non necessarie all’informazione esposta.

E’ sicuramente un precedente isolato, per cui, a tutt’oggi, la giurisprudenza maggioritaria sposa la tesi opposta secondo cui dire su Facebook che una persona non ha pagato un debito è, e resta, reato di diffamazione.

Ma il post pubblicato, può costituire esercizio di un legittimo diritto di critica e non è diffamatorio se rispetta i requisiti di verità, pertinenza e continenza, i tre presupposti, cioè, entro i quali è possibile anche riportare fatti contrari alla reputazione delle persone senza cadere nell’illecito penale.

Le dichiarazioni del creditore, devono quindi essere solo una espressione del diritto di libera manifestazione del pensiero, riconosciuto dalla nostra Costituzione, rappresentato attraverso la divulgazione di uno scritto via internet,  di un legittimo diritto di cronaca e critica.

Proprio per tale principio ormai consolidato, la divulgazione di notizie o commenti lesivi dell’onore e della reputazione di terzi, sono da considerarsi un lecito esercizio del diritto di cronaca/critica, ma per essere tali, devono ricorrere le condizioni di seguito elencate :

–       verità dei fatti esposti (in pratica, il credito deve essere realmente esistente e non presunto o contestato). Deve emergere senza contestazione, l’inadempimento del debitore all’obbligo di pagamento nei confronti del creditore;

–       interesse pubblico alla conoscenza del fatto;

–       correttezza formale dell’esposizione (non bisogna usare espressioni offensive o volgari).

L’esprimere quindi un diritto di cronaca e di critica non è solo un diritto di giornalisti o scrittori, ma anche diritto del comune cittadino.

Bisogna però attentamente valutarne la rilevanza, perchè la notizia, deve essere sempre diffusa, in funzione dei rapporti sociali e del corretto svolgimento delle relazioni interpersonali.

Sentenza Cassazione V sez Penale

 

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