Lavoro

Siete sicuri che vogliano davvero tutelare la salute pubblica?

25 Novembre 2020

È da inizio anno che ce lo sentiamo ripetere. Dobbiamo stare a casa. Dobbiamo farlo per avere cura della salute degli altri. Non dobbiamo andare a sciare e abbiamo fatto male a muoverci quest’estate, perché avremmo provocato la seconda ondata di Covid.

Quel ‘noi’ sottostante è rivolto alla gente comune. Al dipendente pubblico, alla partita IVA, al ragazzino che è andato ad amoreggiare al parchetto sotto casa con la morosa (a Padova due ragazzi sono stati multati) alla professionista che s’è fatta due settimane di mare ad Agosto. Ultimamente sanzionano pure i clochard perché sono senza fissa dimora e dunque circolano senza autorizzazione.

Saremmo dovuti restare a casa; invece per colpa nostra adesso le istituzioni devono di nuovo intervenire. Le istituzioni che ci vogliono bene, che hanno cura della salute pubblica, e che per questo ci chiedono di nuovo sacrifici. Restiamo a casa anche a Natale, teniamo le distanze, vediamo il minor numero di parenti possibili.

Eppure a questa ridondante morale statale, che ci richiama tutti alla responsabilità, manca sempre l’ultimo tassello: quello della coerenza.

Mercoledi mattina, 25 novembre, giusto un mese prima di Natale, e guarda caso il giorno della ricorrenza della giornata contro la violenza sulle donne, davanti all’Ospedale Gaetano Pini di Milano, in Via Quadronno, hanno fatto capolino i lavoratori e le lavoratrici (soprattutto) di un’azienda, la Markas, che ha ottenuto un appalto per garantire la sanificazione la pulizia e la ristorazione all’interno del nosocomio. Con il cambio di appalto però l’ospedale e l’ente regionale cosa chiedono alle donne che dovranno (continuare a ) lavorarci? Di farlo a metà del salario, decurtando le ore di lavoro, ma garantendo lo stesso livello di prestazioni che venivano fatte prima. Quindi se prima, supponiamo, si doveva pulire in quattro ore, adesso ottimizziamo: facciamolo in due. L’ospedale risparmia. Magari su qualche porta, o su qualche tavolo non si pulisce abbastanza bene in fase di sanificazione. Dovendolo fare di corsa qualche cristiano prenderà il Covid che magari un asintomatico avrà lì, senza saperlo, depositato con qualche droplet. In fondo, chi se ne fotte? Non è lì che vanno a curarsi le star del jet-set, di cui si preoccupa l’opinione pubblica, affinché possano ancora garantirci la loro compagnia attraverso il teleschermo.

Magari ci va un insegnante di Baggio o una pensionata di Via Padova, tanto per citare due quartieri popolari del capoluogo lombardo. Per cui se si prende il Covid, che importanza potrà mai avere. Se poi la pensionata ha più di 75 anni, non è parte del sistema produttivo, quindi vive a scrocco, e pertanto la sua dipartita verrà letta come una tragedia umana, dai contenuti riflessi economici.

Alla luce delle dinamiche produttive ed economiche c’è pure qualcuno, il sindacato Cub, che con questo freddo s’è preso la briga di sostenere le istanze di questo personale, prevalentemente composto da donne, in parte straniero.

E fa specie ripensare al monito quotidiano delle istituzioni, di essere responsabili. E fa ancora più specie pensare che sia considerata violenza contro la donna solo lo stupro, o lo stalking. Quando invece ti chiedono di fare oggi, con la metà del tempo, la stessa cosa che facevi ieri, dimezzandoti anche gli emolumenti, e mettendoti nella condizione di essere uno stipendiato che non ce la fa ad arrivare a fine mese, allora quella non è violenza. È il mercato.

La narrazione contemporanea perde qualche colpo. E prima o poi qualcuno si arrabbierà. Ma non diciamo che si tratta di scelte irresponsabili che vedono protagonisti soggetti apicali della vita pubblica. Altrimenti poi come si può giustificare la responsabilità ‘degli altri’, dimenticandosi della propria?

Il presidio di oggi davanti all’Ospedale Gaetano Pini a Milano

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