Napoli
Di Maio, San Gennaro e l’assenza di cultura politica
Il bacio di Luigi Di Maio alla presunta reliquia di San Gennaro è stato commentato qua e là con scandalo, come se il leader in pectore del M5S fosse il primo ad avere partecipato alla cerimonia. Molti politici napoletani si sono in passato fatti fotografare mentre baciavano la presunta reliquia e non è la prima volta che un esponente politico partecipa alle cerimonie religiose: da Renzi a Gentiloni, da Berlusconi a Mattarella, sono diversi i leader che la domenica vanno a messa – com’è loro diritto – e molti di più sono quelli che normalmente non ci vanno ma che ci tengono a farsi fotografare quando entrano in una chiesa, se pensano che ciò porti loro consenso. Perché Di Maio ha creato polemiche? Probabilmente perché entra in gioco lo sguardo con cui gli italiani, cattolici compresi, si rapportano alle tradizioni locali di Napoli.
Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha operato una forte revisione dei culti locali di santi e reliquie, eliminandone in grande quantità. Con grande intelligenza, essendo molte di queste pratiche affini più alla superstizione che alla fede religiosa. Nella vicenda del sangue di San Gennaro il processo è stato parziale: la Chiesa ne ha circoscritto il culto al circondario di Napoli, dove il trauma della sua cancellazione avrebbe creato fratture nella comunità locale, e l’ha derubricato a evento non spiegabile, senza però riconoscerne la natura di miracolo. Insomma: si può essere ottimi cattolici anche se si ritiene lo scioglimento della presunta reliquia un evento folkloristico. E’ il confine molto labile che c’è tra messaggio universale del cristianesimo e inculturazione (che a sua volta rispetta le specificità delle popolazioni locali in cui la fede in Cristo si è diffusa: e il discorso non riguarda soltanto i cristiani dell’Africa, dell’Asia e delle Americhe, ma anche quelli delle molteplici tradizioni italiane o europee), ed è anche il confine insidiosissimo tra fede popolare e superstizione. E’ evidente che un cattolico ambrosiano o un ligure guardino con estremo distacco e scetticismo al culto di San Gennaro – e questo si riflette sul giudizio che danno del politico che vi si inchina –, ma ciò che un cattolico deve chiedere alla Chiesa locale non è tanto la cancellazione di una tradizione a cui forse nemmeno tutti i napoletani che si accalcano nella cattedrale credono pienamente. Quanto piuttosto che spinga i fedeli a invocare un po’ di più lo Spirito Santo e un po’ di meno un’urna di sangue di San Gennaro o le stimmate di Padre Pio.
Il gesto di Di Maio è il normale tentativo di molti politici di mostrare la propria amicizia verso l’elettorato cattolico: ciascuno lo fa secondo le proprie affiliazioni geografiche e culturali. Sarebbe stato strano che il politico napoletano si fosse recato in pellegrinaggio al San Carlone di Arona.
Ciò che invece un elettore – cattolico o meno – deve chiedersi di fronte a questo gesto di Di Maio è quanto il suo percorso sia ispirato alla dottrina sociale della Chiesa e alle declinazioni di questa che il laicato cattolico ha da sempre proposto in politica. Il cattolicesimo di Di Maio è più affine a quello di Aldo Moro o a quello di Giorgio Almirante? E’ ispirato al cattolicesimo democratico, al cattolicesimo sociale, al cattolicesimo liberale o alle altre varie interpretazioni dell’impegno dei cattolici in politica? Qual è la sua elaborazione culturale in materia? Questo è cruciale, perché ci sono cattolici in tutti gli schieramenti e chi tra loro vota Pd o FI o Lega Nord o Mdp lo fa secondo modalità opposte di interpretare il proprio ruolo di laici impegnati in politica. Ma anche molti atei o appartenenti ad altre fedi religiose, di fronte a più leader di partito che si richiamano al cattolicesimo, hanno il diritto di sapere se i leader in questione leggono più i saggi del card. Carlo Maria Martini o le dichiarazioni di mons. Luigi Negri, parlano più con don Luigi Ciotti o con padre Livio Fanzaga. Sono mondi opposti e ora che il M5S si candida non più solo a distruggere ma anche a governare dovrebbe offrire maggiore chiarezza in materia.
L’impressione è che Di Maio non abbia la minima idea di che cosa sia la dottrina sociale della Chiesa e di quali difficili opere di mediazione debba svolgere un politico per tradurre il magistero in azione legislativa nel rispetto del pluralismo e della laicità dello Stato. Anzi, in più occasioni ha dimostrato forte lontananza da un orientamento vagamente “cattolico”: si pensi alla sua posizione intollerante sul tema cruciale dell’accoglienza dei migranti oppure al suo paganissimo culto della personalità di Grillo. Non è il primo e non sarà l’unico politico che pensa possa bastare una comparsata in chiesa per avere il voto degli elettori cattolici o un bacio all’anello di un vescovo per avere il pieno appoggio dell’episcopato o un intervento a Cernobbio per poter essere votato dal mondo imprenditoriale – questi ultimi due intesi come potentati più che come portatori di interessi e cultura da inserire in un coerente progetto politico. Tale assenza di formazione e di cultura politica, di cui le gomitate per farsi fotografare chinato sul presunto sangue di San Gennaro o davanti a una platea di imprenditori sono un sintomo, dovrebbe preoccuparci molto di più.
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