Milano

Salone del Libro, i soldi di Milano e la cultura di Torino

27 Luglio 2016

C’è una guerra in corso, che non lascia cadaveri sul campo, ma contrappone due delle città più rappresentative d’Italia. Da una parte Torino, dall’altra Milano. Oggetto del contendere, il Salone del Libro, o come si chiamerà in futuro il principale appuntamento italiano con la lettura e i libri che – notizia dell’ultima ora – pare stia per lasciare il Lingotto. Il fuoco alla miccia è stato acceso dall’Aie, l’Associazione italiana editori che, sostengono i torinesi, vorrebbe far migrare la kermesse sul suolo milanese per una serie di motivi che si possono leggere qui. Ci sono in mezzo ragioni economiche e poteri contrapposti, entrambi legittimi, ma ciò che soprattutto emerge è il consueto campanilismo in salsa italica. Un campanilismo che diventa ancora più ridicolo se a farsene portavoce sono due testate prestigiose come La Stampa, a supporto della tifoseria del capoluogo piemontese, e il Corriere della Sera, a sostegno della curva meneghina.

La Stampa, ad esempio, si lancia in giudizi di questo tenore: «Milano e Torino sono due modelli diversi, il primo più improntato al business, il secondo con uno sguardo più focalizzato sulla cultura del leggere». Quindi, sotto la Madonnina contano i danee; all’ombra della Mole Antonelliana si è più interessati ai liber. Dal canto suo il Corriere, meno esplicito del contendente – che nel frattempo si è detto disponibile a sponsorizzare per tre anni la rassegna tramite Itedi, il suo editore, ma a patto che «sia confermata l’attuale formula che vede il capoluogo piemontese come sede» – nicchia un po’ e fa finta di essere super partes. Però non si sottrae alla tentazione di esporre la sua mercanzia parlando di BookCity, evento ambrosiano dedicato al libro e definito dal quotidiano di via Solferino «formula originale» nonché «operazione di sistema che vede coinvolto tutto il mondo editoriale, l’intera filiera del libro, l’assessorato del Comune alla Cultura. Una manifestazione affidata, sotto il profilo organizzativo, alle Fondazioni legate al mondo editoriale (Corriere, Feltrinelli, Mauri, Mondadori), ma con un carattere istituzionale. Una collaborazione pubblico-privata virtuosa». Se a dirlo è uno degli organizzatori, come si fa a non crederci?

Senza voler parteggiare per l’uno o l’altro dei duellanti, bisogna tuttavia ricordare due fatti. In questi giorni abbiamo appreso che Exor, la holding della famiglia Agnelli, lascia l’Italia. È solo la conferma, l’ennesima, che Torino ha perso il ruolo di capitale dell’industria nel nostro Paese. E non da oggi. Ancor prima di deporre le armi della superiorità in campo economico, aveva già ceduto quelle della cultura. Infatti, i fiori all’occhiello della sua editoria, Einaudi e Utet in primis, non sono più in mani torinesi. Segno che anche i liber, e non solo le automobili, vanno dove ci sono i danee.

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