Napoli
Borghesia e movimenti insieme: così De Magistris è diventato padrone di Napoli
“Se i sondaggi non mentono troppo, il sindaco uscente pare abbia realizzato un vero incantesimo napoletano, convincendo i suoi concittadini di essere appena sceso da un pullman di zapatisti a Mergellina anziché aver governato la terza città italiana per cinque anni filati con risultati che sono sotto gli occhi di tutti”, scriveva poche ora prime delle elezioni Goffredo Buccini sul Corriere della Sera e proseguiva affermando che de Magistris “è stato capace di sintonizzarsi – gli va dato atto – con le pulsioni più profonde d’una città dove la plebe non s’è mai trasformata compiutamente in popolo, dove la lotta sociale si fonde col sanfedismo da oltre due secoli”.
Questa mattina Biagio de Giovanni sul Mattino ha scritto: “Qui compare, mi pare, una vera degenerazione della democrazia recitata, un suo lato estremo, anche se il suo ceppo fa parte delle fisiologie della democrazia plebiscitaria che in molti luoghi fa sentire la sua presenza, ma a Napoli si è giunti a un punto limite. I problemi reali non hanno più la parola per esprimersi, e vengono vissuti in un altro mondo, dove ognuno è isolato nella propria entropia. Non voglio fare di tutt’erba un fascio, ma ormai quel ceppo è ben presente in città percorse da flussi d’opinione incontrollati, e Napoli ne è capofila”.
Due estratti rappresentativi della raffigurazione del modello Napoli. Una città dipinta come border line, non molto colta, credulona, che si eccita di fronte a un sindaco che alza i decibel del populismo per far presa su un elettorato che in fondo è quello che ha condotto alle teste tagliate in piazza Mercato nel lontano 1799.
Ma è davvero così? In questi mesi Napoli ci è stata raccontata più o meno in questo modo. Guardando un po’ di numeri, però, proviamo a fare alcune considerazioni (perché in una vita precedente, prima del pallone, ahinoi ci siamo occupati anche di politica).
Partiamo innanzitutto dalla bufala dell’astensione. Bufala, nel senso che non è stato affatto un tratto distintivo dell’elettorato napoletano. Non è che qui si è rimasti a casa insoddisfatti dei protagonisti, mentre altrove si sono affollati ai seggi, come pure ci hanno propinato i quotidiani per settimane. A Napoli ha votato il 54,11% degli aventi diritto. Praticamente la stessa percentuale della civile Milano con due candidati presentabili e da invitare a cena: 54,65%. Qualcuno in più ha votato a Roma: 56,15% e a Torino: 57,17%. Napoli come il resto d’Italia. Parafrasando Boldi: «come dite voi a Milano astensione? Noi a Napoli diciamo “astensione”».
E passiamo ai voti. Luigi de Magistris, il “capopolo” senza partiti, ha avuto 172.700 voti (cinque anni fa al primo turno ne raccolse 128mila) per un finale 42,8%; Lettieri ne ha avuti 97mila (cinque anni fa 179mila) per un conclusivo 24%; e la Valente 85mila (Morcone ne prese 89mila) per un 21%.
Ora la domanda è: questi 173mila voti scarsi sono tutti della plebe che non si è fatta popolo? E qui proviamo a guardare la mappa geografica del voto e a dare uno sguardo anche alle preferenze. Napoli viene divisa in ventinove quartieri. I dati definitivi sono tutti sull’efficientissimo sito del Comune di Napoli (anche questa è una notizia, i “malati” di numeri hanno potuto appagare ogni loro esigenza sul sito del sindaco venezuelano, aggiornato come uno svedese).
Ebbene, in quattro quartieri de Magistris ha perduto: Secondigliano (ha preso il 28,7%), San Pietro a Patierno (periferia Nord, ha preso il 26,8%, qui è arrivato addirittura terzo), Pianura (periferia Ovest, ha preso il 34%, battuto di poco da Lettieri), San Giovanni a Teduccio (periferia Est, ex roccaforte rossa, dove non è andato oltre il 30,7%, unico quartiere in cui ha vinto Valeria Valente). Quattro quartieri periferici.
In altre zone, ha ottenuto meno del 42,8% finale. Quasi tutti in periferia: a Piscinola il 34%, a Miano il 33%, a Chiaiano il 39%, a Ponticelli il 36%, a Barra il 36,7%, a Scampia il 38,5%, cui vanno aggiunti il quartiere Mercato (ex roccaforte di Lettieri) dove de Magistris si è fermato al 33,5% e Posillipo (la Parioli napoletana) che merita qualche riga in più. A Posillipo, de Magistris ha incassato il 34,5% dei voti, è stato comunque il più votato (Lettieri si è fermato al 34%). Qui è bene ricordare che nel 2006 Rosa Russo Iervolino – che vinse nettamente al primo turno col 57% dei voti – venne sconfitta dal candidato di centrodestra Franco Malvano: 36% contro 54%. Proseguendo nella parentesi interessante del 2006, furono due i quartieri in cui la Iervolino venne sconfitta: Posillipo appunto, e Chiaia. A Chiaia, altra zona bene della città, finì 49% a 39% per Malvano. De Magistris a Chiaia ha preso settemila voti e il 40%, Lettieri non è arrivato al 30%.
Quindi, nei due quartieri bene della città (ne manca uno, ne parleremo tra pochissimo) Luigi de Magistris è stato il più eletto e ha invertito un trend che aveva visto soccombere persino la Iervolino (anche lei detestata dagli opinionisti da sempre perdutamente innamorati di Antonio Bassolino).
Insomma, dove ha vinto de Magistris? Ha stravinto al Vomero, zona proverbialmente borghese. A Napoli “vomerese” è quasi un epiteto negativo, come dire che sei un fighetto, che hai la vita facile. De Magistris, per capirci, è del Vomero. Tra Vomero e Arenella (quartiere limitrofo, sono quasi sovrapponibili), il sindaco zapatista ha incassato 33mila voti, praticamente il 20% del totale. La sua roccaforte sta in collina. Qui ha preso percentuali di tutto rispetto: il 58%. Avrebbe vinto al primo turno anche nel quartiere Avvocata, che collega il centro al Vomero lungo la direttrice di via Salvator Rosa: qui de Magistris ha incassato il 54%. Come nella zona Porto, altro quartiere del centro di Napoli. E il 53% lo ha raccolto nel quartiere San Giuseppe, vale a dire il centro storico della città. Potremmo dilungarci ma ci fermiamo qui. Luigi de Magistris, il sindaco della plebe, ha raccolto i suoi consensi al centro e ha perso in periferia.
Ma allora, i movimenti, i rivoluzionari, i centri sociali? Ci sono, certo che ci sono, ma va fatto un piccolo approfondimento. Il voto di una città come Napoli non può che essere complesso. E i cosiddetti movimenti hanno avuto il loro ruolo, non c’è dubbio. Nelle municipalità, le vittorie di Bagnoli (strappata al Pd) e Stella San Carlo all’Arena con Diego Civitillo e Ivo Poggiani portano la loro firma. Così come nel totale delle preferenze delle liste in appoggio a de Magistris, al secondo posto con quasi duemila voti si è piazzata Eleonora de Majo di cui si è parlato molto per le sue posizioni anti-Israele. Ed è proprio l’analisi delle preferenze che può favorire una lettura del voto al sindaco uscente. Perché solo Alessandra Clemente – la figlia di Silvia Ruotolo, la donna uccisa per sbaglio dalla camorra nel 1997 all’Arenella, sì la camorra sparava e uccideva in città già allora – ha preso più voti della de Majo. Ne ha presi 4.400. La Clemente è un simbolo anti-camorra ma è anche un’esponente della borghesia napoletana. È stata al centro di polemiche perché il suo compagno è proprietario nella zona dei locali di Chiaia. C’è stata insomma una saldatura tra i cosiddetti ceti medi – espressione forse superata ma che comunque rende – e i movimenti. Quel che fondamentalmente avvenne quindici anni fa a Genova in occasione del G8.
E va detto che le liste meridionaliste a sostegno di de Magistris sono andate malissimo: sia il partito del Sud sia la lista civica meridionalisti Napoli capitale non hanno raggiunto lo 0,5%. Il cosiddetto leghismo neoborbonico – di cui pure qualcuno aveva parlato – non ha portato voti. De Magistris non è stato votato per questo. È stato votato perché ritenuto il candidato più affidabile e anche un sindaco che si è meritato la riconferma. Riconferma che gli è arrivata soprattutto dalla Napoli borghese, mentre ha fatto decisamente più fatica in quei quartieri più plebei, per dirla con le parole del Corriere della Sera.
Anche de Magistris deve fare i conti con il suo elettorato. La verità è che buona parte dei suoi elettori – la maggioranza – non lo ha scelto per i proclami che gli sono valse le prime pagine. Lo ha scelto perché la vita in città è migliorata, probabilmente anche per dare uno schiaffo a Renzi e anche perché fino a prova contraria la sua è stata una giunta onesta: quella che dovrebbe essere una precondizione in politica è oggi considerata una qualità. Di questo la stampa cittadina non ha praticamente scritto. Siamo arrivati al punto che, due giorni prima del voto, Il Mattino ha pubblicato un’inchiesta da cui emergeva che Napoli in cinque anni era peggiorata praticamente in tutto. Gli elettori hanno dimostrato di pensarla in maniera diversa.
Ma qui entriamo già nel campo dell’analisi che può essere ovviamente anche sbagliata. L’impressione per chi è tornato a Napoli dopo dieci anni è di aver trovato una città certamente povera – a questo proposito è illuminante il saggio di Enrica Morlicchio ed Enrico Rebeggiani pubblicato dal Mulino qualche mese fa – ma in cui la partecipazione alla vita pubblica non è più condizionata dall’appartenenza o dalla prossimità a un circuito elitario che ne deteneva il comando. Questo è a nostro avviso un passaggio-chiave. Il cosiddetto centro decisionale non è più inaccessibile. Non c’è più il librone delle consulenze dorate. Oggi, per certi versi, Napoli può essere considerata realmente una città anarchica in cui si ha un rapporto diretto con l’Amministrazione. Questo ha aspetti negativi e positivi, gli elettori li hanno ritenuti più positivi che negativi.
Infine, due passaggi. Uno è dovuto ad Antonio Bassolino che è stato un protagonista di queste elezioni. A parere di chi scrive, è certamente il più lucido analista politico in città (soprattutto quando non parla di sé). Bassolino ha ragione quando rivendica il suo ruolo di Cassandra sull’esito elettorale del Pd a Napoli. Ma sovrastima il suo ruolo (ricordiamo che le primarie si conclusero con 12.900 voti per lui e 13.400 per la Valente). In fin dei conti, il risultato elettorale di domenica era stato perfettamente fotografato dal primo sondaggio pubblicato mesi fa dal Mattino e commissionato alla Ghisleri. Ebbene, quel sondaggio dava il Pd fuori dal ballottaggio anche con Antonio Bassolino la cui presenza probabilmente avrebbe portato qualche voto in più al Pd ma anche a de Magistris.
L’altro alla famiglia di Cristina Alongi la donna uccisa da un albero che le è caduto sull’auto e la cui vicenda è stata gestita malissimo dal sindaco de Magistris: una macchia importante sul suo operato.
In conclusione, de Magistris non ha vinto per la sua rivoluzione zapatista. Lo ha votato buona parte della borghesia (che dello zapatismo se ne frega) e lo hanno votato i movimenti. Napoli non è una città sull’orlo dell’inciviltà. Sarebbe il caso di smetterla di descriverla come un insieme di lazzari subumani incapaci di articolare un pensiero. Ha vissuto cinque anni, li ha confrontati con i precedenti. E ha scelto.
Articolo tratto da Il Napolista
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