Milano
The Jokerman: la sovversione in scena. Intervista a Michele Maccagno
Joker, uno dei personaggi “classici” del mito contemporaneo, arriva in scena a Milano al Teatro Fontana dopo il debutto estivo in prima nazionale al Teatro Alfieri di Torino per Asti Teatro per la regia e interpretazione di Michele Maccagno e Francesco Asselta. La produzione “The Jokerman”, targata Elsinor, mette in scena un monologo inedito, giocato sull’omonimo personaggio, dalle mille sfaccettature: eroe e antieroe, rivoluzionario e folle, il Joker di Maccagno emerge dal contesto di assoluta normalità di una festa in maschera dalla quale il protagonista “evade” per prendere una semplice boccata d’aria, che lo porterà invece ad assumere coscienza delle contraddizioni del presente, ben rappresentate nella notte metropolitana. Dal suo risveglio nascerà il desiderio di compiere un atto sovversivo, rivoluzionario, che finirà poi per infrangersi per l’impossibilità d’azione, per le infinite difficoltà di portare vero cambiamento nel presente.
Una rielaborazione articolata di una figura amatissima dal grande pubblico, di cui abbiamo voluto parlare direttamente con il regista e attore Michele Maccagno per capire meglio come nasce questo spettacolo.
Joker rappresenta ormai un personaggio archetipico nell’immaginario del pubblico: graphic novel, fumetti, cinema, serie tv hanno raccontato infinite volte la sua storia rendendo complesso reinterpretarla in scena. Come hai lavorato sul personaggio e quali criticità hai incontrato lungo la strada?
La ricerca sul personaggio di Joker è durata oltre due anni ed è stata molto complessa. La materia era viscosa, intricata. Io non sono stato da bambino e ragazzo amante dei fumetti, quindi per me si è trattato anche di un lavoro di documentazione, che ha implicato molto tempo. La materia, quando si parla di una figura come questa, “scappa” e comporta una particolare attenzione per non cadere nel rischio di ripercorrere scenari già tracciati. A differenza del cinema poi, da cui chiaramente abbiamo tratto grande ispirazione con il “Cavaliere Oscuro” di Christopher Nolan, in teatro non esiste il filtro del medium: l’attore è in scena, in carne ed ossa, nel momento della performance, in relazione diretta con lo spettatore.
Con lo spettatore e con la società verrebbe da dire…
Esattamente. Nella società di oggi spesso è complesso individuare la linea sottile che divide il bene e il male. Joker incarna la figura del ribelle per eccellenza, colui che mira a scuotere la società dalle sue fondamenta. Questo implica, per un attore, anche il confronto con sé stesso, attraverso la figura in scena, che mette fortemente in discussione. Da bambino ad esempio io pensavo di poter cambiare le cose da “grande”, di modificare quello che non andava attraverso le mie azioni. Crescendo poi scopri che è difficile, se non impossibile e ti rendi conto che un certo tipo di personaggio può esistere solo nei film, nei fumetti.
La frustrazione che nasce dal rendersi conto dei limiti dell’azione mirata al cambiamento quindi?
La consapevolezza che a Milano, per fare un esempio, Joker non può vivere. Nella società liquida delineata da Bauman ogni atto di ribellione viene riassorbito e annullato. Non si fa in tempo a realizzare qualcosa di sovversivo e rivoluzionario che un brand o un’agenzia lo fa proprio, lo stampa su una maglietta o diffonde in rete, lo commercializza. Ecco allora che il cambiamento viene frustrato e la spinta innovatrice, sovversiva, azzerata.
Una frustrazione propria anche dell’attore, che – non a caso – indossa una maschera per raccontare qualcosa che possa “scuotere” il pubblico e che non sempre viene recepito. Soprattutto in un contesto sociale come quello attuale in cui l’elemento politico, critico e riflessivo del teatro non viene molto spesso valorizzato…
In questo spettacolo il tema credo emerga in modo forte: esiste un doppio piano nel protagonista che interpreta Joker, quello del personaggio, quello dell’attore che lo interpreta sulla scena. Lo spettacolo si gioca su un palcoscenico realizzato con un praticabile con al centro un trampolino. Palco e cima di un grattacielo sul quale viene rappresentata una grande festa con vivi e morti. Inevitabile, quando si lavora su personaggi del genere, che il teatro imponga una riflessione sociale, ma anche sui propri demoni personali. L’attore ha perso la funzione che aveva nell’antichità di controcanto del potere, di stimolo alla riflessione. Pensiamo a come, nel corso del lockdown, gli attori siano stati definiti “quelli che ci fanno tanto divertire”. Ecco questo tipo di visione genera lo stesso grado di frustrazione espressa da Joker: l’impossibilità ad agire il cambiamento attraverso le proprie azioni.
Attraverso questo spettacolo lo spettatore può però arrivare a una sua presa di coscienza personale sulla questione?
Lo spettatore può perdersi nel caleidoscopio costituito dal caos dei piani generati dalla figura di Joker. Può ritrovarsi in alcuni tratti, non riconoscersi in altri. Tutto si mescola: piano personale, sociale, religioso, mitologico. Alla fine sta proprio al pubblico decidere se e con che cosa identificarsi.
Un finale che lascia aperta la possibilità di Joker di agire, in fondo, sul pubblico…
Si. E se posso vorrei ricordare un fatto legato a questo spettacolo. La prima idea è nata prima del primo lockdown. Come per molti altri spettacoli la chiusura dei teatri ha messo in discussione tutto il lavoro, realizzato in questo caso con il Teatro stabile del Veneto. Non sapevamo se e quando saremmo andati effettivamente in scena. Nel settembre del 2020 però, nella parentesi di riapertura, abbiamo realizzato una mise en espace per la regia di Gigi Dall’Aglio, scomparso poi proprio a causa del Covid. Mi piace pensare di poter dedicare a lui questa rappresentazione e questo mio lavoro in scena.
THE JOKERMAN
3/11 NOVEMBRE – Teatro Fontana di e con Michele Maccagno, drammaturgia Francesco Maria Asselta
da un’idea di Michele Maccagno, Francesco Maria Asselta, Marco Merlini
coaching Stefano Braschi
regista collaboratore Marco Merlini
costumi Gianluca Sbicca
consulenza scenografica Marco Rossi
light designer Gianni Pollini
musiche Emanuele Nidi
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale in collaborazione con Riff Raff Teatro e Pav Academy
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