Filosofia

Chi mi fece conoscere “Sofia”; ricordo di Luciano De Crescenzo

20 Luglio 2019

Se n’è andato Luciano De Crescenzo e per chi come me ha letto centinaia e centinaia di libri di filosofia, è come perdere un padre.
C’è chi nell’infanzia ha letto libri gialli, di avventure di fumetti, di fantasia, si è appassionato a Salgari.
I libri di De Crescenzo mi hanno fatto conoscere “Sofia”.
Infatti la parola filosofia significa amore per la Sapienza.
Lui si dilettava a citare Aristotele e diceva che la filosofia è la scienza della meraviglia.
Ecco, se un merito ha avuto Luciano De Crescenzo è stato proprio quello di aver consentito a chi ama la filosofia di essere accompagnato con devozione filiale in questo mondo.
Tutti gli studiosi di filosofia, anche quelli più rigorosi, hanno avuto tra le mani i libri di Luciano, che ha narrato anche la storia dei Miti Greci ed ha scritto un bellissimo libro su Ulisse.
Se i suoi scritti sono stati tradotti in tutto il mondo, vuol dire che erano di buona fattura . È come aver letto la Storia di Italia di Indro Montanelli, che mi ha accompagnato, per esempio, alla lettura di centinaia di libri di Storia, perché il grande giornalista era un divino divulgatore come Luciano De Crescenzo.
Luciano era paragonabile a Bertrand Russell che ha scritto una monumentale storia della filosofia occidentale.
Per il modo semplice e diretto con il quale ha raccontato la filosofia greca, ci ha fatto conoscere i grandi temi dell’umanità: che cosa è la libertà, che cosa è l’amore, come si può concepire l’idea di bene. Sono più amabili gli uomini che hanno il culto del dubbio o quelli che invece cercano forsennatamente la certezza? Che cosa è l’infinito, come si può intendere l’ordine, il disordine, la virtù, la fortuna. Come si può definire il piacere,la distrazione? Che cosa è il divenire, il Panta Rei? Ma soprattutto dove ci porta la metafisica, ciò che è oltre la natura?
Perché la saggezza partenopea è imbevuta di “pressappochismo” nel senso buono della declinazione: ridurre i grandi problemi ai minimi termini:farci guidare dall’ironia che piega l’inflessibilità delle anime bellicose.
Credo che abbia amato più di tutti Socrate, che gli era antipatico Parmenide, troppo complicato a suo dire per l’ontologia, lo studio dell’Essere. Di converso adorava Elena, la donna più bella del mondo, croce e delizia dell’umanità. Ma era affascinato da Ulisse, come lo chiamava lui, Nessuno, perché aveva la curiositas  e lui lo immagina ad Itaca dopo il suo ritorno ancora desideroso di Thalassa, la divinità primordiale del mare. Perché l’alto mare aperto richiama alla mente la sete di conoscenza che l’uomo possiede. Ed Ulisse aveva la nostalgia “nostos” del viaggio in mare.
De Crescenzo è stato per tutte le generazioni come una balia. Ci ha poi consegnato a Nicola Abbagnano, Reale Antiseri, Mario Dal Pra, Filippo Lamanna, Adorno Gregory Verra,i grandi manuali dello studio della filosofia.
Già eravamo tristi quando morì Gerardo Marotta, intellettuale che diede tutte le sue ricchezze per l’Istituto degli Studi Filosofici, ora lo siamo di più dopo che è scomparso Luciano.
Napoli è una grandissima scuola di filosofia: da Vico a Croce, Labriola, De Ruggiero, Carbonara, Masullo, Tessitore, Cacciatore, a finire a Biagio De Giovanni, Roberto Esposito che  ne ha intessuto un bellissimo ricordo sulle pagine di “Repubblica”: la filosofia di Luciano era contro lo spazio ed il tempo; ha portato nei vicoli di Napoli, Socrate, Anassimandro ed Anassimene, mescolando la saggezza greca con quella partenopea.
Luciano si faceva amare perché con ironia scriveva di cose difficili, insaporendole con i “fattarielli”partenopei, come se Napoli fosse il crocevia del mondo.
Se ne va un grande napoletano, che appartiene alla migliore tradizione di questa città come ha ricordato Arbore, quella “dell’armonia perduta” di La Capria, di Rosi, di Domenico Rea, di Ermanno Rea, di Eduardo, Totò, Troisi, Pino Daniele.
La “napoletanità”, quella diffusa aspirazione ad avere il culto della bellezza, di immalinconirsi a sorseggiare un caffè davanti al mare di Posillipo, avere addosso l’anarchia di Renato Caccioppoli.

 

La foto è di Luciano De Crescenzo: “La Napoli di Bellavista”.

Biagio Riccio

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