Ambiente

Un Fiorino val bene uno Stadio

9 Luglio 2015

Vi ricordate? Troisi e Benigni ( quando non era ancora uno stucchevole premio Oscar) dovevano pagare un fiorino ad ogni attraversamento di un artificiale confine.

 

Il sogno di ogni italiano. Poter dominare un territorio, essere sovrani anche di un fazzoletto di terra, padroni esclusivi di un quadrato di mondo. Tutto nostro.

Troisi e Benigni erano nel ‘400. Da quegli anni abbiamo fatto molta strada. I Savoia hanno conquitato lo stato Borbone, pensato di acquisire lo Stato Vaticano che continua a dominare sott’acqua, e anesso due o tre staterelli oltre ad aver cacciato, per disgrazia Milanese, gli austriaci da quel Nord Ovest che oggi abbiamo consegnato a Zaia.

D’Azeglio diceva che non ci restava che fare gli Italiani, che invece hanno  pensato bene di dedicarsi a disfarsi dell’Italia. Uniti a forza da due guerre mondiali, combattute a calci nel sedere dai poveracci di ogni dialetto per arricchire borghesie e mafie sodali nel nome dei medesimi interessi,  superate le prime avversità e raggiunto un insperato benessere hanno cominciato a ridividersi, discriminandosi vicendevolmente per qualsiasi pur minima differenza.

Non raggiunto il livello del razzismo perchè fermi al livello iniziale, quello dell’odio del paesano confinante –  altro che razza, basta una semplice siepe a dividerci –  ci siamo inventati prima le regioni, poi le provincie, novemila comuni e infine, colpo di teatro, abbiamo incominciato a dividere i comuni nei Consigli di Zona per concludere con i comitati di quartiere fino ai malefici comitati del NO. Piccole squadre di cittadini, massimo 30 o 40 che , disposti a tutto che,  con azioni di guerriglia politica, boicottano qualiasi progetto, azione, decisione della pubblica amministrazione che, seppur eletta democraticamente dall’intera comunità, diventa impotente.

Con la scusa della partecipazione “dal basso”, capitanate spesso da professionisti del No ad oltranza, al grido di “il quartiere è di chi ci vive“, sabotano qualsiasi iniziativa con manifestazioni, ricorsi legali, occupazione sistematica sui social e sfruttamento della più becera lotta politica a cui i rappresentanti, – non conta di quale schieramento –  si prestano prontamente.

Convinti, come sono convinti tutti gli italiani, che il solo fatto di acquistare o affittare un appartamento, li renda prontamente proprietari del territorio circostante lo difendono da qualsiasi ingerenza e prospettiva di cambiamento.

Dopo aver osteggiato la realizzazione di parcheggi interrati e il ridisegno di piazze, la riqualificazione di aree abbandonate dai tempi della guerra, contrastato ogni novazione della città, costringendoci a subire tempi biblici di lavori e interventi, mai e poi mai hanno ammesso di aver creato disagi all’intera collettività.

A quella stessa collettività che, terminate dopo anni di lotte e difficoltà queste opere, le hanno apprezzate e vissute con entusiasmo.

Dopo Citylife, Portello, Porta Nuova, Darsena, XX aprile, San Calimero e chi più ne ha più ne metta, il nuovo fronte è il previsto Stadio del Milan.

Con un solo salto di qualità.

Finalmente l’ottusità degli interessi personali è manifesta, non si paraventa dietro impossibili richieste di spazi verdi, orti, asili, luoghi per tutti, pericoli geologici o finte lotte al trasporto privato.

L’intervento della stadio, che prevede una dotazione di servizi e attività che riqualificherebbero il quartiere ben oltre il rettangolo di gioco,  viene osteggiato  con le motivazioni di chiha una visione proprietaria della città. Pochi punti paradignatici:

Mancheranno parcheggi, che sono già pochi. “Come, ho comprato il mio Suv e qualcuno si vuole permettere di occupare il posto che ho sotto casa? A che titolo? Per quale motivo non potremo parcheggiare le quattro  auto di famiglia che lasciavamo bellamente sul marciapiede? Non vorranno mica vietare il parcheggio per convincere tutti i frequentatori dello stadio a raggiungerlo con i mezzi pubblici, costringendo anche noi a questa improponibile pratica?

Ci sarà meno Sicurezza. Lo stadio attirerà persone di altri quartieri, verranno probabilmente anche degli stranieri, forse anche dei cittadini dei Comuni limitrofi. C’è anche il rischio che la piazza Gino Valle possa diventare un luogo di incontro e di sosta di qualcuno che non conosciamo, diretto al complesso dello stadio, i cui spazi di pertineza saranno utilizzati tutto il giorno e tutti i giorni.

Opponiamoci alla costruzione NEL NOSTRO QUARTIERE. Fatelo dove volete ma non qui. Che se lo prendessero quelli di Sesto San Giovanni, o meglio ancora qualche quartiere periferico di Milano, che intanto quelli fanno già schifo. Non sono mica il nostro bel quartiere, appena edificato, fighetto ed esclusivo.

Poco importa che per raggiungerlo si dovrà usare l’auto, aumentanto veramente traffico, inquinamento, degrado a meno che non si realizzino nuovi e costosi collegamenti pubblici.

L’importante è che il tutto non sia sotto casa mia.

Per non parlare della paura della Svalutazione gli Immobili. In un paese dove si è puntato tutto sul plus-valore da mattone è lo spauracchio che ottiene i migliori risultati.

Una previsione assolutamente balzana.

Con grande probabilità avverrà esattamente il contrario.

Come è avvenuto per Porta Nuova o di City life, dove la realizzazione dei nuovi  quartieri e servizi ha  valorizzato il tessuto preesistente e gratificato i proprietari autoctoni, anche se  nessuno di questi soloni della catastrofe , dopo averlo ammesso, si è detto disposto a dividerne i benefici.

Anche per lo stadio, con una tattica sperimentata con successo dalla Lega, che potremmo chiamare del ” al Lupo, al Lupo!” , si paventano disastri e pericoli al quieto vivere personale.

Più sono improbabili maggiore è la cassa di risonanza.

Non si chiedono, legittimamente, garanzie.

Non si valutano gli aspetti collettivi dell’iniziativa.

Non si ragiona in termini di interesse comune.

Si ricerca una visibilità personale, prodroma magari di un salto di qualità alle prossime elezioni come Consigliere di Zona, dove poter continuare questa politica di ostilità a oltranza o ragionare esclusivamente entro i propri confini.

Pratica che seguono quelli che sono già Consiglieri di Zona che fanno della negazione di qualsiasi attività privata la loro ragione politica all’interno di inutili, se non dannosi, parlamentini.

E di qualche giorno fa l’orgoglio di un Consigliere di Zona 3 nel dirmi che la commissione urbanistica di cui fa parte boccia circa l’80% dei progetti che giudica.

E forse venuto il momento di chiederci se non sia il caso di rivedere, rimodulare e ricondurre entro binari più democratici la partecipazione dei Cittadini.

Perchè dividere, spezzettare, personalizzare non solo ci allontana dalla vera stanza dei bottoni , frammentando fino all’infinito il legame che ci lega al vertice decisionale, ma è spesso antitetico ad un processo democratico che consideri la complessità e globalità delle decisioni da prendere.

Soprattutto in un paese come il nostro dove il concetto di Bene Comune è assolutamente estraneo alla maggiorparte di noi.

 

 

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