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Rompere il digiuno di Ramadan con l’Associazione Alba: festa e parole buone
“Ci piacerebbe che se ne parli, dell’evento di stasera, e ci piacerebbe che la notizia sia diffusa il più possibile. Perché pensiamo sia importante che la gente sappia, di questi tempi, che realtà come la nostra esistono, e continueranno ad esistere anche e nonostante tutto ciò che accade nel mondo. Stamattina ho aperto il giornale, e ho trovato solo brutte notizie. Si parlava di guerre, armi, odio e rancore tra i popoli. E’ un momento difficile, è vero. Ma c’è anche altro. Ci sono gli esempi positivi, come la cena di stasera. Di queste cose, però, la stampa non parla mai. Perché? Perché si cede sempre al sensazionalismo disfattista?”
Con queste parole ci chiede di raccontare l’evento di ieri sera, il Professor Branca, docente di islamistica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e noi lo facciamo. E lo facciamo davvero volentieri, perché partecipare è stato un vero piacere.
Siamo stati invitati alla Cena di Iftar organizzata dall’Associazione Alba, no-profit interculturale nata a Milano con l’obiettivo di creare ponti di dialogo tra tradizioni e popoli e operativa dal 2003 nell’organizzazione di eventi e occasioni di confronto e dialogo religioso e multiculturale celebrati tra l’altro anche in occasione delle varie festività religiose, tra le quali, appunto, il Ramadan.
Con il termine arabo “Iftar”, infatti, si intende il tradizionale pasto serale con cui i musulmani, subito dopo il “Maghrib”, tramonto, rompono il digiuno che caratterizza il mese sacro di Ramadan riunendo al loro tavolo parenti, amici e colleghi in una cena di condivisione. Originariamente composto soltanto da un bicchiere d’acqua e un dattero, questo pasto si distingue così dal “Suhoor”, altro momento tipico della tradizione islamica, che consiste in un pasto piuttosto ricco da consumarsi prima dell’alba e che dovrebbe garantire, con il suo apporto energetico, le energie sufficienti per affrontare il resto della giornata.
Così, con il sole che, lunedì 25 marzo, è previsto che cali alle 18.43, l’invito riunisce i suoi ospiti a partire dalle 19.30.
Ed è per quell’ora che, noi compresi, arrivano tutti gli ospiti – e alla cena di stasera, scopriamo, siamo piuttosto numerosi. In pochi minuti, il luogo in cui è stato dato appuntamento – ci troviamo in via Bertelli, la piccola parallela di viale Monza che costeggia la Martesana – si trasforma in un insieme di voci, chiacchiere e colori, e ancor prima che la cena inizi pensiamo che siamo fortunati ad essere qui.
Per celebrare l’Iftar, infatti, quest’anno l’Associazione Alba ha scelto di riunirci da “Seven – Casa dei Ciliegi”: si tratta di un bistrot molto moderno, con tanto di patio in giardino, situato proprio sul canale della Martesana. Ci accorgiamo in fretta che la scelta si presta piuttosto bene alla serata primaverile: del resto, ieri sera è proprio una di quelle poche sere in cui, a Milano, l’aria frizzante ma non troppo permette, a chi è fuori a cena, di star bene sia seduto all’interno che negli spazi al di fuori, e il vento che soffia fresco permette, per qualche ora, di dimenticare lo smog milanese.
Dopo i saluti e le presentazioni, prendiamo posto nella sala riservata. Sono le 20.00, la cena sta per cominciare.
A darci un caldo benvenuto è Camlica Fatih, Presidente dell’associazione Alba: il suo discorso di apertura ci parla di un’associazione che esiste ed è operativa da molti anni, e di rapporti e relazioni ben consolidati da molte esperienze insieme. In effetti, l’impressione è proprio quella di trovarsi a un evento di persone che si conoscono da tempo, e le famiglie presenti che con naturalezza chiacchierano, ridono e si siedono insieme ci fanno capire che, prima di tutto, questa sera ci troviamo ad un incontro di amici. E questo non è scontato, se per un attimo si chiudono gli occhi e si pensa solo alle origini e alla composizione degli invitati.
Ai tavoli della cena di Iftar di questa sera, infatti, siedono persone molto diverse per tradizioni, religione ed etnia. Ci sono famiglie provenienti dalla Turchia (“Io sono a Milano dal 2016”, ci spiega una ragazza di 26 anni arrivata a Milano dall’Università di Istanbul, per frequentare la Bocconi), famiglie dal Nord Africa e persone da diverse città d’Italia; ci sono gli studenti del liceo Montini – Istituto Madre Cabrini di Milano (“Speravamo foste quelli della scuola di Pioltello!” scherza qualcuno, e le polemiche di qualche giorno fa ci sembrano così lontane – per la cronaca, è notizia delle ultime ore che l’istituto chiuderà per la fine del Ramadan, con buona pace del Ministro Salvini) e bimbi emozionati di presenziare ad una cena di adulti. Ci sono musulmani, cattolici, ebrei, agnostici e atei.
Dopo i saluti ha inizio la cena, che consta di un menù di quattro portate. I piatti vengono serviti tra i discorsi degli ospiti, e il clima è gioviale. Noi siamo seduti al Tavolo 9, e la serata procede tranquilla: si chiacchiera di politica, conoscenze comuni, aneddoti passati e storie dal mondo. Tra noi è seduta una ragazza turca, da qualche anno a Milano per lavorare in una società di consulenza farmaceutica. Ci racconta che è alle prese con il Ramadan: “Se è difficile lavorare in consulenza durante il Ramadan? Si, i primi giorni forse è un po’ dura. Poi, però, ti abitui. Arrivi solo a sera un po’ più stanca del solito, ma per il resto è tutto ok. L’unica cosa, mi manca da matti il caffè!” scherza. Chi scrive risponde che, per lei, trasferirsi in un paese straniero per lavorare a pieno ritmo in una società di consulenza farmaceutica sarebbe piuttosto arduo anche con a disposizione una quantità di caffè illimitata. Al Tavolo 9 si ride – e se ci si guarda intorno, ci si accorge che è così anche in tutti gli altri tavoli.
Tra i discorsi degli ospiti, Branca prende di nuovo la parola: “Per chi dice che le nostre tradizioni non hanno nulla in comune, sapete qual è l’origine dell’espressione “Scacco matto”? Deriva dal persiano, “Shāh Māt”, ed mutuato da due termini arabi che significano “re” e “morto”. Scacco matto, il re è morto. Non lo sapevate, vero? E poi: ci avete mai fatto caso che, per le tutte le lingue dei popoli mediterranei, le prime lettere dell’alfabeto sono uguali? Ci fanno credere che le nostre lingue sono diverse, ma non è vero. Musulmani, ebrei, cristiani, greci e latini: abbiamo tutti la stessa origine e le stesse parole, se dette piano, sono capite da tutti”.
E in effetti, a sentire Branca scandire alcuni termini arabi, scopriamo che siamo davvero in grado di comprenderne il significato. Inevitabilmente, ci sentiamo più “vicini” – vicini in un mondo che invece ci vuole più lontani.
Più lontani perché solo di amenità si parla alla Cena di Iftar dell’Associazione Alba, ma anche di odio, guerre e popoli in lotta – ed è qui che, per un momento, passa il sorriso. Anche durante la cena, le notizie che arrivano dal mondo sono tutt’altro che buone, e basta aprire lo smartphone per leggere titoli come “è di nuovo allarme terrorismo islamico”, “su Gaza, pronti all’offensiva totale” e “verità nascoste: questa è la nuova minaccia sionista”.
Ma la tristezza può durare un attimo, e prima che di riflessione questa sera è una serata di festa. E bisogna festeggiare. Sono quasi le 23, il momento dei dolci. Viene servito un semifreddo ai “tre cioccolati” – uno di quelli che, con le sue sfumature di cioccolato fondente, al latte e bianco, vanno ora così di moda nei ristoranti stellati resi popolari dalle serie tv.
La serata è quasi finita, e insieme al dolce arrivano i ringraziamenti e i saluti finali. “Prima di lasciarvi, vorrei raccontarvi qual è per noi il significato dell’ospitalità nelle cene iftar del periodo di Ramadan. Per la tradizione islamica, l’ospite è sacro e la cerimonia con cui lo si invita, lo si intrattiene e lo si congeda è da celebrare come un rito. Al suo arrivo, l’ospite è accolto come un membro della famiglia. Durante il pasto, l’ospite è rifocillato con cibi preparati con cura e intrattenuto amabilmente. Alla fine, l’ospite dev’essere ringraziato per la sua presenza e omaggiato per il suo tempo. Per questo, all’ospite che lascia la nostra casa va lasciato un dono molto preciso. Per premiare l’ospite della sua presenza, infatti, la tradizione vuole che gli si lasci un piccolo premio da gustare con calma, in silenzio, una volta arrivato a casa. Così, gli lasceremo del nostro invito un ricordo che sia squisito.”
Ed è a questo punto della serata che, dulcis in fundo, viene distribuita a noi ospiti una scatoletta contenente dei deliziosi dolcetti di zucchero e nocciole. Ci viene spiegato che si tratta di un dolce tipico della tradizione turca, che con la sua pasta compatta ben si presta ad essere regalato ai convitati che lasciano una cena per tornare alla propria dimora.
E così noi facciamo, rifocillati e soddisfatti, ringraziando ancora una volta chi ci ha invitato rendendo possibile che tutto ciò accadesse.
Perché, siamo convinti, sono realtà come queste, che parlano di dialogo, multiculturalismo e confronto che meritano soprattutto di essere celebrate, raccontate e condivise. Per proporre modelli di integrazione e tolleranza che si antepongono alle storie di odio di cui sentiamo troppo spesso parlare, e per creare una contro narrazione credibile ed efficace che sia in grado, una volta di più, di controbattere alla narrativa della paura.
In questa battaglia, con le sue iniziative e i suoi anni di attività l’Associazione Alba gioca un ruolo prezioso; con questo articolo, anche noi proviamo a fare la nostra piccola parte.
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