Milano
Sinistra unita: perché nulla è più scontato, ma tutto è possibile
C`è poco da discutere.
C`è poco da rallegrarsi.
C`è bisogno di lucidità e forza per ripartire poiché i dati parlano chiaro, sono feroci, violenti e preoccupanti.
I risultati lasciano nelle mani una parola chiara e netta: unità e rinnovamento.
Sono dati importanti, perché definiscono – più per necessità, che per virtù – che il centrosinistra, per tornare a vincere dovrà essere: plurale, territoriale, con una leadership debole e non divisiva.
1. Plurale, innanzitutto: addio vocazione maggioritaria del Partito Democratico, addio tentazione di voler fare tutto da soli, senza cespugli, senza mediazioni, senza negoziare programmi e poltrone. Sarà molto prosaica, messa così, ma la sinistra non può che ripartire dall’Ulivo, o dall’Unione, comunque da una di quelle coalizioni larghe, larghissime che le hanno consentito di battere per due volte Berlusconi e il centrodestra. Se questo sarà, è probabile – anzi, è auspicabile – che il Pd finisca per implodere: ha poco senso un partito dalle identità multiple, in cui convivono Matteo Renzi e Nicola Zingaretti, Carlo Calenda etc. , quando la mediazione la devi cercare fuori. Meglio due o tre forze dalle identità chiare, che si alleano successivamente, che un minestrone di culture politiche. Non siamo più in America e il bipartitismo non c’è più almeno dal 2013, in Italia. Accorgersene non sarebbe male
2. Non sarebbe male accorgersi di quanto conti il radicamento territoriale, rispetto all’aleatorietà del voto d’opinione.
3. Per essere plurali e territoriali, la leadership non dovrà essere forte, né polarizzante, né divisiva. Con un profilo e un’identità chiara, più progressista rispetto a chi li ha preceduti, ma capaci di dialogare al centro e a sinistra, con la Cgil di Maurizio Landini e con gli imprenditori, senza mai abbandonarsi alla tentazione del “con me o contro di me” che ha caratterizzato la leadership renziana.
Una leadership più vicina a quella di Romano Prodi che a quelle di Renzi, Salvini e Berlusconi, a ben vedere molto più in linea con il dna del centrosinistra di governo che è stato, che con quel che avrebbe voluto essere, da Veltroni in poi.
Se riuscirà a essere tutto questo, per il centrosinistra c’è ancora vita. Se al contrario continuerà a cercare il carisma, il decisionismo, la personalizzazione, la soluzione definitiva dell’eterna guerra civile tra riformisti e radicali, la grande leadership che una volta scimiotta Obama e la volta dopo Bernie Sanders o la Alexandria Ocasio-Cortez, tanti cari, carissimi auguri.
Ci divertiremo un sacco, forse. Ma faremo in tempo a vedere Matteo Salviniche invecchia al governo. A noi la scelta, compagni.
Ecco perché penso che la sinistra deve ritrovare l’umiltà dell’unità: siamo in grado di competere con il centrodestra se ci uniamo. Ci sono cascato anche io (piu` volte) e penso che la discussione sulle persone ha ucciso la sinistra italiana; tutto va visto secondo una questione di volontà politica.
Chi, ad esempio, avrebbe immaginato di assistere ad una scena cruenta e significativa come quella donna col bambino in braccio a Casal Bruciato ricoperta di minacce e insulti e privata di un diritto sacrosanto: quello della casa.
C`è una involuzione che ha inquinato il clima civile di questo paese.
Il 25 aprile e il 23 maggio, la festa di Liberazione e l’omaggio due martiri della mafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che dovevano essere celebrate unitariamente, sono diventate due occasioni di divisioni polemiche, due set da campagna elettorale.
E questo è un fenomeno pericoloso, perché se si logorano troppo gli elementi coesivi di un paese, si lacera il tessuto democratico profondo.
E tutto è molto pericoloso quando perdiamo il filo della nostra memoria, della nostra storia.
Siamo di fronte a una nuova destra ben diversa dalle tradizioni conservatrici del mondo occidentale e, come scriveva giorni fa Alessandro De Angelis, che nasce come nacque la destra più pericolosa nel ’29.
Tutto all`interno di un mondo che vede una crisi delle istituzioni democratiche, una crisi dei soggetti sovranazionali dall’Onu all’Europa, un processo di globalizzazione distorto nella distribuzione della ricchezza, tutti questi elementi insieme stanno determinando una messa in discussione della più grande conquista della seconda parte Novecento che è stata la Democrazia. Insomma, una crisi strutturale all’interno della quale si fa strada la paura che spinge a chiudersi, a vedere nemici ovunque, e spinge all’odio, alla violenza.
Le parole sono già diventate violente, in un tempo segnato dalla totale assenza di rispetto e di curiosità per l’altro.
Ecco perché serve unità. In una sinistra che non debba fare spallucce aristocratiche di fronte alla paura diffusa, ma essere una fonte di sicurezza sistemica: quella sociale.
Dove, in una periferia che soffre ogni aggravamento, la sinistra deve ritrovare se stessa in un punto di vista o in un vocabolario ne quale è sempre stato riconoscibile: uguaglianza, diritti, libertà.
Senza timore, senza paura: dimostrando che esiste un soldo nel quale la caduta è finita ed è iniziata la ripresa. Abbiamo perso il gusto delle parole e non ci si è fermati e a ragionare.
Possiamo e dobbiamo essere un movimento dotato di un pensiero, collettivo e non di un capo.
La verità è che la domanda c’è, come si è visto nelle manifestazioni per l’ecologia o con le manifestazioni civiche nei comuni, ma l’offerta deve essere costruita all’altezza di questa domanda. La sinistra senza sogno e senza popolo non è sinistra.
Il tono attuale della vita pubblica è l’odio, ma siamo sicuri che corrisponda alla voce degli italiani? Io non lo penso.
È il frutto di minoranze agguerrite, sui social arrivano mille tweet e questo viene interpretato come una esplosione della rete. Mille persone che insultano sono irrilevanti, ma nel momento in cui li si accredita di essere l’opinione pubblica, si rischia la profezia che si auto-avvera.
Al linguaggio dell’odio va contrapposta la ragione, alla paura la speranza, avendo un tono inclusivo e non respingendo le critiche, accogliendo e non allontanando. Perché nulla è più scontato. Ma tutto è possibile, anche in positivo.
Per questo dico che serve ripartire lucidamente. Prima che sia troppo tardi.
Ditemi la vostra.
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