Cibo

A pizza ca’ pummarola ‘ngopp’: il marchio della napoletanità nel mondo

12 Settembre 2019

La pizza settore senza crisi, un business che in Italia fattura oltre 30 miliardi e dà lavoro a centinaia di migliaia di persone.

Si sfornano pizze, circa otto milioni al giorno, quasi tre miliardi in un anno.

Il business della pizza in Italia è uno dei più attivi fattori di sviluppo economico. Lo rileva una indagine condotta dal Centro studi CNA in collaborazione con CNA Agroalimentare in un campione nazionale di imprese del settore altamente rappresentativo.

Tra il 2015 e quest’anno le imprese con attività di pizzeria sono cresciute da 125.300 a 127mila, 76mila tra ristoranti/pizzeria e bar/pizzeria.

E’ la Val D’Aosta al primo posto per incremento del numero delle pizzerie, mentre la Campania occupa il posto piu’ alto del podio per numero di attivita’, con circa 18000 esercizi, 1 esercizio ogni 335 abitanti.

Ma quante verità e quante leggende dietro la pizza?

La prima riguarda i forni, a legna, che continuano ad avere un potere ipnotico.

L’installazione del forno a legna per la propria attività è soggetta a delle normative, in quanto questo strumento essenziale può risultare inquinante e dannoso per l’ambiente principalmente.

Una nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio chiarisce che:

–           “Non sussistono divieti per l’esercizio di forni a legna ma solo norme che regolamentano le emissioni in atmosfera. Per i forni a legna il rispetto di tali limiti non richiede l’installazione di sistemi di abbattimento ma solo l’applicazione di buone pratiche di gestione”.

La normativa cui si fa riferimento è il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2002, in vigore dal 12 marzo dello stesso anno, il quale consente l’utilizzo della legna da ardere all’interno dei forni da pane e delle mense ed altri pubblici esercizi destinati ad attività di ristorazione, rispettando i valori limite delle emissioni.

I forni a legna, per pizzerie, devono essere dotati di una canna fumaria, indipendente e sfociante all’esterno, evitando dispersioni e contaminazioni nelle zone di produzione o lavorazione.

L’operatore inoltre deve assicurare una pulizia costante e continua del forno a legna, che rappresenta un punto critico di controllo determinante per garantire un prodotto sicuro al consumatore.

La pulizia del forno deve essere eseguita da una azienda specializzata e deve ricomprendere sempre la pulizia della canna fumaria e la rimozione di ceneri residue. Risulta comunque buona prassi igienica pulire con spazzola e paletta il pianale del forno dove si depositano ceneri e farina delle precedenti cotture.

In merito alla legna da ardere utilizzata per i forni, le normative vigenti stabiliscono che:

–          “un’impresa alimentare non deve accettare materie prime o ingredienti o qualsiasi materiale utilizzato nella trasformazione dei prodotti, se risultano contaminati, da parassiti, microrganismi patogeni o tossici, sostanze decomposte o estranee in misura tale che il prodotto finale risulti inadatto al consumo umano….”.

Il titolare dell’attività deve quindi provvedere a farsi rilasciare una di dichiarazione del fornitore inerente la provenienza della legna e la sua idoneità alla cottura di alimenti.

L’esercente che non conserva per almeno cinque anni i nominativi e gli indirizzi dei venditori e degli acquirenti del legno e dei prodotti da esso derivati, le relative certificazioni e/o documenti di consegna/acquisto, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 150,00 a € 1.500,00.

Una volta superata la questione dei forni, bisogna sapere che dal 2010, per avere l’attestazione di specificità “Pizza Napoletana” STG, bisogna seguire un disciplinare di produzione.

Secondo la tradizione napoletana, tale attestazione è riservata al prodotto da forno proveniente da aziende dedicate alla produzione, definite Pizzerie, e destinato al consumatore finale, con le caratteristiche individuate nel suddetto disciplinare.

In tale pubblicazione, la “Pizza Napoletana” è:

–           una preparazione alimentare costituita da un supporto di pasta lievitata, condita e cotta in forno a legna. Il prodotto si caratterizza per l’impiego di materie prime selezionate direttamente dal produttore e per le tecniche di lavorazione.

Le materie di base caratterizzanti la “Pizza Napoletana” sono:

–          farina di grano tenero, lievito di birra, acqua naturale potabile, pomodori pelati e/o pomodorini freschi, sale marino o sale da cucina, olio d’oliva extravergine.

–          Altri ingredienti che possono essere utilizzati nella preparazione della “Pizza Napoletana” sono: aglio e origano; Mozzarella di Bufala Campana DOP, basilico fresco e Mozzarella STG.

La produzione e la lavorazione della “Pizza Napoletana” comprende una serie di fasi di lavorazione, da realizzarsi con le materie prime elencate, ma principalmente nello stesso esercizio.

Ma come si dovrebbe fare la pasta della pizza?

Il disciplinare elenca tutte le fasi:

–          si mescolano farina, acqua, sale e lievito. Si versa un litro di acqua nell’impastatrice, si scioglie una quantità di sale marino compresa tra i 50 e i 55 g, si aggiunge il 10% della farina rispetto alla quantità complessiva prevista, successivamente si stemperano 3 g di lievito di birra, si avvia l’impastatrice e si aggiungono gradualmente 1800 g di farina W 220-380 fino al raggiungimento della consistenza desiderata, definita punto di pasta. Tale operazione deve durare 10 minuti. L’impasto deve essere lavorato nell’impastatrice preferibilmente a forcella per 20 minuti a bassa velocità fino a che non si ottiene un’unica massa compatta. Per ottenere un’ottimale consistenza dell’impasto, è molto importante la quantità d’acqua che una farina è in grado di assorbire. L’impasto deve presentarsi al tatto non appiccicoso, morbido ed elastico.

Per la “Pizza Napoletana”, i panetti devono avere un peso compreso tra i 180 ed i 250 gr, una volta formati, si passa alla seconda fase della lievitazione, della durata da 4 a 6 ore.

Per fare il prodotto finale, da infornare, passate le ore di lievitazione, si preleva il panetto, con un movimento dal centro verso l’esterno e con la pressione delle dita di entrambe le mani sul panetto, che viene rivoltato varie volte, il pizzaiolo forma un disco di pasta in modo che al centro lo spessore sia non superiore a 0,4 cm con una tolleranza consentita pari a + 10% e al bordo non superi 1-2 cm, formando così il “cornicione”.

La “Pizza Napoletana” viene condita con 70g a 100g di pomodori pelati frantumati; – con movimento a spirale il pomodoro viene sparso su tutta la superficie centrale; si aggiunge del sale, un pizzico di origano; uno spicchio di aglio, con una oliera si distribuisce olio extra vergine di oliva. Si possono inoltre aggiungere al solo pomodoro, Mozzarella di Bufala Campana DOP, di basilico fresco e sempre olio extra vergine di oliva.

La pizza, così farcita, deve avere una cottura della esclusivamente in forni a legno, per essere definita “pizza napoletana”.

La comparsa della “Pizza Napoletana” può essere fatta risalire ad un periodo storico che si colloca tra il 1715 ed il 1725. L’Oritano Vincenzo Corrado, Cuoco generale del Principe Emanuele di Francavilla, in un trattato sui cibi più comunemente utilizzati a Napoli, dichiara che il pomodoro viene impiegato per condire la pizza e i maccheroni, accomunando due prodotti che hanno fatto nel tempo la fortuna di Napoli e la sua collocazione nella storia della cucina.

Sia i dizionari della Lingua italiana e l’Enciclopedia Treccani parlano specificatamente di pizza napoletana.

Le pizze più popolari e famose a Napoli erano la “marinara” nata nel 1734 e la “margherita” del 1796 – 1810, che venne offerta alla Regina d’Italia in visita a Napoli nel 1889 proprio per il colore dei suoi condimenti (pomodoro, mozzarella e basilico) che ricordano la bandiera dell’Italia.

Nel 2017 in Corea del Sud, sull’isola di Jeju, il Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, ha dichiarato la pizza napoletana, patrimonio culturale da salvaguardare.

Sul sito dell’Unesco si leggono le motivazioni della scelta, che comprendono non solo la pizza vera e propria, ma anche altri aspetti della tradizione napoletana:

–          “gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da palcoscenico durante il processo di produzione della pizza. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale”.

”L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” è stata riconosciuta come parte del patrimonio culturale dell’umanità, trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità e di promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.

A Napoli, vivono e lavorano circa 3000 pizzaiuoli, suddivisi in tre categorie in base al’esperienza e alle capacità:

–          Addetto al Forno/Aiuto Pizzaiolo

–          Pizzaiolo Verace

–          Pizzaiolo Istruttore

Il riconoscimento dell’UNESCO porta la pizza, cibo tra i più amati e consumati al mondo, ai massimi livelli nella cucina sia nazionale che internazionale e identifica, l’arte del pizzaiolo napoletano, l’espressione di una cultura che si manifesta in modo unico.

La manualità del pizzaiolo non ha eguali e fa sì che questo prodotto possa essere percepito come marchio caratteristico, non solo della cucina, ma della napoletanità nel mondo.

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