Milano
Quando Salvini approvò i rincari legati all’euro
Uno degli argomenti più utilizzati da coloro che criticano l’euro e reclamano il ritorno alla lira è la presunta fiammata inflazionistica che la moneta unica (che ha iniziato a circolare il 1° gennaio 2002) avrebbe comportato, attribuendo così la responsabilità alla moneta in sé e non al mancato controllo delle associazioni dei commercianti o del governo – all’epoca guidato da Berlusconi, con tre ministri della Lega Nord, uno dei quali è oggi il leghista che ricopre la più alta carica istituzionale, Roberto Maroni.
Per evitare arrotondamenti dovuti al cambio e all’introduzione dei centesimi, ai quali gli italiani non erano abituati, il governo aveva predisposto un blocco tariffario per i primi due mesi del 2002. Molti decisero di sviare questo blocco, operando incrementi nei giorni finali del 2001, in modo che il passaggio alla moneta unica fosse ufficialmente rispettoso dei consumatori e che l’aumento dell’inflazione ricadesse sull’anno pre-euro.
Tra coloro che scelsero questa strada, legittima ma politicamente discutibile, ci fu l’Atm, l’azienda milanese dei trasporti, di proprietà del Comune di Milano, all’epoca guidato da Gabriele Albertini con una maggioranza di centrodestra. Il costo unitario del biglietto era di 1.500 lire (77 centesimi di euro dal 1° gennaio). Atm decise dunque di portarlo a 1.950 lire a partire dal 27 dicembre 2001, con un incremento del 30%. Cinque giorni dopo il biglietto sarebbe costato 1 euro (corrispondente a 1.936,27 lire), con una riduzione dello 0,1%. Contestualmente all’aumento del biglietto furono modificate le tariffe dei vari abbonamenti e carnet, con l’aumento di alcuni carnet di biglietti all’epoca molto popolari (il settimanale e quello da dieci corse) e la lieve limatura dell’abbonamento mensile e quella più sostanziosa dell’annuale. Va anche detto che, a ulteriore beffa, nei residui giorni di utilizzo delle lire le macchinette automatiche di Atm non furono abilitate a dare il resto di 50 lire, così che tutti – soprattutto i turisti che non erano abituati a comprarlo in edicola – si trovarono la sorpresa di pagare il biglietto 2.000 lire.
Gli incrementi tariffari furono approvati dalla giunta, che ottenne il passaggio della durata del biglietto da 75 minuti a 90 minuti, che ufficialmente ridusse l’incremento del costo per minuto. Ma a Milano si trattava di una misura inutile, visto che non è una città particolarmente estesa e che anche allora – pur con una rete di metropolitane meno sviluppata e con le linee suburbane non ancora completate – rari erano gli spostamenti che chiedevano tempi di percorrenza superiori all’ora e un quarto.
In quell’occasione la giunta Albertini approvò anche l’aumento del 10% delle tariffe dei taxi.
Nonostante le richieste dell’opposizione, i tempi stretti impedirono una estesa discussione della delibera in Consiglio Comunale. Tra i partiti della maggioranza, il capogruppo della Lega Nord (di cui era anche segretario provinciale) era Matteo Salvini, che oggi sostiene che l’euro avrebbe danneggiato gli italiani: in quell’autunno-inverno era impegnato in dichiarazioni contro i luoghi di culto musulmani invece di occuparsi dei problemi dei milanesi. Vicesindaco era Riccardo De Corato, oggi capogruppo in Regione di Fratelli d’Italia, l’altro partito sovranista anti-euro. Salvini e De Corato sono stati i primi ad approfittare dell’euro per imporre ai cittadini vistosi aumenti tariffari. Milano non fu l’unica città a far coincidere gli aumenti con il passaggio all’euro, ma lì la decisione fu presa da chi oggi la contesta, senza però alcuna autocritica.
Che si trattasse di una scelta maturata da esigenze industriali o che fosse una strada per trarre vantaggio da un passaggio epocale qual era l’introduzione dell’euro, l’incremento tariffario e la sua tempistica favorirono la percezione che la nuova moneta stesse diventando l’occasione per spremere i consumatori e i contribuenti.
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