Milano
Voto all’alimentari, la giornata di un seggio elettorale
Per fare spazio al tavolo degli scrutatori sono state tolte tutte le cassette di frutta e verdura; via la bilancia dal bancone e al suo posto l’urna, via i sacchi di legumi e cereali dagli scaffali, che adesso vuoti e ripuliti possono dare un punto d’appoggio leggermente riparato all’elettore alle prese col suo voto. Solo per oggi il Miobio, questo negozio alimentari biologico in via Thaon di Revel, si chiama MI9-La Fontana ed è il seggio elettorale per i milanesi che abitano all’Isola o giù di lì e vogliono votare alle primarie del centro-sinistra.
Al di là dello scenario inconsueto, il seggio è popolato dal classico presepe elettorale. C’è la presidente, sulla cinquantina, capelli grigi lucenti, fisico sportivo e piglio schietto; il consigliere, maglione di lana colorato e aria tranquillizzante; uno scrutatore alle prese con un computer molto lento e altri due scrutatori appollaiati sulle panche di legno addossate allo scaffale del vino. C’è anche uno dei proprietari dell’alimentari, Marco, un trentenne lungo lungo con l’aria di chi sta pensando al divano di casa sua. Poco più tardi arriverà la rappresentante della lista Majorino, con tanto di spilletta gialla appuntata al maglione.
Ore 9. Già a quest’ora si è capita una cosa: che il voto è in mano alle donne. Un signore anziano chiede se per cortesia può portarsi due schede a casa, per votare, lui e la moglie, e poi riportarle al seggio: “Perché mia moglie si arrabbia se voto da solo”. La commissione riesce in qualche modo a tranquillizzarlo, ma niente voto. Più tardi un altro uomo sulla sessantina fa avanti e indietro con la scheda in mano per chiedere conferma alla sua signora di aver segnato il nome giusto. Lei annuisce in modo secco.
In questa sezione ci sono 9063 iscritti, ma alle 9,30 ne sono passati 8. Qualcuno ce lo siamo perso perché l’assegnazione del seggio non sempre corrisponde a quello più vicino e, una volta arrivati qui, vengono dirottati verso altri seggi. Alcuni minacciano di rinunciare “Abito qui dietro, perché devo andare fino a via Conte Verde?!”. Questo fa sì che d’ora in poi l’argomento principe delle conversazioni al MI9-La Fontana, anche più della politica, sarà la geografia urbana di Milano nord. Insomma fin qui calma piatta e la giornata piovosa non aiuta.
“Metto un po’ di musica?” Marco, il proprietario, prende l’iniziativa.
“Va bene, ma che sia allegra” intima la presidente.
E parte una compilation rhythm&blues anni 60-70 che farà da colonna sonora fino alla fine: Ray Charles, Aretha Franklin, Marvin Gaye, Temptations…
Nei lunghi momenti di quiete della mattina chiacchiero un po’ con Elettra, la rappresentante della lista Majorino. Mi racconta della campagna elettorale, di come non sia stato semplice farla virare verso toni più ironici; di come per loro il dibattito dell’Anteo con Sala sia stato il momento di svolta, quello in cui inizi a crederci davvero. È stato dopo quell’incontro che è nato il logo a baffo.
Un signore col cappello varca la porta a vetri del negozio: “Buongiorno, non sono cinese! Posso votare?”.
C’è un piccolo momento di ilarità generale, seguito da qualche debole strascico di discussione sulle polemiche di ieri, scatenate dal servizio di La7 sul voto cinese.
“Ma stiamo parlando di 300 voti cinesi in tutto, è una polemica senza senso”
“E poi, non ho capito, ma i cinesi non possono votare chi gli pare?”
“Sì, certo, ma la consapevolezza del voto è importante, e quelli non erano consapevoli”.
Qualche occhio rotea verso il cielo e tutto si spegne molto presto. In sottofondo suona “Sir Duke” di Steve Wonder.
I picchi di affluenza della mattinata coincidono con le uscite dalle due messe mattutine: a 100 metri c’è la parrocchia di Santa Maria alla Fontana, molto attiva e rinomata per avere una fonte d’acqua con potenzialità guaritrici, mi dicono. Acqua miracolosa o meno, l’ondata delle 11 e quella delle 12 creano per la prima volta la coda anche fuori dal seggio. Col negozio pieno e le persone in fila bisogna oliare il meccanismo e sulle note di “La vie en rose” suonata da Louis Armstrong va in scena il tipico balletto elettorale: è registrato? allora vada lì. Documento? Prego qui. Ecco la scheda, si vota là in fondo. Ecco l’urna, è dietro di lei. La scheda va qui? Allora vado? Sì sì, imbuchi! E la matita, mi raccomando, la matita! Per quanto piccoli e familiari possano essere, i seggi sono sempre un labirinto.
Il tutto è complicato dal fatto che qualcuno, visto il contesto, dopo aver votato decide di fare anche un po’ di spesa. Non tanta roba, giusto il caffè. Oppure i biscotti. Gia che ci sei anche un po’ di scarola dai. Ecco allora che rispunta la bilancia per pesare la verdura, e riconquista il suo posto, a 10 centimetri dall’urna elettorale.
Alle 13 qui hanno votato 150 persone. Il segretario non sembra soddisfatto, sperava di più, ma dai giornali arrivano notizie di un’affluenza in linea con le primarie precedenti, quelle del 2010. Marvin Gaye intanto canta “Let’s Get it On”.
Passati i momenti di calma piatta dell’ora di pranzo, verso le 15 il Miobio è di nuovo pieno di gente: c’è ancora Elettra, stoica; c’è Emanuele Patti, ex presidente Arci Milano e anche i proprietari del negozio si sono dati il cambio, adesso c’è Andrea, pugliese, socievole, occhi azzurri. Le scrutatrici hanno inforcato gli occhiali e macinano spedite le burocrazie pre-voto per star dietro a un ritmo di votanti adesso più sostenuto e costante. Chi entra nota un buon odore di mele: sono le renette, nascoste dietro al tavolo degli scrutatori. Fuori piove ancora, senza sosta da stamattina.
Verso le 16 fa la sua comparsa, anche qui, qualche elettore di origine cinese. Saranno solo cinque o sei, eppure questo basta a far partire un intreccio di sorrisini e cenni d’intesa. Come chi ha votato prima di loro, sembrano orgogliosi di partecipare alle primarie e anche leggermente emozionati.
Nel pomeriggio si fanno vedere anche un po’ di clienti abituali del negozio. Un anziano saluta Andrea con una pacca sulla spalla: “bravi ragazzi che prestate il negozio per queste cose, siete un punto di riferimento per il quartiere!” Qualcun altro passa di qui solo a salutare, ha già votato altrove: “Ma che bello il negozio trasformato in seggio, che ordine!”. In un attimo si crea un capannello che la Presidente è costretta a disperdere per non bloccare il passaggio dei votanti timidi con la scheda in mano, mentre Sam Cook suona “Chain Gang” in sottofondo.
Origlio una conversazione tra Elettra e uno degli scrutatori, un signore panzuto e sorridente:
“Ogni volta mi dico: basta questa è l’ultima”.
“E invece poi?”
“E invece poi non è così, e mi ritrovo qui.”
“Lo so, è come la malaria, un po’ di febbre ti rimane sempre.”
Stanno parlando di politica.
Nel tardo pomeriggio arriva un fotografo di Repubblica, coda bionda e giacca sportiva. Mi spiega che è stato inviato a scattare foto nei seggi più insoliti. Eppure, dopo qualche ora qua dentro, l’accostamento tra cibo e politica sembra aver trovato il suo naturale coronamento: “Eh, ma noi della sinistra, quella vera, siamo rimasti in quattro sa…Ah, mi dia anche mezzo chilo di pane di segale, per favore!”.
La serata scivola via senza intoppi, dopo un breve polemica sui costi delle primarie e un brivido di notorietà al passaggio del cantante dei Baustelle. Fuori è già buio mentre Mary Wells canta (effettivamente) “Bye bye bye” e Andrea inizia ad offrire vino a tutti i presenti. Alle 19 al seggio Mi9-La Fontana hanno votato 340 persone e tutti i presenti sono davvero esausti della compilation rhythm & blues.
Le elezioni, quelle vere, si faranno nelle scuole, e tutto sarà di nuovo più solenne. Comprare un pezzo di formaggio un attimo dopo aver scelto il proprio candidato sindaco non è altrettanto solenne, ma forse ha la capacità di dare al voto il suo vero contesto: la quotidianità. Domani qui torneranno le cassette di verdura e i sacchi di legumi, torneranno il disordine e i profumi del cibo, ma per adesso silenzio e concentrazione, che sta per iniziare lo spoglio.
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