Milano
Pavilion, uno spazio di relazione in mezzo ai grattacieli di Porta Nuova
Eliminare l’effimero per ripensare gli spazi, destrutturarli dall’obbligo di un mero funzionalismo per restituire loro il respiro di una possibile rigenerazione continua. La contemporaneità vive all’interno di un’accelerazione obbligata che fagocita ogni pensiero e ogni possibilità d’interpretazione. L’alternativa a questo aumento esponenziale di velocità è spesso una perdita di concretezza e uno stanco abbandono sulla battigia della consolazione privo di visione e spesso tragicamente vacuo.
Costruire e prima ancora pensare spazi aperti e rigenerativi è dunque – al pari dell’equilibrista solitario che attraversa il vuoto sospeso su un filo teso tra due sponde – un gesto rischioso in cui ogni movimento deve essere pensato e compiuto con estrema attenzione, ma soprattutto con grande naturalezza. Cura e spontaneità sono probabilmente i due movimenti che hanno guidato Michele De Lucchi nella progettazione dell’UniCredit Pavilion atterrato, anzi per la precisione gettato, all’interno della piazza Gae Aulenti a Milano.
Gettare è un gesto nobile: è il movimento del contadino che semina, che per l’appunto getta i semi. Ossia il segno forse più innovativo possibile nel momento in cui la crisi schiaccia e affatica, e soprattutto spaventa limitando gli scambi e le relazioni. Un’operazione che quindi getta un seme – perché così possiamo definire al meglio l’UniCredit Pavilion – generando uno spazio dalle infinite possibilità. Una progettazione rigorosa e innovativa che permette al seme di evolversi e trasformarsi di volta in volta sviluppando al meglio quelle che sono le pratiche di condivisione e di scambio che sono al centro di un’infrastruttura relazionale di riferimento europeo come l’UniCredit Pavilion.
Il seme sviluppa radici solide ed è destinato ad una fruizione trasversale capace d’interpretare con agilità le esigenze culturali della nostra contemporaneità. Libero da vincoli culturali e anche fisici, vista l’incredibile poliedricità della struttura, dotata ad esempio di due megaschermi posti all’esterno che coniugano lo spazio interno con la piazza Gae Aulenti e con il parco, Unicredit Pavilion si pone al centro di una dinamica che vede questo spazio all’avanguardia e nel solco delle grandi innovazioni che hanno mutato il concetto stesso di museo, di biblioteca, di spazio espositivo e di ricezione collettiva.
Ma cosa fa di più UniCredit Pavilion? Intreccia, lega, relaziona e costruisce un mix inedito in cui l’auditorium capace di ospitare fino a 700 persone ha come naturale estensione passerella di quasi cento metri da dedicare a esposizioni e performance. In UniCredit Pavilion ogni ambito è infatti un ramo obbligatoriamente percorribile all’interno di una logica che è movimento e azione.
Come spiega Michele De Lucchi in L’importanza di essere individui e società (Johan&Levi, 2015), oggi diviene urgente e visionario portare l’Io in quel Noi senza il quale essere Io non avrebbe alcun senso. Rileggere la società in un’ottica che non sia di contrapposizione ma di crescita armonica: uno spazio da gestire, ma non da controllare, da immaginare, ma non da imporre. Uno spazio in sostanza aperto alla collettività e che ponendosi al confine tra i grattacieli di Porta Nuova e il parco La Biblioteca degli Alberi diviene il connettore in grado d’interpretare un concetto di cittadinanza che non sia esclusivamente confinato nella dicotomia pubblico/privato come in quella di aperto/chiuso.
Uno spazio di relazione è infatti un movimento, un flusso che a sua volta genera nuovi spazi liberandoli dall’occlusione tipica di una rincorsa continua e spesso autoreferenziale, se non indotta da un sistema di relazioni rigidi. Una corsa che se non può essere fermata può comunque essere interpretata. Intercettare quindi le esigenze culturali, che sono poi l’essere profondamente umano dei pubblici, significa correre al loro fianco e con il loro ritmo proponendo una possibilità di approfondimento che non sia una brusca uscita dalla quotidianità come può essere un grande evento, ma una forma di arricchimento che piano piano rigeneri e qualifichi giorno per giorno, stupendo e creando una meraviglia in un certo senso feriale.
Milano negli ultimi anni si è arricchita di spazi culturali espositivi promossi da fondazioni e di nuovi musei pubblici. Esempi clamorosi di una condivisione riuscita tra l’azione politica e quella imprenditoriale. Ma ora quello che manca è uno spazio del vivere contemporaneo in cui il pubblico venga attivato attorno a innovative pratiche di condivisione e UniCredit Pavilion si candida ad occupare quel ruolo: ne ha certamente le potenzialità e la visione. Attivare il pubblico significa sfondare il muro che spesso separa la cultura da chi ne usufruisce, andare oltre la sacralità del luogo per mettersi all’opera e al servizio di una circolarità culturale che non veda la distinzione tra attori e spettatori, ma che sia a vantaggio dell’intera comunità nella sua interezza.
Seminare partendo dall’UniCredit Pavilion significa così arricchire una società partendo da un’individualità seme capace di diffondersi dando un senso culturale al proprio tempo. La cornice non esiste più, ma oltre il quadro non vi è il vuoto, ma un flusso vitale che diviene essenziale intercettare perché l’urgenza obbliga il presente a farsi carico del futuro esattamente come fa un seme gettato in un campo. A fine luglio UniCredit Pavilion verrà aperto al pubblico iniziando a dare forma al proprio corpo che avrà al centro l’ambizione, ma soprattutto la concreta prospettiva di uno sviluppo creativo irrequieto e irrinunciabile per Milano come per l’Italia. Un laboratorio capace di sperimentare un futuro al tempo presente con lo strumento prezioso e sottile di una creatività che sia artistica, imprenditoriale o a carattere sociale.
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