Cinema

Viaggio da Tokyo. Melanzane al forno, Zuppa di Cime di Rapa e Patate

10 Febbraio 2019

Verso l’inizio di febbraio lo smarrimento stagionale si va approssimando all’apice. Avendo percorso quasi la metà del tunnel buio che conduce ad aprile non vedo più la luce alle spalle, non vedo ancora quella davanti. Cinquant’anni di gennai, febbrai e marzi mi servono solo a sapere che finisce. Cinquant’anni, però, mi ricordano anche che non sempre dall’altra parte ritrovo tutto quello che avevo all’ingresso. Cosa avrò ceduto questa volta all’ingovernabile e rinunciataria indifferenza che si è presa molte delle mie gioie migliori? Intanto al Paladar si va avanti a cucinare, e due lunedì fa è arrivata questa.

Gentile Gerineldo,

mi chiamo Shūkichi Hirayama e con mia moglie Tomi arriverò nella sua città il prossimo venerdì. La prima delle due sere che trascorreremo a Milano prima di ripartire per Ravenna, mi piacerebbe cenare al Paladar Marconi. Io e Tomi abbiamo 74 e 72 anni e nella nostra vita abbiamo coltivato il riso nei campi di famiglia non lontano da Onomichi. Io fin da quando ero ragazzo, Tomi dopo la sua laurea e il nostro matrimonio 48 anni fa. Abbiamo smesso di essere contadini da pochi mesi, dopo avere aiutato nostra figlia Kyōko e il suo recente marito nell’ultimo raccolto, lo scorso settembre. Tomi avrebbe voluto restare ancora qualche mese a casa a pensare, ma si è lasciata illuminare dall’idea di un viaggio in Italia perché le sembrerà di essere più vicina a Keizō, il nostro figlio minore che si è traferito improvvisamente a Tokyo per fare il cuoco, il mestiere più prossimo a quello del contadino. Da allora ogni due anni, in autunno, siamo andati a trovarlo per tre giorni e lui ci ha sempre portato in un diverso ristorante, ne abbiamo visitati diciassette, tutti italiani come quello in cui lavora Keizō.

Io invece conosco il vostro Paese anche per i film che ogni domenica pomeriggio guardo da che avevo quarantadue anni, quando per il mio compleanno Tomi e i ragazzi mi regalarono un videoregistratore di marca Funai a cui è seguito anni dopo un lettore Combo DVD VHS di marca Sharp. Ho visto film Francesi, Inglesi, alcuni tedeschi pochi americani e tutti gli italiani che sono riuscito a trovare. Oltre a Milano vorrei vedere il delta del Po, Ferrara, Rimini, soprattutto Rimini, ma anche il Gran Sasso, il Gargano e in particolare Sannicandro e poi Bari, Matera, Palermo e tutta la Sicilia, Napoli e necessariamente Roma. Forse, ma solo forse Firenze, “Amici miei” non l’ho molto compreso, credo a causa dell’imprecisione dei sottotitoli in giapponese. Non avremo però tutto questo tempo, quindi faremo delle scelte in cui mi auguro vorranno aiutarci le persone che incontreremo. Prima di decidere definitivamente se partire, siamo andati dal dottore a farci visitare e abbiamo scoperto, raccontandogli dell’idea del nostro viaggio che lui è uno dei sei corrispondenti giapponesi di Chinese Whispers dal 1987, ed è grazie a lui che venerdì arriveremo al Paladar Marconi. Non abbiamo particolari richieste, solo la preghiamo di immaginare cosa possiamo avere assaggiato in sedici anni e diciassette diversi ristoranti italiani nella città di Tokyo e di preparare quello che secondo lei non ci è stato offerto. Non risponda a questa email, perché non abbiamo un computer nostro né una casella di posta elettronica e comunque non sapremmo leggere la sua risposta perché conosciamo solo il giapponese. Per questo scritto ci siamo affidati a un traduttore di professione; un cliente del ristorante in cui lavora nostro figlio, al quale abbiamo dettato per telefono quello che ci sarebbe piaciuto dirle di noi.

Cari Saluti, Shūkichi Hirayama

Chiudo la casella gmail e aspetto un attimo prima di decidere cosa pensare. Meglio l’innaturalezza di un ragionamento, rispetto alla banalità delle mie sensazioni nel figurarmi due anziani che dopo una vita a coltivare riso e mezza a guardare film, decidono di partire. Nessuno stupore né irritazione, invece, di fronte al fatto che escludendo ulteriori comunicazioni, non mi riconoscessero il diritto a esprimere nulla che potesse portare me a un rifiuto o loro a modificare i propri piani. Tanto come al solito non sarebbe cambiato niente: il diritto a dire “no”, in generale nella vita, non è mai stato roba mia. Quindi non restava che pensare al menu. Per la prima sera, reduci dal viaggio, gli avrei fatto una Zuppa di Cime di Rapa e Patate e poi delle Melanzane al forno. Le Cime di Rapa in teoria dovrebbero essere uno Standard, tipo Summertime o Body and Soul, nei fatti però ho recentemente constatato che non è così. Io lavoro in una stanza con altre tre persone, parlando di Cime di Rapa, Broccoletti o Friarielli che dire si voglia, ho scoperto che due di loro non ricordano di averle mai mangiate. La zuppa in questione poi, è una mia improvvisazione su un tema messo insieme qua e là. Mi è parso abbastanza da farmi pensare che nei ristoranti di Tokyo non sia mai arrivata. Per quanto riguarda le melanzane, invece, ero certo di fargli fare una scoperta perché la ricetta è il frutto delle approssimazioni di mia madre.

Shūkichi e Tomi Hirayama senza chiedere ne avvertire, sono arrivati alle sette e un quarto, cioè un’ora in anticipo rispetto all’orario standard che fa parte delle regole del Paladar. Sulla porta mi hanno salutato all’orientale in silenzio e senza sorrisi, mentre io indeciso tra tendere la mano o inchinarmi a mia volta, afferravo la scatola che nel frattempo lui mi stava porgendo. Era un dolce morbido al Matcha, di quelli che anche io avevo comperato alla stazione di Kyoto. Entrati In casa mi hanno fatto capire che gli sarebbe piaciuto guardarmi cucinare e visto che la mia cucina è 2 metri e 10 per 4 e 30 la misura standard di una cucina abitabile, in un trilocale standard, in un palazzo standard degli anni 70 a Milano, ho apparecchiato direttamente al tavolo e lì li ho fatti accomodare. Altrimenti non avrei saputo dove metterli a guardare senza che mi intralciassero. Le Melanzane erano già pronte, ma la zuppa potevano vederla fare a partire dal primo, fondamentale passaggio: la pulizia delle cime.


Zuppa di Cime di rapa e patate. Ingredienti per quattro. 1 kg di cime di rapa. Da 600 a 800 grammi di patate. Sale, pepe o peperoncino, due cucchiai di foglie di prezzemolo tritate con la mezzaluna, uno spicchio di aglio, olio EVO.

Un importante inciso: pulizia e cottura delle cime. Si può e lo considero legittimo, ritenere eccessiva questa attenzione, ma la giusta cottura e una consistenza priva di parti fibrose secondo me sono fondamentali. La cima di rapa che si compera è composta di tre parti che in ordine di fibrosità decrescente sono (si veda la foto): i gambi più grossi, i gambi più sottili e le parti con le foglie. Le tre parti vanno separate con un piccolo coltello affilato, a lama molto sottile. Dai gambi più grossi va anche rimossa la parte esterna, una sorta di corteccia di fibre impossibile da ammorbidire. I gambi di dimensioni medie si possono tagliare in due per il lungo. Le foglie e le parti tenere a loro contigue le tengo così. Quindi lavo tutta la verdure in acqua tiepida (aiuta a rimuovere eventuali residui di terra) e cuocio in ordine progressivo: i gambi grossi ridotti a tenerezza dal decorticamento e tagliati in due o tre parti possono cuocere insieme alle foglie in circa 10 minuti. I gambi intermedi richiedono 5 minuti in più. Io a volte cuocio separatamente questi ultimi e li tengo per i giorni successivi o dopo averli congelati, da mangiare conditi con un po’ d’olio, mentre il resto lo uso per la zuppa. Questa la teoria generale, ora il procedimento specifico.

Procedimento. Immergo le foglie delle cime di rapa e i gambi grossi sbucciati in acqua bollente salata e dopo 7/10 minuti (il tempo varia in base alla tenerezza, non devono essere completamente cotte), le scolo (conservando un po’dell’acqua di cottura), quindi schiaccio il tutto per fare uscire più acqua possibile, dispongo su un tagliere e taglio per il lungo in parti di un paio di centimetri. La verdure infatti contribuiscono a una zuppa che dovrà essere mangiata col cucchiaio e quindi devono avere una dimensione che il cucchiaio possa mediamente contenere. Mentre cuociono le cime, in una casseruola (pentola?), metto l’olio, lo faccio scaldare e faccio imbiondire l’aglio che solitamente schiaccio prima. Quindi aggiungo le patate già tagliate a cubetti di circa 1 cm e ricopro a filo (anche un po’ meno) con acqua calda o brodo vegetale. E’ importante che i cubetti non siano troppo grandi perché per la riuscita è importante che le patate si disfino un po’ per contribuire alla densità della zuppa, ma restino comunque abbastanza integre da essere mangiate anche loro col cucchiaio. Quando le patate sono molto cotte (cioè da 10 a 15 minuti dall’avvio) e cominciano a disfarsi aggiungo le cime di rapa, eventualmente un po’ d’acqua di cottura e faccio cuocere insieme altri 15 minuti. Poco prima di spegnere regolo di sale, aggiungo il pepe (facoltativo soprattutto per chi preferisce il peperoncino), metto il prezzemolo e faccio riposare. Prima di servire se necessaio la scaldo, la metto nei piatti e aggiungo un po’ di indispensabile olio crudo.

Avvertenza di cottura: è importante aggiungere liquidi solo progressivamente, la zuppa deve restare piuttosto densa: almeno a me piace così.

Avvertenza di servizio: con il peperoncino è sublime. Io preferisco aggiungerlo grattugiato al momento sul piatto già pronto. In questa maniera i sapori restano distinti: le patate, le cime, l’olio crudo e il piccante. Si potrebbe aggiungere anche in fase di cottura della Zuppa, ma a mio avviso tende a dominare e ad appropriarsi dello spazio degli altri sapori. Quando si cuoce col peperoncino in presenza di liquidi, poi sa tutto un po’ di peperoncino.

Melanzane al Forno. Ingredienti. Due grosse melanzane, 200 grammi di parmigiano non troppo stagionato e grattugiato, una manciata di foglie di basilico, sale, aglio e olio Evo.

Procedimento. Taglio le melanzane a fette di circa 1 cm scarso di spessore. Se sono molto panciute posso tagliarle a fette tonde invece che per il tradizionale lato lungo. Cospargo un lato solo di ciascuna fetta con un pizzico di sale e ci appoggio sopra quella successiva fino a ricomporre la melanzana. Quindi la lascio a scolare una mezz’ora. Perdono un po’ d’acqua (quella dell’amaro ormai è una chimera), ma soprattutto assorbono in maniera diffusa un po’ di sale. Le asciugo e le dispongo su una leccarda oliata (preferisco così) oppure ricoperta sul fondo di carta da forno (è tanto più comodo perché sporca meno). Apro i pelati, li scolo e con le mani riduco i pomodori in filetti facendo così uscire anche l’acqua dal loro interno. Quindi ricopro ogni fetta di melanzana con filetti di pomodoro (senza eccedere) che schiaccio un po’ col dito, poi parmigiano distribuito col cucchiaino per coprire anche i bordi, una o due sottili fettine di aglio (non obbligatorio) per ciascuna fetta, un paio di foglie di basilico e un po’ di olio crudo. Quindi inserisco in forno già caldo a 180 gradi e le lascio andare per mezz’ora: i primi dieci minuti con la ventola e poi senza, oppure come meglio vi pare, io ho la sensazione che troppa ventola possa seccare. Una volta cotte vanno tolte dal forno e fatte raffreddare da 30 a 60 minuti (altrimenti sono troppo fragili) quindi si dispongono a strati su un piatto dal quale chi le mangia potrà prelevarle. Queste melanzane non si mangiano appena fatte, ma a temperatura ambiente un paio d’ore dopo la preparazione. Il giorno dopo sono buonissime anche se possono diventare meno belle da presentare in tavola, ma tra due fette di pane giusto (tipo pugliese, un po’ rugoso e non freschissimo) siamo vicini al panino del secolo. Ma certe cose accadono solo se hai l’organizzazione domestica di un pugliese che vive in Puglia.


L’atmosfera della cena è stata piacevole e inaspettatamente sciolta. Abbiamo trascorso il tempo della preparazione e della cena a parlare, i due tra loro a bassa voce e poi con me intrecciando al contempo gli sguardi, mentre ciascuno diceva cose nella sua lingua provando a renderla comprensibile con la ripetizione lenta delle parole, soprattutto loro, oppure con indicazioni e movimenti delle mani, principalmente io. Il problema che chiunque sia stato in oriente conosce però perfettamente è che noi occidentali siamo separati da loro non solo dagli idiomi, ma anche dalla gestualità. O almeno questa è sempre stata la mia esperienza.

Dopo una cena lenta durante la quale hanno bevuto acqua naturale e te inglese, si sono alzati portando con se il bicchiere di Marsala Secco che avevo offerto loro prima che andassero in sala. Trascorsa una mezz’ora in cucina a riassettare li ho raggiunti, i due bicchieri erano intatti appoggiati sul tavolo, mentre loro seduti sul divano guardavano il libro fotografico su Marcello Mastroianni che mi regalò Mariastella molti anni fa. Parlava solo Shūkichi, ininterrottamente, in tono animato e di stupito entusiasmo girava le pagine, toccava figure e spiegava cose a lei che reagiva con sorrisi o avvicinando il libro dalla sua parte per vedere meglio questa o quella foto. Poi lui ha alzato la testa verso di me e indicando la foto di un Mastroianni quarantenne e vestito di bianco, ha pronunciato la prima e unica parola di quella serata che ho capito, “Snaporaz”, ha detto distillando le sillabe. Credo di avere sorriso, credo di non essermi meravigliato, ma avvertendo l’urgenza di fare qualcosa ho fatto un lungo sorso dal bicchiere di Marsala che io invece continuavo a bere. Poi su un giallino ho scritto il conto: 2 euro l’acqua naturale, 1 euro il tè, 5 euro le spese generali, 4 euro le melanzane (purtroppo è inverno), 3 euro i pomodori pelati, 4 euro il Parmigiano Reggiano, 3,90 euro le cime (…siamo a Milano), 2 euro le patate, 2,9 euro per l’assaggio di Gorgonzola al cucchiaio che hanno mangiato in attesa del pasto e 3,1 euro per pane e un paio di focaccine del genio di San Gottardo. Il totale di 29,9 l’ho scritto in calce. Poi ho preso la scala e dall’armadio in corridoio sono andato a prendere uno dei pochissimi giornali che conservo, una copia de La Repubblica del 20 dicembre del 1996, ci ho attaccato sopra il giallino e sperando vanamente che Shūkichi mi capisse gli ho detto un po’ imbarazzato, “conto e regalo. Tornate, mi è piaciuto stare con voi”.

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