Milano
Scoditti e Sorrentino: l’attesa in scena al Teatro Fontana
“Assenza più acuta presenza” scriveva il poeta Attilio Bertolucci e al centro dello spettacolo “Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa” di assenze ce ne sono almeno due: quella del noto regista, sempre atteso e – a oggi – mai presente in sala, quella del successo, di quel “farcela” nel mondo da cui siamo tutti ossessionati e che ci mantiene in un costante stato di tensione dal quale, affannosamente, proviamo a uscire emergendo nel mondo di “quelli di successo che ce l’hanno fatta”. Lo spettacolo di Giuseppe Scoditti, scritto in collaborazione con Gabriele Gerets Albanese, racconta, in un monologo comico intervallato da musica e contributi cinematografici, tutto ciò che il protagonista avrebbe voluto dire a Sorrentino, dopo un provino andato male, e non ha mai osato dirgli. Una vicenda personale che diventa, grazie alla magia della scena, una storia universale sulla forza dei sogni, sulla difficoltà, soprattutto per le nuove generazioni, di realizzare i propri obiettivi e le proprie ambizioni.
Atteso ritorno al teatro Fontana di Milano (dal 14 al 16 dicembre), Scoditti si interroga in quest’opera su quali siano i limiti che ci diamo rispetto al nostro desiderio di farcela, cosa siamo disposti – o costretti – a fare in un contesto in cui se non emergi significa che “non vali un granché”. Così lo spunto narrativo comico si coniuga a una riflessione profonda sul significato di grandezza, sul valore che la società attribuisce al successo e al senso di “elezione” che a questo successo si ricollega.
“Siamo arrivati a credere che la grandezza sia un dono riservato solo a pochi eletti, ai prodigi alle superstar. E che il resto di noi può solo stare a guardare. Ma la verità è che la grandezza è per tutti noi. Non si tratta di abbassare le aspettative, si tratta di aumentarle per ognuno di noi”.
Ne abbiamo parlato con Scoditti in una breve intervista.
Da cosa nasce il desiderio di raccontare una storia così surreale e piuttosto distante dal precedente spettacolo 1 e 95?
Avevo voglia di raccontare un sogno, anzi dei sogni, e di farlo trasformando la scena in un sogno, in una bolla di altrove distante e onirica, capace di coinvolgere il pubblico. Lo spettacolo è stato pensato durante il Covid, un momento che ben poco aveva a che fare col sogno. Vivevo un periodo di profonda disperazione personale, come tutti, e al contempo la disperazione coinvolgeva tutto il mio settore. Eravamo bloccati nella possibilità di fare, mi serviva un modo per sbloccarmi. Allora sono partito dal titolo, che era un obiettivo: quello di parlare a Sorrentino.
Un obiettivo ambizioso in tempo di Covid e di isolamento…
Sì, ma in senso era proprio quello di mostrarmi pronto a tutto, di far emergere quello che ero (io nelle vesti del protagonista) ed emergere, attirando l’attenzione del grande regista. Da qui nasce l’ossessione per Sorrentino, che è motore dell’azione e ancora di salvezza per il protagonista che è, appunto, alla disperata ricerca di un obiettivo.
Al di là del “pretesto non pretesto” del provino…perché proprio Sorrentino?
Perché è un personaggio che si sottrae, estremamente interessante, curioso. Durante lo spettacolo non si capisce fino in fondo se al protagonista in fondo piace o meno. Emerge l’importanza che ha ai suoi occhi questa figura, il ruolo ideale che gli attribuisce, l’ossessione, che diventa idolatria e bisogno di parlarne. Capita a tutti di fissarsi con una persona e finire col parlarne tutto il tempo, soprattutto se ci tieni…
Il lavoro teatrale, al di là dei contenuti, si differenzia molto da quello precedente…
Si, nella collaborazione con Geretz abbiamo provato a lavorare su qualcosa di molto più teatrale, meno strettamente legato alla stand up comedy, mescolando diversi linguaggi in scena. Musica, narrazione, cinema concorrono tutti a costruire la complessità di una riflessione sulla realizzazione e sul successo. Noi viviamo in un’epoca in cui farcela è necessario, avere successo è necessario. Tutti ci dicono che dobbiamo farcela. Io ho voluto parlare di sogni e farlo facendo sognare lo spettatore, facendogli credere possibile la presenza di Sorrentino in sala.
Una presenza che quindi diventa molto concreta?
Ogni sera riserviamo due posti in platea proprio per lui e durante la serata si crea una bolla all’interno della quale diventa sempre più credibile che lui possa presentarsi ed assistere allo spettacolo. Tutti finiscono con lo sperare che ci sia…
E a questo concorre anche la presenza di contributi cinematografici, che richiamano con il linguaggio il mondo del grande schermo del regista…
Certo, i contributi realizzati da mio fratello Giacomo Scoditti, a sua volta regista, costituiscono un collante importante per questo tipo di intreccio di linguaggi e di mondi. La scelta delle musiche, l’influenza, sempre presente e leggera della stand up comedy: tutto restituisce un senso di sogno che spero possa avvolgere lo spettatore.
Non ci resta che aspettare che Sorrentino si presenti quindi?
I posti riservati ci sono. Sono sicuro che in una delle tappe della tourneé, che sia Milano, Bari, Roma, Monza o Torino deciderà di presentarsi. E – sempre con un sorriso – non penso potrà ignorare ancora per molto tanta attenzione.
PAOLO SORRENTINO VIENI DEVO DIRTI UNA COSA
uno spettacolo di e con Giuseppe Scoditti
scritto da Giuseppe Scoditti e Gabriele Gerets Albanese
regia di Gabriele Gerets Albanese
light designer Cristian Allegrini
contributi cinematografici per la regia di Giacomo Scoditti,
aiuto regia Pierdomenico Minafra
attori
Rossana Cannone e Ludovico D’Agostino
realizzato da
Liminal Space
Produzione Teatri di Bari
Ph. Clarissa Lapolla
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