Governo
Quel mondo che sta fuori dalle nostre penne
Riprendo in mano una penna dopo sei mesi di silenzio. Precipitato in una nuova sfida professionale ho pensato bene di sottrarmi al dibattito di idee di questi Stati Generali che in sei mesi sono cresciuti meglio che un figliolo tirato su a vitamine e buone letture. Se un vantaggio c’è stato nell’immergermi in altre acque (è proprio il caso di dirlo), è stato quello di buttarsi alle spalle quei 10 metri di terreno in cui consulenti politici e clienti sguazzano, tra sondaggi, commenti e piccolo cabotaggio da social network.
Va da sé che non sputo nel piatto in cui ho mangiato, ma sei mesi di bagno nell’industria a occuparmi di tubi, mi hanno sbattuto in faccia quanto già sapevo. Che il mondo che sta fuori dalle nostre penne se ne fotte di Renzi e del renzismo, delle dinamiche elettorali, dei flussi e delle teorie sull’astensione. Pippe per addetti ai lavori, per quei 1500 lettori che già diversi anni fa Enzo Forcella teorizzava in un luminoso libretto.
Eppure in questo sentore di decadenza squarciato di tanto intanto dalla retorica della ripresa, i discorsi si arrovellano in un insopportabile piagnisteo, a destra e a sinistra, contro un padre -quasi padrone- che si è piazzato stabile al centro della scena, gigante perché di nani è fatta per lo più la politica in Italia. A destra ché orfani di un leader non sanno uscire da una faida tribale fatta di piccole miserie di potere e nessuna idea. A sinistra perché da qualche parte si spera che, in fondo in fondo, il capitalismo ancora non abbia fatto il suo corso e che alla fine della fiera, bandiera rossa, pardon arancione, la trionferà.
In mezzo lui. Che tutto sommato con un cattivo carattere, quattro idee e un intuito politico da fare invidia a Moro, ha detto chiaro e tondo che chi c’è stato ha fatto il suo tempo e che se ha qualcosa da dire lo dica pure, ma poi si taccia per sempre. E ben venga, ché dalle parti del PD, a furia di dibattere, discutere e non decidere un tubo, si sono prese tranvate che Piero Fassino e Pigi Bersani ancora se le ricordano. Ma a furia di circondarsi di leccaculo inconcludenti e vecchi leoni -o tigri – che starebbero bene in zoo e gabbie; a forza di farsi forza di una patina di rinnovamento che non rinnova davvero, le tranvate le prende pure Renzi.
Sarò pure diventato un insopportabile rompipalle, ma questa tornata elettorale, spiace per i difensori della Causa, segna un punto di svolta in cui il re s’è visto nudo. Io che in questi Stati Generali ho fatto la parte del Renziano disincantato, dopo aver visto e letto in questa campagna elettorale tutto e il contrario di tutto, sento che il disincanto sta lasciando il posto a una rabbia che non so se ho voglia di spegnere con la ragione della politica. Vivaddio è vero che il PD ha vinto, ma è altrettanto vero che i segnali di un riflusso ci sono eccome. Sul territorio il partito democratico è attraversato da una guerra tra bande che nemmeno nei tempi peggiori delle correnti. La costruzione delle nuove leadership locali si scontra con il peggior opportunismo elettorale che produce i De Luca di turno. Che sarà tanto bravo, ma anche no. L’inconsistenza di scelte “made in Renzi” le rivela tanto evanescenti da risultare fastidiose come zanzare. E in mezzo a tutto ciò ci sono le sfide in cui si cimentano quelli che hanno capito che per costruire un progetto credibile, occorre metterci idee, persone e un po’ di fatica.
Già la fatica. Perché in fondo ci sono le cose da fare e che vanno fatte per il Paese. E si badi, mi va bene tutto: la riforma della scuola, l’Italicum e la riforma del lavoro. Ma diciamolo che sono poche piccole cose, se proprio le vogliamo saggiare alla pietra di paragone che ci siamo scelti noi per primi. Blair, Obama e financo De Gaulle. Nel mondo fuori dalle nostre penne e soprattutto dai nostri tweet, non è cambiato nulla. E dopodomani si vota nella città di Expo, in cui le iniziative sia pure lodevoli del PD, nascondono a stento l’intento di tirarla lunga perché il candidato vero non c’è e non si può dire.
Ecco da qui a Milano 2016 c’è il tempo di riflettere e decidere. Se nel mondo che sta fuori dalle nostre penne si vuole governare oppure ci si accontenta di fare i renziani.
@matteocolle
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