Milano
Quanto sposta Passera a Milano? Quasi nulla
Ricordo ancora quando, poco tempo prima del voto del 2008, De Mita dichiarò che non sarebbe entrato nel Partito Democratico, una forza politica che sentiva troppo distante. Non passò che qualche minuto prima che giornalisti, politici, opinionisti si scatenassero con la classica richiesta: quanto perde il Pd con la defezione dell’ex-segretario democristiano? Risposta: una quota compresa tra lo 0,4% e lo 0,6%, ma non è chiarissimo se a favore o a sfavore del Pd. Un Partito Democratico senza Ciriaco De Mita, per alcuni, sarebbe sembrato più credibile; per altri, i supporters di area “Nusco” non avrebbero votato Pd, privandolo comunque di una manciata di voti. Dopo qualche giorno, tutti si sarebbero dimenticati del mancato appoggio di De Mita, e si iniziò a parlare d’altro.
La notizia odierna che Corrado Passera non sarà – autonomamente – della partita milanese assomiglia molto a quella storia, dal punto di vista dei suoi effetti sulla consultazione. L’ex-ad di Banca Intesa, oltretutto, non ha un suo elettorato reale, non essendosi mai misurato in vere elezioni, al contrario di De Mita. Per questo, coloro che nei sondaggi hanno finora dichiarato un voto per lui non devono rispondere a principi di fedeltà, o ad eventuali possibili tradimenti nei confronti del loro leader di riferimento. Semplicemente, è un elettorato che non esiste, se non dal punto di vista virtuale.
E’ inoltre un tipico elettorato (virtuale) di opinione, che avrebbe votato Passera per la stima che aveva nei suoi confronti, ben sapendo che non poteva certo aspirare alla vittoria, ma soltanto ad una buona performance, in attesa (forse) di cimentarsi in altre e più importanti consultazioni, nel caso. Infine, Passera non è un punto di riferimento di una specifica area politica; è solamente un manager che intendeva misurarsi nell’agone politico per dare un suo contributo alla risoluzione dei problemi.
Già, ma a quanto ammontava comunque il suo elettorato potenziale? Qui la materia si fa complessa, basandosi esclusivamente su sondaggi, di cui conosciamo tutti i limiti, e mai su precedenti reali consensi di voto. Alcuni hanno parlato del 10%, una stima alquanto di parte visto che chi la forniva stava lavorando anche per lui. Altri di una quota vicina al 6-7%, altri ancora del 2-3%. La mia impressione è che non sarebbe riuscito a superare la soglia del 4% degli elettori milanesi. Sia quel che sia, si argomenta in queste ore, quella quota andrebbe ora sommata a quella già detenuta da Parisi, e permetterebbe a quest’ultimo, ora, di arrivare almeno al pareggio (virtuale) con il suo principale avversario Sala.
Un calcolo che ovviamente può anche essere effettuato, ma che somiglia molto alla nota querelle sulla possibile sommatoria dei voti di Majorino e Balzani alle recenti primarie milanesi. Anche in questo caso, è un procedimento aritmetico altamente rischioso, e probabilmente nemmeno del tutto corretto. Di certo, in questo caso ancor meno di quello delle primarie. Perché gli elettori di Passera lo avrebbero votato proprio perché non era confluito nel centro-destra (o nel centro-sinistra), perché non si era unito alle coalizioni che avevano in precedenza governato Milano con risultati non positivi, secondo questi elettori. Ora, appoggiando espressamente Parisi, Passera li delude, mettendosi in coalizione con Salvini, perché rinuncia proprio a quella scelta che per loro rappresentava un punto di forza: essere fuori dagli schemi consueti. Sennò, avrebbero già scelto di stare con il centro-destra (con buone chance di vittoria) anziché preferire Passera, che di chance di vittoria non ne aveva proprio.
Quindi, che faranno quei suoi elettori potenziali? Molto probabilmente si distribuiranno un po’ dovunque. Qualcuno voterà Sala, qualcuno (forse un po’ di più) per il centro-destra, qualcuno si asterrà oppure, al limite, sceglierà i 5 stelle perché anch’essi giudicati fuori dagli schemi consueti. Insomma: il ritiro di Passera non produrrà alcunché nei rapporti di forza tra Sala e Parisi. Anzi, paradossalmente, avvantaggia il candidato di centro-sinistra al ballottaggio, perché priverà il suo avversario di centro-destra di un eventuale appoggio di elettori che, a quel punto, avrebbero già espresso il proprio consenso per Passera.
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