Milano
Una canzone per Jimmy, e quei pazzi anni milanesi
Le cose cominciano sempre per caso, o per uno scherzo del destino. Gerry, il quarto figlio dell’ingegnere irlandese George Mulligan, è nato per seguire le orme del padre, ma ci si è dovuti accorgere che tutto ciò che riguardasse elettricità gli mette paura o lo annoia tremendamente. Siccome il padre e la madre lavorano, e si trasloca spesso, seguendo i contratti di George, per Gerry viene presa una tata, Rose, cresciuta nei bassifondi di New Orleans e con una storia che non venne mai narrata, e che segue la famiglia di trasloco in trasloco.
Rose suona il piano, eccome se lo suona! Ogni brano famoso di Fats Waller e di tutti i grandi dell’epoca, a memoria e ad orecchio, le bastava ascoltarli in radio. E quindi Gerry, dai sei anni in poi, ha iniziato a passare tutto il suo tempo libero, invece che inseguendo lucertole nelle periferie, ad imparare a suonare qualunque strumento. Ad orecchio, certo, ma proprio qualunque, perché Rose, a casa, ha cimeli di valore inestimabili che erano appartenuti a questo o quell’eroe della musica nera degli anni 20 e 30.
A soli 14 anni Gerry suona il clarinetto ed il sax a livello professionale. La sua famiglia vive a quei tempi (1941) a Reading, un paesino della Pennsylvania, ma Gerry guadagna già i primi soldi riarrangiando brani altrui e suonando in orchestre di Philadelphia. In quel periodo, prima di andare a vivere a New York (1946), essendo già una stella del nascente cool jazz insieme a Gene Krupa ed a Chet Baker, Gerry ha iniziato a conoscere ed a stimare i giovani sassofonisti che, già allora, consideravano il cool jazz ed il bebop come superati, e seguivano (venerandolo) il più spregiudicato di tutti, Charlie Parker, un genio completamente pazzo, che stava andando dal bebop al free jazz con la velocità ed il fragore di una supernova. Uno fra questi, Jimmy Lyons, era forse il migliore amico di Gerry.
Il free jazz non è cosa per il giovane irlandese. Troppe note stridenti per il gusto di Gerry, che ama l’armonia, i ritmi complessi, l’ordine, e l’Europa. Gli piace la lentezza di francesi, italiani e spagnoli e, siccome è grande amico di Chet Baker, va spesso a trovarlo a Milano, dove i due più grandi jazzisti del momento improvvisano nei bar, senza pubblicità, senza biglietto, in cambio della cena e delle sigarette. Tra i suoi fan, gente altolocata e con i soldi, c’è la Contessa Franca Rota Borghini Baldovinetti, fotografa e ragazza ribelle, che non solo sposa il giovane irlandese, ma gli presenta altri eroi altrimenti sconosciuti, come Astor Piazzolla ed il suo bandoneon.
Racconta Gerry: “Sono stati anni incredibili. Noi non ci distruggevamo come gli altri jazzisti, noi godevamo la vita come nessuno aveva mai fatto prima, e non ci vergognavamo di suonare con musicisti che, a New York, nessuno avrebbe mai ascoltato. Chet aveva la fidanzata in Toscana, per cui spariva per settimane. Una volta tornò con un signore italiano, un uomo serissimo, che si presentò come Piero Umiliani, e scopro che era un pianista straordinario. Lui e Chet avevano appena finito di registrare la musica per un film, “I soliti ignoti”, che in Italia è una pietra miliare. Suonavamo così: Chet col suo cappellaccio e la camicia in frantumi, io con il mio completo da jazzista newyorkese, e Piero con un golfino verde pallido che gli aveva cucito la mamma per cui, a New York di notte, lo avrebbero sgozzato dopo meno di un minuto”.
Gli arriva la notizia che Jimmy Lyons è stato acciuffato dai Marines e mandato in guerra in Corea. Di lui non ci sono notizie, Gerry teme che sia morto. Una sera d’estate, alla Taverna di Milano, dove suonava spesso, Gerry ed alcuni dei più grandi jazzisti italiani suonano un concerto indimenticabile per Jimmy. E suonano il brano che Gerry aveva scritto per lui, “Line for Lyons”, che diventerà forse il brano di maggior successo di Mulligan, e di certo è il più bello. Dentro ci sono sia la melodia che una grande complessità – eppure è un brano di un’allegria composta e romantica, riflessivo, forse persino triste, ad ascoltarlo dal vivo, piuttosto che in studio. Certamente lo era quella sera, visti i timori dell’omone irlandese con il sax in mano…
Dopo quella sera, una parte della vita è irrimediabilmente finita. Poche settimane dopo Gerry e Chet sono ripartiti per l’America. Franca, la Contessa, lo segue fino alla fine, nei lunghi anni in cui Gerry scrive brani indimenticabili, lavora con i più grandi della storia della musica contemporanea, diventa un’icona del cool jazz, un grande direttore d’orchestra, ed infine muore di cancro al fegato a quasi 70 anni. Jimmy Lyons, invece, tornato dalla Corea, è ancora qui tra noi, anche se da alcuni anni ha smesso di suonare in pubblico perché si sente troppo vecchio. Lui dice che in genere non suona “quella roba”, ma che ad ogni concerto ha suonato la canzone regalatagli da Gerry, perché gli amici veri non li si dimentica mai.
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