Milano

Ti conosco, mascherina

5 Aprile 2020

Da oggi, in Lombardia, è obbligatorio uscire con la mascherina. Per la verità – scrivono nell’ordinanza – “in subordine”, visto che di mascherine non ce ne sono e c’è scritto fuori da ogni farmacia, vanno bene anche la bocca e gli occhi coperti alla meglio. Anche con un foulard o una sciarpa, dicono testualmente. Non ci fossero 25 gradi, sempre oggi, farebbe quasi ridere.

A non far ridere, ma proprio per niente, è però un’altra coincidenza. Sempre oggi, su Repubblica, esce un’importante inchiesta giornalistica, firmata da Gad Lerner, che riguarda diverse decine di morti – l’articolo parla di 70 accertate, ma lascia intendere che possono essere di più – al Pio Albergo Trivulzio, la storica Baggina, casa di riposo per antonomasia dei milanesi. La storia merita di essere letta per intero, ma qui ne sintetizziamo gli elementi salienti: ai primi di marzo un geriatra di chiara fama, il professore Luigi Bergamaschini, subisce un procedimento di esonero, reo di aver richiesto (in realtà solo permesso) per tutto il personale medico e infermieristico che opera al Trivulzio di indossare le mascherine. Gli dicono che mascherine non ce ne sono, ad arrabbiarsi “su tutte le furie” con lui è Giuseppe Calicchio, dg del Pio Albergo, legato all’assessore Stefano Bolognini, salviniano di stretta osservanza, che sarebbe anche l’uomo scelto dal Capitano per la sfida di Milano nel 2021. Solo che adesso dovrà vedersela col collega di giunta Gallera: quando si dice “l’imbarazzo” della scelta.

Il professor Bergamaschini viene giubilato, con mail, nero su bianco, e poi reintegrato per evitare una causa minacciata dalla Statale di Milano, spiega Lerner. Ma intanto i morti si contano a decine, anche se i tamponi positivi sono poche unità. Fatto sta che oggi il Trivulzio è blindato, interi reparti isolati e, senza fare un plissè, le ultime dichiarazioni pubbliche della direzione generale dell’istituto, risalenti a qualche giorno fa, sono un autoelogio per la prontezza con cui si è predisposta la telemedicina in mezzo all’emergenza. Ancora più curiosa una dichiarazione del 16 marzo, riportata sempre da Repubblica, con Calicchio che commentava la possibilità dei ricoverati di parlare via Whatsapp coi parenti:
“L’emergenza sanitaria in corso ci ha spinti ad andare oltre alla cura assistenziale consueta. Per questo abbiamo pensato a un’alternativa che fosse in grado di mettere totalmente al centro la sicurezza degli ospiti senza penalizzare il legame con le loro famiglie, favorendo quel clima familiare che vogliamo sempre garantire, anche e soprattutto in momenti difficili come questo”.

A colpire, in questa ennesima vicenda, è un’altra coincidenza temporale non particolarmente piacevole. In quei giorni di fine febbraio, proprio i giorni in cui Bergamaschini permette le mascherine e per questo viene licenziato, il presidente lombardo Attilio Fontana posta l’ormai celeberrimo video della mascherina. Sono i giorni della mancata zona rossa di Bergamo, quella che la Lombardia imputa al governo, dal governo lasciano intendere che tutta questa volontà non la mostravano neanche a Milano (che in quei giorni peraltro “non si fermava”, assieme a Bergamo, e senza che nessuno però dicesse beh) e l’unica certezza è la netta contrarietà di Confindustria Lombardia. Altra vicenda su cui bisognerà fare chiarezza, è davvero distribuire in maniera precisa le responsabilità politiche, giuridiche e morali. Come bisognerà fare chiarezza sulle dichiarazione di Angelo Giupponi, dirigente della sanità bergamasca, che dall’assessorato di Gallera, cui chiedeva con urgenza di istituire reparti per soli pazienti Covid, ha spiegato di essersi sentito dire: “non abbiamo tempo per le tue cazzate”. La notizia è stata riportata da Internazionale in un’accurata ricostruzione, nei giorni scorsi. Come, ancora, bisognerà capire come è stato possibile che l’8 marzo, la Regione di Fontana chiede alle RSA di diventare “ospitali” per i pazienti Covid, nello sbigottimento generale ben raccontato dal settimanale Vita. (Qui il testo della delibera)

Ma torniamo alla mascherina di Fontana. “Volevo lanciare un grido di allarme”, spiegó in quei giorni, un grido che giunge al suo culmine oggi: in assenza di mascherine le mascherine diventano obbligatorie per qualsiasi uscita, anche all’aperto. Piace pensare, però, che mentre obbliga i cittadini a precauzioni estreme; mentre è stato tra i massimi fautori della caccia al runner; mentre ha accentuato ogni polemica politica con sindaci e governo, come nella speranza che non si pensasse a vicende come quella del Trivulzio (e sono tante, e tutte lombarde); piace pensare, dunque, che Attilio Fontana trovi il tempo di convocare (anche con Zoom o Teams, si intende) l’assessore Bolognini per dirgli una sola, semplice parola: “Dimettiti”.

Attendiamo, fiduciosissimi.

ps: l’ultima coincidenza è un “a margine”, che non mi sento di trascurare. È il tentativo, storia di questi giorni, di esentare da ogni responsabilità i direttori generali delle strutture ospedaliere e sociosanitarie. Quelli come Calicchio, per capirci. Il primo firmatario – ennesima coincidenza, in un contesto che vede fautori della deresponsabilizzazione anche altrove, invero – è il capo del suo capo.

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Nella giornata di domenica 5 Aprile il Pio Albergo Trivulzio ha diramato una nota di diffida che pubblichiamo qui integralmente: 

Il presidente Maurizio Carrara e il direttore generale Giuseppe Calicchio, dell’ASP IMMS Pio Albergo Trivulzio hanno incaricato i propri legali di procedere alla diffida nei confronti del quotidiano la Repubblica, a seguito dell’articolo in prima pagina, firmato da Gad Lerner, dal titolo “La strage nascosta del Trivulzio”. Ai legali è stato altresì dato mandato di tutelare, nelle sedi opportune, l’immagine del Trivulzio e l’onorabilità professionale dei responsabili sanitari. Nell’articolo infatti si sostiene che la “strage nascosta’ nel mese di marzo riguarderebbe 70 pazienti. Tale dato, presente sul sito dell’Istituto e ripreso da altri organi di stampa, si riferisce al numero complessivo dei decessi nel mese di marzo, in parte probabilmente riconducibili a Covid 19 senza però che sia stato possibile effettuare i tamponi per accertare la presenza del virus. Il dato del primo trimestre 2020, che tiene conto anche dei decessi di ospiti trasferiti ai Pronto Soccorsi, è in linea con i decessi avvenuti al PAT nel corrispondente trimestre 2019 (170 contro 165), mentre nello stesso periodo sono risultati 15 contro 13 alla RSA Principessa Jolanda. Nel mese di marzo 2020 al PAT sono risultati 18 decessi in più rispetto al corrispondente mese del 2019. Una situazione che non si configura come strage nascosta ma conferma che al PAT non vi sia una situazione fuori controllo. Operativamente il Pio Albergo Trivulzio si è sempre attenuto rigorosamente alle disposizioni delle Autorità sanitarie (OMS, Istituto Superiore di Sanità e Regione Lombardia) per quanto riguarda l’uso dei dispositivi di protezione individuale, così come sui tamponi oro-faringei si è e si attiene alle disposizioni di Regione Lombardia e dell’Agenzia di Tutela della Salute. Disposizioni che riteneva di poter ignorare il prof. Bergamaschini, sospeso anche a tutela della sua salute connessa all’età, e rientrato solo a seguito della sua autocertificazione a proseguire nella collaborazione. E’ grave, inoltre, che il giornalista si sia affidato alle sole dichiarazioni di un rappresentate sindacale interno, senza avvertire la necessità di verificarne l’attendibilità con la dirigenza dell’Istituto e con i responsabili dell’ufficio stampa in contatto quotidianamente con le redazioni dei media non solo cittadini.

 

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