Milano
Renzi al bivio: implorare Pisapia o fondare il Partito della nazione con Sala?
Nella piccola Festa nazionale dell’Unità, ospitata quest’anno a Milano nei giardini di Porta Venezia oggi intitolati al “compagno” Indro Montanelli, alla fine non si parla d’altro. Cosa farà il centrosinistra milanese dopo-Pisapia? Per carità, non siamo ingenerosi ed evitiamo di accusare di provincialismo militanti e dirigenti: si parla anche d’altro. Renzi, naturalmente, e il Jobs-Act, e che cosa resterà del vecchio sindacato e del vecchio partito. Ogni tanto, poi, fanno capolino i profughi del Corno d’Africa, che proprio nel quartiere accanto, il quartiere del Lazzaretto, hanno uno dei punti di passaggio obbligato verso il nord Europa, essendo da decenni zona di una delle più radicate e integrate comunità dell’oriente africano d’Europa, e allora la mente corre, almeno per un attimo, all’emergenza mondiale dell’emigrazione che da Africa e Medioriente sta portando centinaia di migliaia di disperati verso l’Europa, partendo dall’Italia, e passando per Milano.
E poi sempre a Milano si ritorna, e sempre di Milano si ricomincia a parlare. Già, perché da quando alla fine dello scorso inverno Giuliano Pisapia ha annunciato la sua decisione di non ricandidarsi, l’incertezza regna sovrana e tutti gli elementi che sono andati via via aggiungendosi l’hanno aumentata, invece di chiarire il quadro in maniera univoca. Alle primarie del Pd sono ufficialmente candidati il deputato del Partito Democratico Emanuele Fiano, che a Roma sta con Dario Franceschini e quindi con Renzi, e l’assessore al welfare milanese Pier Francesco Majorino, che nel Pd sta in un’area di raccordo tra la minoranza e Sel. “Ufficialmente” in realtà non è l’avverbio giusto, perché ufficialmente, appunto, le primarie non sono ancora state proclamate e Renzi ha detto e fatto scrivere in varie occasioni che per lui possono anche non farsi, le un tempo amatissime primarie, mentre Lorenzo Guerini è venuto in persona a Milano per ribadire chiaramente il concetto: “Le primarie non sono un dogma”. Il tempo intanto stringe, le primerie potrebbero tenersi a Novembre, o al massimo nel cuore dell’inverno in vista della campagna elettorale di primavera. Tutti dicono che vanno fatte, a Milano, ma intanto molti aspettano che sia Renzi ad autorizzarle, perché nel partito di oggi (e gli esempi del passato sono tanti e, invero, non tutti di destra) il carisma e il potere del capo contano alla fine più degli statuti e delle consuetudini consolidate.
Mentre si attende che Renzi deliberi e spieghi, peraltro, le acque vanno agitandosi, come naturale. Chi è già in campo, col passare delle settimane, sembra sempre meno disponibile a un passo indietro. E chi ancora non è in campo, sembra in attesa di capire le ultime geometrie per farlo. I nomi sono sempre quelli, e possiamo anche ripeterli a beneficio di chi non li sapesse: Umberto Ambrosoli, Stefano Boeri, forse anche l’ex vicesindaca Ada Lucia De Cesaris, la sua sostituta Francesca Balzani. Poi girano i nomi di Ferruccio De Bortoli e, ogni tanto, torna a galla anche quello di un altro big del giornalismo come Mario Calabresi, ma siamo probabilmente alla fantascienza. Come annotava un assessore che si ostina a chiamarsi fuori dal gioco a proposito dei colleghi politici candidati o candidabili: “Siamo tutti più o meno allo stesso livello di peso e di notorietà in città. Non è che qualcuno tra noi è in grado di cambiare gli equilibri con un solo annuncio, anzi. Nessuno di noi ha il peso, la notorietà, la credibilità di…”. Di chi? Ma del sindaco uscente, naturalmente, Giuliano Pisapia. Ai primi di agosto, una sua dichiarazione ambigua – “molte cose possono far cambiare idea…” – aveva alimentato in alcuni la speranza, in altri il timore, che potesse tornare sui suoi passi. Il suo è l’unico nome che chiuderebbe i giochi, nel centrosinistra. Un po’ perché anche chi è già da tempo in campo lo ha promesso, un po’ perché la fortuna di cui gode ultimamente il Brand Milano s’è cucita addosso a Pisapia al di là dei meriti suoi e della sua giunta, ma insomma, nessuno lo sfiderebbe nel centrosinistra. L’operazione, qualora dovesse mai andare in porto, consentirebbe anche di scaricare su di lui il grosso delle responsabilità in caso di sconfitta. Nei giorni scorsi il sindaco, proprio alla festa dell’Unità, ha ribadito che nessuno è indispensabile, aggiungendo però che lui non si sta autorottamando. Parole chiare, non univoche, che l’Unità renzianissima di questi tempi ha sintetizzato col titolo “Addio a Milano”. Fervori di epigoni troppo realisti, o messaggi chiari e peraltro assonanti con gli umori di diversi renziani milanesi, che non vedrebbero granchè bene un’inversione a U di Pisapia?
Difficile a dirsi. Di certo, per concretizzarsi, qualora ci sia davvero uno spazio di ripensamento che neanche chi è più vicino a Pisapia riesce a certificare o smentire con nitidezza, la prospettiva di una ricandidatura avrebbe bisogno di un forte, chiaro, univoco endorsement di Matteo Renzi preceduto da un solido accordo tra Pisapia e il premier segretario. Primo problema: i due non si amano particolarmente. Questione politica, questione antropologica? Forse tutte e due, sta di fatto che Renzi dovrebbe prima chiedere in privato e col cappello in mano a Pisapia di ripensarci, poi dargli copertura pubblica, magari domenica sul palco della Festa quando chiuderà il programma, implorandolo di tornare indietro. In questo modo sarebbe quantomeno relativizzabile la critica ad un sindaco ondivago, che prima dice basta, lascia la città a ribollire in pieno Expo, consente e di fatto autorizza le battaglie per la successione e poi torna indietro. Solo un gesto plateale e insieme umile (…) di Matteo Renzi potrebbe consentire a Pisapia di difendere la decisione nel nome del servizio.
Il problema, su questa via, è un altro, ed è sicuramente politico. Pisapia è un uomo di sinistra, la sua provenienza, la sua storia e la sua giunta lo dicono chiaramente. Una sua ricandidatura sponsorizzata e in definitiva voluta da Renzi significherebbe una scelta di ricucitura innegabile anche con la sinistra del Pd, con chi dal Pd sta fuori, come Sel. Finirebbe, questa decisione, per mettere in difficoltà chi dal Pd è uscito, come Pippo Civati e i suoi, o chi vorrebbe farlo. Al di là delle intenzioni, per tutti loro, sarebbe davvero difficile chiamarsi fuori dalla continuità con la giunta uscente. Insomma, per Renzi l’opzione Pisapia sarebbe evidentemente un’opzione unificatrice a sinistra, e non solo a Milano.
A Renzi la cosa interessa? È quantomeno lecito dubitarne, e anzi pensare che Milano possa diventare il laboratorio per l’altra via, quella che Renzi in opere e in (mezze) parole più volte ha lasciato intendere, e cioè quella del Partito della Nazione. Un partito sostanzialmente centrista, che riesca dove finora il suo Pd, pur con qualche segnale di ottimismo iniziale, non è ancora compiutamente riuscito, e cioè fare il pieno dei voti moderati. Lasciando la minoranza e i fuoriusciti al loro destino, la pancia del paese a farsi vellicare da Salvini e Grillo, ma scommettendo sul fatto che il voto moderato possa essere tutto raccolto da un nuovo blocco, che si porti dietro il grosso dell’attuale Pd e faccia suo quel che una volta si chiamava “centro”. In questo caso, una marcata scissione a sinistra non sarebbe solo tollerabile ma anche auspicabile. E a Milano la candidatura del commissario Expo Beppe Sala – “mi piace moltissimo, ma sulla sua candidatura a sindaco potrà decidere solo a Expo finito”, ha detto Renzi – avrebbe il contemporaneo merito di dare ai moderati del centro di Milano un volto noto e affidabile candidato senza primarie, e di imporre nei fatti una scissione a sinistra, spingendo Sel e un pezzo di Pd milanese a giocare in solitudine, sostenendo direttamente il già candidato Majorino. Insomma, si realizzerebbe in questo caso, partendo da Milano per arrivare alla Roma di Gabrielli, il laboratorio perfetto di un nuovo schema politico che disarticola quello che Renzi ha ereditato e che gli va sempre più stretto. L’ultima parola, naturalmente, anche saltando i rituali delle primarie e il novecentesco concetto di militanza, spetterebbe comunque agli elettori. La Nazione, dopotutto, è anzitutto roba loro.
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