Piazza Duomo ritratta da Filippo Romano, durante il Lockdown del 2020

Milano

Una Avvelenata sul “Modello Milano”

13 Marzo 2025

“Ma s’io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni…”.

Pochi giorni fa il direttore di questo giornale ha pubblicato un articolo che interpreta sensibilmente la fase agonica che la città di Milano sta attraversando (La lenta agonia della Bella Epoque di Milano ) e che segna un passaggio di epoca. È un articolo che, si sarebbe detto un tempo, dovrebbe aprire un dibattito sulla complessa congerie di questioni che attanaglia la metropoli; un confronto che per essere utile a metabolizzare la fine anche traumatica della fase precedente e contribuire ad inaugurare quella futura, dovrebbe essere sincero e che, quindi, non avverrà.

Spero di sbagliarmi, ma tale dibattito non avrà luogo, perché il fraintesissimo “modello Milano” di questi anni, e le sue acritiche “narrazioni” (absit iniuria verbis) sono stati e sono un alibi a troppi interessi grandi e piccini (piccini quelli della cerchia politica), e quindi fa ancora troppo comodo – mi si perdoni la metafora macabra all’italiana – far finta che la nonna sia viva per continuare a incassarne la pensione. In ogni caso, è un gioco che durerà poco; previsione da due soldi.

Scampoli antesignani di tale dibattito, non necessariamente da posizioni critiche onnicomprensive ma su segnali, fenomeni, aspetti della potenziale futura crisi, su questo giornale ci sono stati da tempo, e forse di questi molti punti di vista si è giovato il direttore Tondelli, attento alchimista di idee.

Io stesso, per combinazione esattamente sette anni fa, avevo pubblicato un articolo (https://www.glistatigenerali.com/citta/milano/lisolamento-del-modello-milano/, che gli chiederò di rilanciare), in cui nel momento di maggior fulgore dell’orgoglio acritico ed egotico della Milano “città stato” (…ma si può?!), paventavo i rischi dell’isolamento per via di tale atteggiamento sbrigativo e sprezzante, insomma, un po’ brianzolo. L’articolo mi costò qualche alzata di sopracciglio, non tutti/e ne furono entusiasti/e, sapeva di disfattismo ma anticipava pure il mio attuale sentimento sincerissimo nei loro confronti.

Ed eccoci qui, al metodo e al merito, perché dal momento che siamo ad uno snodo storico, saremo inevitabilmente chiamati dalle circostanze a concorrere alle analisi celati dietro le idee, le categorie, gli attrezzi del mestiere. E invece, preventivamente, mi pare utile contribuire nel modo più rozzo ed elementare, ma più essenziale possibile, perché non ci siano coltri fumogene, ipocrisie da attivo di sezione, ossia richiamando le ragioni materiali, le “strutture” della formazione di un punto di vista.

Sia chiaro: se la questione si dovesse alzare a un livello meno terra-terra e farsi filosofica e/o politica, come si dice, mi dichiarerò nato pronto.

Dunque, consultando i famigerati dati dell’anagrafe cittadina, normalmente si cita il dato delle famiglie milanesi ma per la parte più macroscopica, ossia la dimensione esagerata delle famiglie di singles o in coppia. Obiettivamente, parrebbe da titoloni pure il resto: le famiglie di quattro persone, prendiamo un grande classico, sono l’8%, ossia circa sessantamila, e al netto di quelle classificate “straniere” si riducono al 6% del totale.

Una ricerca presentata l’altro ieri dal Cergas Bocconi proprio a un’iniziativa del Comune, poi, calcola che per vivere in città una famiglia di tre persone deve poter contare su un reddito mensile di 4300 euro, a salire ogni figlio in più; quindi, che facciamo, stimiamo 5000? Ora lasciamo perdere tutte le implicazioni connesse (mutuo, casa di famiglia, lavora uno, lavorano in due, se lavorano in due hanno nonni, baby sitter, doposcuola, insomma i discorsi quotidiani per approvare il bilancio di questo 6%), e lasciamo pure stare la spalmatura differente sui diversi gruppi (per esempio etnici, che avranno per esempio diversi standard abitativi, abitudini, ecc.); ecco, il totale malcontato è che per campare a Milano a una famiglia di quattro persone occorre – diciamola alla milanese – una RAL che se non ha tre digit prima dei K, poco ci manca. Pudicamente ieri Repubblica concludeva che a Milano: “per metter su famiglia, occorre avere denaro”.

Aggiungiamo che fino a non molti anni fa, con quella RAL a Milano eri benestante, cioè ogni mese mantenevi la famiglia e mettevi via qualche cosa; oggi, la prima.

Ecco, ora anche un riformista laico non può che definire almeno la parte meno piacevole di una vita così con la vecchia formula “produci, consuma, crepa”, antagonista alla CCCP, perché, in effetti, a Milano oggi un genitore di una famiglia di quattro persone è una specie di criceto nella ruota.

Qui di solito c’è una deviazione, e si inizia a parlare delle famiglie che hanno lasciato Milano e sono andate nell’Hinterland, e hanno scambiato vivere a Milano con un relativo maggior benessere, ma pure un relativo maggior benessere con il tempo del pendolarismo quotidiano, e così via.

Ebbene no, li c’è un bivio raramente indicato e percorso che, per l’appunto, seleziona questa robusta minoranza. Il ragionamento è più o meno il seguente: “me la sono scelta (intendo la famiglia), me lo sono scelto (intendo il lavoro), ci sono nato (intendo Milano), ci resto e morta lì; ma almeno non mi rompete le scatole”.

E, qui sta il punto, e questi seguenti sono piccoli fatti, minuscoli eventi di vita possibile che non passano alla storia ma cambiano giorno dopo giorno il modo di vedere.

Sei un criceto nella ruota per tutti i motivi di cui sopra, e ora “cambi l’auto perché hai un suv e inquina”; “ma come, ha nove anni, non la voglio cambiare, non la posso cambiare, non è un suv è una Fiat famigliare ora le fanno così, mi serve perché alla spesa del sabato compro tre scatoloni di cibo, 100 rotoli di carta igienica, perché trasporto le bici, i pattini, i monopattini, ci vado con lo sharing? Con la Tesla? A due km da casa mia passano 7/24 bilici da 30 Tonnellate diesel, io la uso due volte la settimana!” – “non importa, è un fatto simbolico, noi dobbiamo essere un esempio”: quindi siccome dobbiamo essere un esempio, compra un’auto nuova che non serviva.

Sei un criceto nella ruota, e da domani non fumi più il sigaro sul marciapiede davanti a casa perché “inquini” (!). “Ma perché, in casa non posso, sono in piedi sotto i lampioni in uno squallido parcheggio della media periferia attaccato alla ferrovia dismessa, ma poi come inquino, siamo in una coltre di smog, l’altro ieri la città più inquinata della Padania era Soresina, un centro agricolo di 9000 abitanti, ma che cosa fa il mio unico sigaro al giorno?” – “inquini, e noi dobbiamo essere un esempio nella battaglia al fumo, è così e basta”.

Sei un criceto nella ruota, e non ti tagliano più le aiuole davanti a casa, in luglio l’erba è alta oltre un metro, le zanzare aleggiano come a Saigon; “tuteliamo la biodiversità”.

Sei un criceto nella ruota, paghi mille dollari di rifiuti all’anno e li devi portare fuori in pigiama all’alba, altrimenti multa, lasci per sbaglio nel vetro un tappo a corona della birra e non la ritirano, devi tenere il bidone in casa una settimana in attesa del prossimo giro; due palazzi più in là esce un tale, sotto un braccio ha un bidet, sotto l’altro braccio ha una tazza del cesso, li appoggia all’angolo (sic!), se ne va e restano lì una settimana.

Sei un criceto nella ruota, e non ti notifichiamo più le multe. “Ma come?! E come faccio a sapere se mi avete multato?” – “Vai nel fascicolo del cittadino” – “E come faccio a sapere se c’è una multa nel fascicolo del cittadino se non so che mi avete multato?” – “Vai tutti i giorni in Facebook? Bene, vai anche nel fascicolo del cittadino, così lo sai” (scene di vita vissuta).

Ho quasi finito. Sei un criceto nella ruota e chiedi di poter abbattere un piccolo muro in mansarda che separa la parte agibile da quella abitabile, per fare un armadio e recuperare un po’ di spazio. E ti dicono di no, perché è un “abuso edilizio”.

Un “abuso edilizio”; un muro in mansarda; nella Milano degli anni venti, capite?!

“Ma s’io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso”…

Ecco, non sono arrabbiato solo perché avete assecondato ogni deriva ultraliberista, neomercatista, disgregativa del tessuto, dei luoghi e dei valori storici della città di Milano, non proteggendola dalla pressione del cambiamento per imprimere un ritmo accettabile di innovazione e modernità; per questo Caldara, Greppi, Aniasi sarebbero stati arrabbiati con voi e vi avrebbero inseguito con lo schioppo; e su questo argomenteremo altrove.

Ma sono anche, preventivamente, umanamente come singolo cittadino, non idealmente o ideologicamente, avverso a voi, perché in questi anni ai macrocambiamenti che già avvenivano e di cui non avevate responsabilità diretta – se non aver lasciato andare la barca al largo, che è la colpa peggiore –, mentre una minoranza della città correva nella ruota dei criceti, un giorno sì e un altro giorno pure, al posto di farvi almeno i cavoli vostri, siete arrivati con quel tono saccente e protervo a imporre lezioni di vita. Complicandola, la vita.

Bene, ho sputato il rospo; ora sono pronto al dibattito, dove e quando si tiene?

 

Ps. Per la stesura di questo articolo nessun elettore del centrodestra è stato consultato e nessun elettore del centrosinistra è stato maltrattato. Dicevo di avere presentato a scanso di equivoci un punto di vista; di chi lo dovesse contraddire mi aspetterei eventualmente di conoscere il pulpito, così, per non incappare in quei paradossi per cui un già top manager della Pneumatici Pirelli poi un giorno riservi ad altri, fumatori di sigaro nei parcheggi, lezioni di sostenibilità ambientale.

Foto di copertina: Piazza Duomo ritratta da Filippo Romano, durante il Lockdown del 2020

1 Commento
  1. Condivido, c’è stato un mix di eccessiva tolleranza nel confronto degli speculatori edilizi e un’ eccessiva e supponente arroganza nel confronto dei piccoli comportamenti dei cittadini (no fumo, no auto ecc), il tutto condito da una falsa narrativa sulla città smart, friendly, de sinistra (l’ urbanistica tattica, i quartieri “da chiamare per nome”, la “città a 15 minuti”, ma dove? Giusto uno slogan…). Ma era tutto largamente prevedibile, vedi ad esempio gli interventi dei vostri colleghi su “Arcipelago”. Chi è che non se n’è accorto? I professori del Politecnico, quelli che adesso si stracciano le vesti. E perché? Perché puntavano a prendere incarichi, a fare gli assessori qualche mese, a comparire fra gli autori del PGT… Autocritica invece quella mai.

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