Milano
Tradimenti in scena: Pinter secondo il regista Michele Sinisi
Era il 1978 e al Royal National Theatre di Londra debuttava Tradimenti di Harold Pinter. Un dramma a tre voci nel quale, andando a ritroso nel tempo – dalla fine agli inizi – si ripercorre la vicenda di un lungo tradimento, quello che vede protagonisti Emma, suo marito Robert e il migliore amico di quest’ultimo, Jerry. Emma e Jerry sono stati amanti, per anni, portando avanti vite parallele fra la casa ufficiale e quella segreta, in un mondo fatto di cene condivise, figli che crescono, colazioni fra amici. Un dramma borghese che, al tempo, squarciava il velo – anche sull’onda lunga dei movimenti del Sessantotto – sulle ipocrisie moralistiche familiari, su un mondo di relazioni corrotto dalla disonestà degli individui rispetto alla difesa dei propri sentimenti davanti a consuetudine e morale. Tradimenti torna ora in scena – dal 13 al 24 novembre al Teatro Fontana di Milano – per la regia di Michele Sinisi. Abbiamo intervistato l’autore per capire le ragioni della scelta di proporre al pubblico un dramma così importante e così noto e provare a scoprire quali letture, quali prospettive ci riserverà la scena.
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Da tempo, nel tuo lavoro di regia, ma anche in qualità di attore, ti confronti con lo studio delle “maschere”, dei mille volti che ciascuno di noi decide di assumere nella sua vita. Dopo il tuo debutto nel mese di marzo di quest’anno con Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, torni ad occuparti di un classico del teatro e del tema degli “inganni” sociali. Come mai questa scelta?
Il punto di partenza è sempre quello di voler approfondire le sfaccettature dell’umano, inteso come personalità individuale e rapporto sociale. Assieme a questo desiderio, di carattere contenutistico, c’è la volontà di lavorare su un testo, come in questo caso molto noto – perlomeno al pubblico avvezzo ai teatri – considerato un classico, cercando di portarlo in scena non solo attraverso il suoi personaggi, ma anche come opera, in prima persona, come oggetto teatrale, lavorando, nel rispetto della volontà dell’autore, su una rielaborazione improntata alla valorizzazione del testo stesso.
Ci puoi spiegare meglio?
Certo. Tutti o meglio, come dicevo prima, tutti coloro che frequentano il teatro, conoscono Pinter e il suo Tradimenti. Questo dovrebbe rendere molto difficile, per un regista oggi, portare avanti un discorso originale sul testo. Io sono partito proprio dalla lettura, per ragioni di studio, dell’opera e ho cercato di portarlo fisicamente davanti allo spettatore, grazie al lavoro di scenografia di Federico Biancalani. Tradimenti andrà in scena attraverso le voci e i corpi degli attori, non meno che attraverso le parole stesse, che, come se si trattasse di un libro, saranno parte viva del rappresentazione attraverso, appunto, le scenografie.
Una sorta di co-protagonista quindi… Questo deve aver reso necessario un lavoro certosino sull’opera…
Il lavoro preliminare è stato profondo, accurato e, come sempre, collegiale. La pluralità di punti di vista era tanto più necessaria in questa occasione, considerato il rischio di banalizzazione, dato il contesto di oggi, di un’opera nata con una profonda caratterizzazione “rivoluzionaria”. Occorreva sondare diversi punti di vista, sguardi sul tradimento appunto, diverse prospettive…
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Il tradimento in sé, quindi, non fa più scalpore oggi…
Sicuramente, rispetto al clima di ormai più quarant’anni fa, la carica trasgressiva è fortemente scemata. Il tradimento, come dato esistenziale, è quasi dato per scontato, sia nelle relazioni sentimentali che nei rapporti di amicizia. Nel clima contemporaneo poi è difficile poter fare una riflessione su questi argomenti, considerata la frammentazione delle reti – familiari, sociali – in cui siamo inseriti. Eppure ci sono elementi di analisi, spunti di riflessione che tutt’ora possono attivare, nel pubblico, una risposta “potente”. Bisogna cercare nuove prospettive, come dicevo prima, da cui guardare il tradimento, esaminarne la complessità. Non basta rappresentarlo.
Sembra davvero un percorso molto complesso, che rischia, fra l’altro, di provocare un ulteriore tradimento: quello del testo d’autore. È una massima assodata quella che ricorda come “tradurre sia tradire”, si tratti di una traduzione letteraria o di una resa scenica…
Certamente. Il rischio di tradire in qualche modo il testo, la voce dell’autore è concreto e vivo ogni volta che si affronta un’opera, ma tradire, in questo senso, significa elaborare, dare alla voce autoriale uno spazio nuovo nel quale esprimersi. Io ho deciso di affrontare questa “traduzione” in scena utilizzando come filo rosso quello del testo, dell’arte. La professione di gallerista di Emma, quella legata alla scrittura di Jerry e Robert sono gli elementi attraverso i quali il percorso artistico interroga sé stesso, nel testo e nella scena. Ecco questo ho voluto valorizzare, insieme allo studio dei rapporti fra i protagonisti, alle loro relazioni. Però, come sempre, prestando grande attenzione al pubblico. Il teatro dev’essere divertente e coinvolgente. Tutto il lavoro fatto a monte, che ho provato a rendere a parole, serve solo e soltanto se il pubblico segue il percorso, se, appunto, si diverte. Questo implica che deve trovare qualcosa di sé stesso, qualcosa che sia a lui vicino nella rappresentazione. Non voglio portare avanti un discorso intellettuale autoreferenziale riservato agli esperti del settore. Tradimenti deve riuscire ad appassionare, a muovere ad una riflessione, ad essere parte del presente. O almeno questo è il mio auspicio; vedremo poi cosa accadrà in platea.
Tradimenti
di Harold Pinter
regia Michele Sinisi
con Stefano Braschi, Stefania Medri e Michele Sinisi, scene Federico Biancalani
collaborazione artistica Francesco M. Asselta, aiuto regia Nicolò Valandro; produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale con il contributo di Next-Laboratorio delle idee
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Ph. Luca del Pia
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