Napoli

Camorra a Napoli, la Bindi ha ragione. Perché offendersi?

15 Settembre 2015

Ci sono parole che colpiscono al cuore, che fanno male e provocano una reazione d’orgoglio. Ma non per questo sono deprecabili. Nella loro asprezza, le affermazioni di Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, hanno scandito una verità tragica. Che resta comunque una verità. “La camorra è un dato costitutivo di Napoli, di questa società, di questa regione”, ha detto scatenando la stizzita reazione di Luigi de Magistris, sindaco della città. Una presa di posizione anche comprensibile per chi amministra, ma che non deve buttare il dibattito sulla ‘lesa meridionalità’. Anche perché, come è stato riportato, Rosy Bindi non ha detto che la camorra è nel “dna di Napoli”. In questo caso il significato sarebbe stato ben diverso e ci sarebbe stato effettivamente da offendersi.

Un fatto va chiarito: sostenere che la camorra sia un tratto  caratterizzante, non significa affatto che “i napoletani e i campani sono tutti camorristi”. Per niente. Ci sono centinaia, anzi migliaia di persone che si battono per la legalità. Parlo di tantissimi giovani e adulti che sono disposti a mettere a rischio anche la loro vita in nome della giustizia. Alcuni sono stati davvero uccisi. Perché lottare contro la criminalità è pericoloso in alcune città – a Napoli come altrove – depredate dalla criminalità organizzata. Ma, paradossalmente, proprio questo conferma che la camorra a Napoli è un dato che fa parte della città, ne è un “elemento costitutivo”, appunto. Un elemento negativo, odioso e distruttivo, ma pur sempre presente. Ci sono gruppi di ragazzini neo-camorristi che sognano una vita criminale per emulare qualche boss locale di cui ne santificano le virtù. Lì c’è davvero la camorra come dato costante. Certo, Napoli non è il far west che viene troppe volte raccontato in tv. Ma non possiamo fingere che sia l’angolo di Svizzera in Italia.

Da campano, sebbene irpino, in passato ho vissuto con fastidio le invasioni di campo sui problemi della Campania, e quindi anche di Napoli. “Cosa vorrà mai la toscanaccia Bindi sulla bella città partenopea?”, è stata la reazione offesa di alcuni, de Magistris in testa. Ma poi, dopo lo scatto d’orgoglio, deve scattare la riflessione: la presidente della Commissione Antimafia non ha lanciato parole razziste da leghista d’antan, ma ha annotato quello che è il quadro anche storico. Con una città che porta in sé il male della camorra, nonostante la parte sana – che rappresenta la maggioranza – cerchi di cacciarla via.

Il pericolo, ora, è che la polemica assuma una connotazione politica. Rosy Bindi è un’acerrima avversaria del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. E i renziani potrebbero cavalcare l’onda per sollevare un polverone a suon di “Rosy ma che stai dicendo”, per metterla in una condizione di difficoltà mediatica. Sarebbe un errore molto grave, a poco più di un mese dall’intensa discussione sulla ‘questione meridionale’ sollevata dal Rapporto Svimez. Ecco: una delle priorità per il rilancio del sud, quindi di Napoli e non solo, è proprio quella di combattere il male della camorra, per poter poi serenamente dire che esso non è più un elemento della città. Ma solo un residuo della memoria, una problema appartenente al passato. L’avvertenza è tuttavia necessaria: il compito è molto difficile e non si combatte con qualche finanziamento o a colpi di provvedimenti speciali. Nel caso specifico occorre la pazienza e lo sguardo lungo di quello che si chiama intervento sociale e culturale.

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